Wagner e l’opera-bordello

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A Monaco con Mehta un Tannhäuser dissacrante per platee masochiste

Gerarchi e gigolo nella regia di Alden


Monaco – Succedono cose da pazzi nel Tannhäuser di Wagner rivisitato dal regista David Alden e dallo scenografo Roni Toren a Monaco per l’apertura del festival, direttore Zubin Mehta. Per esempio che Tannhäuser (René Kollo) sia un profugo di guerra con la valigia piena solo di poesie stracciate, capitato nelle grinfie di una Venere hollywoodiana che somiglia spiccicata all’atomica Rita Hayworth (Waltraud Meier), a sua volta tenutaria di un bordello di lusso ed eccitata dalle strofe di congedo dell’amante a Venusberg fino all’orgasmo. Oppure che la tenzone dei cantori sulla Wartburg sia ambientata in un mausoleo piacentiniano sormontato dalla scritta «Germania nostra», dove il rito è officiato da gerarchi che salutano a braccio teso e immolano la vergine Elisabeth (Nadine Secunde) sull’altare della patria, mentre i cantori sono abbigliati con le più ridicole fogge dell’oleografia pseudofascista, chi da aviatore, chi da gigolò, chi da parà, chi da bieco borghese, chi da fanatico del sadomaso: per capirci un po’ di regime rifritto.

Se la tenzone poetica è piuttosto un’esercitazione militare di macabra violenza, la zuffa che conclude l’atto scivola nel comico da avanspettacolo, inglobando il diavolo e l’acqua santa, mentre il coro dei pellegrini sciama istericamente invocando il papa e la salvezza di non si sa ormai che cosa. Talché nel terzo atto, nelle rovine del mausoleo bombardato, Tannhäuser si agita come un personaggio di Bechett interrato, disperatamente monologante e del tutto estraneo al fatto che Elisabeth, sacrificandosi per lui, lo redima: anche perchè di ciò nulla si vede sulla scena squallida e buia. Dunque il fatto non sussiste.

È lo spettacolo d’opera più incredibile a cui ci sia mai capitato di assistere. Talmente incredibile da suscitare una sorta di attraente ribrezzo. I1 sadismo del regista gioca evidentemente sulla frustrazione e sui complessi di colpa di un pubblico che inconsciamente mescola attrazione e repulsione per il genere dell’opera e masochisticamente chiede emozioni forti, immediate: Wagner è l’oggetto preferito di questo atteggiamento schizofrenico, ormai da tempo, specialmente in Germania. Il testo viene sezionato e produce associazioni nefande, quando sia privato del ruolo chiarificatore della musica. Sono operazioni che dietro la facciata della novità nascondono ignoranza, volgarità, insofferenza, incarnando però una voglia di reazione tanto realmente combattiva quanto più confusamente ideologica, e che inevitabilmente si basa sulla ripetitività del repertorio. A chi interessa il «solito» Tannähuser? Non ai cantanti e ai direttori, che forse non approvano ma subiscono per avidità di denaro. L’opera non è un museo, dicono i fautori di questo stile; è vero, è diventata un bordello: specchio dei nostri tempi, fino in fondo, fino all’estinzione. Se si deve giudicare dalle reazioni plaudenti del pubblico di Monaco, piace anche per questo, e avrà un futuro.

da “”La Voce””

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