Vienna: Le nozze di Figaro

V

Intimo, rassicurante, senza ostacoli

“”Ecco, ora ho sentito le Nozze della mia vita””. Questo ho pensato uscendo dal Theater an der Wien dopo Le nozze di Figaro che hanno inaugurato il Vienna Festival. Non era dunque un semplice apprezzamento per la qualità e la riuscita di uno spettacolo – come capita, non spesso, ma capita – ma qualcosa di più: l’idea che fosse stato realizzato tutto ciò che uno si immagina siano Le nozze di Figaro, e nello stesso tempo l’impressione che dallo spettacolo appena visto si prolungassero all’infinito nuove prospettive, nuove idee, nuove possibilità interpretative. In molti crediamo che con Mozart debba essere sempre così: nel momento in cui tutto sembra finalmente chiaro, si ricomincia da capo, e si vorrebbe non fermarsi mai, avere il tempo solo per lui.

Fissare il momento della chiarezza. In che modo c’erano riusciti il regista Jonathan Miller, il direttore Claudio Abbado e la compagnia di canto? La risposta è a prima vista facile: trovando gli equilibri giusti tra azione e musica, lasciando scorrere la commedia con leggerezza e naturalezza, grazia e spirito, senza uscire mai dai binari del meccanismo teatrale prodigiosamente perfetto. Ciò che la musica proponeva, la scena raccoglieva e definiva, per ritornare poi alla musica, al canto e all’orchestra, ed esserne illuminato. Da questo continuo scambio di gesti calcolati e misurati sul respiro della musica, e di fatti musicali in sé compiuti e riconsegnati alla loro funzione drammatica con la più meravigliosa e spontanea adesione, si produceva via via l’impressione che fra noi e Mozart non vi fossero più ostacoli, che tutto fosse vero e bello, intimo e rassicurante, come in un sogno chiaro del quale fossimo spettatori e protagonisti al tempo stesso.

Ma questa è soltanto una mezza verità. Al momento della chiarezza, della trasparenza e della lucidità, si sovrapponeva un che di stranamente indefinibile e inafferrabile, una tensione che sfiorava l’ansia, un clima di attesa e di sospensione celato nelle pieghe della più sublime delle commedie. E qui si avvertiva che Miller non si era limitato a leggere il testo in chiave teatrale, ma ne aveva colto un elemento essenziale: ciò che si nasconde dietro le parole dette, i gesti esibiti e i comportamenti esteriori. In quest’opera nella quale ognuno agisce fra contraddizioni e ambiguità, e in esse trova la sua ragione di esistere, come forse accade davvero anche nella vita, senza dimenticare però il rischio che l’avventura comporta e distinguendo esattamente i fini a cui aspira, e trovando in ciò la sua grandezza, come invece nella vita non accade: questo, in quest’opera, Miller riusciva a far capire, e ancor meglio a rappresentare. Su quella scena di antichi splendori in rovina, sospesa e incantata, che gira su se stessa ed è sempre montata un po’ di sbieco, rivelando nascondigli, trabocchetti e vie illusorie di salvezza, uscite nel mondo e di nuovo entrate nel teatro, i cantanti si muovevano con una consapevolezza che non rispondeva soltanto alla logica del teatro, e di questo testo, ma individuava un aspetto ben più importante: simulando, essi recitano la vita. E allora si rompono gli schemi consueti dell’interpretazione univoca, i simboli che riducono, le impalcature ideologiche, i riferimenti storici o attualizzanti che pretendono di spiegare i contesti: e rimane solo l’essenziale, l’insieme di tutti questi tratti ricondotti all’origine e saldati alla verità intera.

Il salto di qualità compiuto da Abbado rispetto alle sue prove mozartiane precedenti, Don Giovanni incluso, era forse il risultato finale di una felice attitudine a cercare la chiarezza nella molteplicità del dubbio, e a fare dei suoi dubbi un motivo di chiarezza. Nel clima creato da Miller, Abbado si trovava a meraviglia, era l’uomo giusto al posto giusto. E con lui i cantanti, tutti provenienti da esperienze e storie diverse, dunque sulla carta di problematico e temibile assemblaggio. Mai credere alle previsioni, in teatro: l’unico luogo in cui i miracoli sono ancora possibili. Nel ricordarne gli undici nomi, pensiamo a una formazione per una volta ideale delle Nozze di Figaro: Raimondi (il Conte), Studer (la Contessa), McLaughlin (Susanna, il migliore in campo), Gallo (Figaro, la rivelazione), Sima (Cherubino), Lilowa (Marcellina), Mazzola (Bartolo), Zednik (Basilio, intramontabile), Kasermann, Tannenbergerova, Gati… I1 13, numero fortunato, senz’altro ai Wiener Philharmoniker.

Musica Viva, n.7 – anno XV

Articoli