Nella capitale austriaca una mostra sullo scrittore Grillparzer
Vienna – A pochi passi dal Künstlerhaus e dal Musikverein, dall’altro lato del Karlsplatz, nei locali silenziosi e accoglienti del Museo storico della città di Vienna una esposizione ricorda fino alla fine di giugno il secondo centenario della nascita di Franz Grillparzer (1791-1872): ed è qui che i «Zaubertöne», le note magiche evocate da Schubert e scompaginate nel caotico allestimento della vicina mostra dedicata a Mozart, tornano come per incanto a risuonare in tutta la loro grazia e leggerezza.
Grillparzer nasceva dunque nello stesso anno in cui moriva Mozart: a Vienna, la città dalla quale non si staccò mai e con la quale si sarebbe poi identificata tutta la sua opera di poeta e di drammaturgo. Ma giustamente i curatori del catalogo (Denscher e Obermaier) danno a questa identificazione un significato non esclusivo: dimostrando così una visione assai meno ristretta dei loro colleghi strenuamente avvinghiati alla rivendicazione dell’importanza di Vienna per Mozart. Certo, l’universalità di Mozart fu di altro genere; ma neppure la fama di cui Grillparzer godette nella città natale, nei suoi teatri e nella vita pubblica, può limitarne il rilievo nella letteratura europea dell’Ottocento.
Nonostante il titolo, «Grillparzer o La realtà della realtà», questa mostra è anzitutto una ricostruzione minuziosa ma non pedante della figura di Grillparzer nel suo ambiente, e non tralascia nessun motivo che ad esso possa ricollegarsi. Così, mentre ripercorriamo le tappe della sua evoluzione, con un colpo d’occhio possiamo abbracciarne gli sfondi e osservare altre figure di primo piano che l’accompagnano. E molti di questi motivi sono fin dall’inizio legati alla musica. Già la prima testimonianza registra i precoci contatti con la musica, prima ancora che con la grande letteratura, e con il teatro, quello popolare delle sale di periferia, dove si rappresentavano storie cavalleresche animate di suoni e fiabe costellate di spiriti e di fate. «Uno dei primi libri che ho letto – scriverà nella sua autobiografia – fu il libretto del Flauto magico. Una cameriera di mia madre lo possedeva e lo conservava come un tesoro sacro». Da queste impressioni infantili non si sarebbe mai più liberato.
Realtà fu per Grillparzer sinonimo di fantasia, di sogno, ancor prima che a questo tema dedicasse la fiaba drammatica Der Traum ein Leben (Il sogno è una vita), ispirata a Calderón. Furono le circostanze della vita a decidere per lui quale ruolo ufficiale svolgere: e principalmente l’intransigenza del padre, che volle seguisse le sue orme nel campo del diritto, invece di abbandonarlo all’influenza materna, segnata dai tormenti della musica. Ma la sua straordinaria capacità di osservare e di descrivere, premessa fondamentale di ogni arte di inventare e di ricreare, si esalta sempre di nuovo quando si rivolge ai musicisti. Esemplari, più ancora dell’orazione funebre, i suoi Ricordi su Beethoven, con cui condivise la stessa casa ad Heiligenstadt nell’estate del 1809 e progettò di scrivere un’opera, e intensa la sua partecipazione al destino di Schubert e della sua cerchia di amici, di cui la mostra dà ampia documentazione. La data del 19 novembre 1328 è anzi un crocevia nel suo percorso: la celebre epigrafe per la tomba di Schubert – «Qui la musica ha seppellito un ricco tesoro, ma ancor più belle speranze» – è annotata nel diario come un contrassegno della vita stessa.
Non che Grillparzer lasciasse speranze incompiute davanti a sé. Da questo punto di vista, anzi, poteva ritenersi fortunato. Poteva riconoscersi nell’immagine da lui stesso tracciata: «A mio parere può essere poeta drammatico solo un uomo che provi passioni smisurate, per quanto queste debbano essere tenute a freno dalla ragione e perciò non apparire nella vita comune». Forse sta qui il senso di quel «monumento Grillparzer» a cui allude nel suo saggio introduttivo Walter Obermaier: nella doppia vita dell’uomo di legge, precettore e modesto impiegato statale, e del poeta di successo, che in teatro reinventava la realtà per farne lo specchio di una sfida permanente alle convenzioni e alle certezze della ragione, alla ricerca di quella metà della vita che riconosceva più vera.
La sezione conclusiva della mostra ci presenta numerosi ritratti e attestati d’onore: Grillparzer, in veste ufficiale, esibisce un volto malinconico e sfuggente, poco propenso a farsi scrutare, e nello stesso tempo ironicamente soddisfatto dí sé. Lo sciagurato Franz Ignaz Castelli, di cui anche Schubert aveva dovuto fare le spese, lo descriveva agli amici di un tempo con parole sprezzanti: «Grillparzer riposa sui suoi allori e ha smesso del tutto di lavorare». Ma la risposta del poeta era già contenuta nella commedia con la quale nel 1838, già esacerbato dal corso del mondo, si era ritirato di scena: Guai a chi mente. Da quel momento, fu un artista postumo.
da “”Il Giornale””