L’antico problema delle sale da concerto
La mancanza di sale da concerto in Italia ha una spiegazione anzitutto storica. In Italia, a partire dall’Ottocento, la musica si è identificata quasi esclusivamente con il melodramma. Ciò ha fatto sì che non si ponessero le condizioni per la fondazione e la crescita di complessi dediti all’esecuzione della musica sinfonica. Tutte le grandi orchestre straniere, comprese quelle americane, sono nate e si sono affermate per la diffusione del repertorio classico e romantico, di provenienza principalmente tedesca: la grande musica che da Haydn giunge fino a Brahms e Bruckner è stata il punto di partenza e insieme di arrivo per stabilire un tessuto organico nella vita dì queste orchestre, che si è poi via via esteso anche oltre quei confini. E tutte hanno alle spalle una consuetudine con questo repertorio di almeno un secolo, se non di più. Ciò ha comportato che ognuna di esse abbia ottenuto fin dall’inizio un luogo adatto per esercitare questa attività: ossia sale da concerto destinate specificamente all’esecuzione della musica sinfonica. La fama di orchestre come i Berliner o i Wiener Philharmoniker, il Concertgebouw di Amsterdam o la Staatskapelle di Dresda, per citare solo alcune, è strettamente legata alle loro sale, che ne hanno in larga misura determinato la qualità, affinandone non solo la disciplina e l’autocontrollo ma anche la forza e la bellezza del suono. Non è affatto esagerato dire che le qualità di un’orchestra dipendano dalla sala in cui avvengono le prove e le esecuzioni: la meravigliosa identità dei Wiener Philharmoniker non potrebbe esistere senza l’edificio del Musikverein di Vienna; nel caso dei Berliner, il passaggio dalla vecchia sede della Philharmonie a quella nuova progettata dall’architetto Sharoun ha portato a un’evoluzione, in larga misura patrocinata dal genio artistico-industriale di Karajan, della fisionomia dell’orchestra. La stessa brillantezza e lucentezza di suono delle orchestre americane provengono dalle caratteristiche acustiche delle rispettive sale.
Prima ancora che per il pubblico, costretto ad ascoltare i concerti di musica sinfonica (e da camera, dato che anche per questo repertorio i teatri d’opera non sono luoghi adatti) in condizioni precarie, la costruzione di sale da concerto con requisiti acustici adeguati è dunque la premessa necessaria perché la cultura musicale del nostro Paese si evolva attraverso il miglioramento delle orchestre. Il nostro recupero di tutto un repertorio verso il quale l’interesse del pubblico è in costante aumento non potrà avvenire senza che ai nostri musicisti venga data la possibilità di diventare, se non competitivi, almeno meno isolati dal resto del mondo. E ciò vale non solo per orchestre che una qualche tradizione in proposito possono vantare, come Santa Cecilia e il Maggio Musicale Fiorentino, ma anche per iniziative più nuove, come quelle della Filarmonica della Scala e delle stesse orchestre giovanili.
Ma c’è di più: senza sale da concerto, il rischio che l’Italia venga tagliata fuori dalle presenze delle grandi orchestre internazionali è sempre più reale. Gli strumentisti e gli stessi direttori cominciano a rifiutarsi di lavorare in condizioni così disagevoli, di perpetua emergenza, del tutto superate altrove. Da qualunque punto la si guardi, da dentro o da fuori, la questione è seria, strutturale: e merita un discorso approfondito, più sui rimedi che sui mali.
da “”Il Giornale””