Wolfgang Amadeus Mozart – Adagio e fuga in do minore per archi K. 546

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Negli stessi giorni (la data di registrazione nel catalogo è la stessa: 26 giugno 1788) della creazione della Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 543, trovato rifugio dalle tempeste quotidiane in un nuovo appartamento con giardino alla periferia di Vienna, Mozart – non sappiamo per quale motivo, probabilmente di natura economica – pensò di rimetter mano all’imponente Fuga in do minore, originariamente scritta per due pianoforti (K. 426, 29 dicembre 1783), e di riadattarla per quartetto d’archi (non orchestra d’archi, come talora erroneamente si pensa: pur lecita rimanendo anche questa frequente forma di esecuzione). A tale scopo, forse per giustificare la duplice vendita all’editore (Hoffmeister di Vienna, che pubblicò il tutto entro l’anno) aggiunse alla Fuga, quasi a mo’ di preludio, un Adagio di non grande ampiezza ma di straordinaria densità espressiva: tale da raggiungere, se non superare, la potenza e la grandiosità della Fuga stessa. Cui già i primi commentatori non risparmiarono iperbolici attributi: “”immensa””, “”sublime”” secondo Ghéon, poi parafrasato sullo stesso tono da molti altri.

In effetti siamo di fronte a uno dei gioielli del tardo Mozart, sospesi nel regno assorto e crepuscolare delle sue ultime verità. La doppia Fuga a quattro voci, in rigoroso stile severo, va ben oltre l’ammirazione per i grandi maestri del passato Händel e Bach, e mostra da parte di Mozart non solo la completa assimilazione di uno stile ma anche una intima, speciale affinità con questo, capace di generare un organismo sonoro classicamente irrobustito dalla tensione contrappuntistica: un vero e proprio incunabolo dell’epilogo supremo della “”Jupiter””. Quanto all’Adagio, il suo vigore, e la sua profondità, sono del tutto consoni allo spirito solenne dell’ultimo stile mozartiano: vi dominano accenti quasi preromantici, inquietamente carichi di attesa, che preparano così l’entrata della Fuga, irradiandosi nella sua aura sacrale per trasfigurarsi apertamente in radiosi simboli metafisici.

Quartetto di Fiesole
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione di musica da camera 1993-94

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