Un cantante che, come Thomas Hampson, dichiari di considerare la Winterreise di Schubert il vertice assoluto delle sue aspirazioni di interprete – sotto il profilo dell’impegno non solo musicale bensì soprattutto vocale – merita tutto il nostro rispetto e la nostra ammirazione. Hampson è una star mondiale dell’industria discografica, oggi forse il fiore all’occhiello della Emi: avrebbe dunque ottimi motivi di pavoneggiarsi per i suoi straordinari successi operistici o di promuovere i suoi recital ben altrimenti popolari. E invece, dopo venti anni di studio, eccolo affrontare il testo schubertiano con un’umiltà e una profondità tutte votate alla verità e grandezza della musica: quasi passando lui stesso, con gioia e dedizione, in secondo piano, alla ricerca di un’immedesimazione e di una comprensione che nulla ha di esibito o di lezioso, tanto negli atteggiamenti esecutivi quanto negli effettivi risultati artistici.
Su questo lato francamente inedito del poderoso baritono americano (prototipo del cantante dai mezzi naturali eccezionali che non ti aspetteresti accompagnati da pari sensibilità e cultura) vorremmo tornare, dato che è appena uscita anche in Italia la versione integrale, frutto della sua ricerca e della sua acribia, dei Lieder di Heine musicati da Schumann, finora impropriamente noti col titolo apocrifo Dichterliebe: una vera scoperta, anche musicologica.
Intanto godiamoci la qualità sopraffina di questo Viaggio d’inverno alquanto diverso da quelli a cui siamo abituati, meno lugubre e gelido del solito, ricco di slanci appassionati e a tratti splendidamente riscaldato da una sorta di euforico fascio di luce, non di rado dagli abissi della tristezza energicamente risollevato ai confini della visionarietà autoironica: aspetto che molto fa riflettere sulle molteplici possibilità di lettura, non tutte necessariamente tragiche, sottese alla poetica del Viandante romantico, schubertiano in particolare. Hampson usa la sua voce potente e insieme straordinariamente duttile in tutta la gamma espressiva. Ne risulta uno Schubert più ariosamente cantato che declamato alla maniera della tradizione tedesca: impeccabile nella dizione e nelle sfumature degli accenti, tutto teso alla fusione tra parola e musica ma indirizzato costantemente alla valorizzazione del fraseggio e dell’arco melodico-espressivo. Con lui si capisce che la distanza tra lo Schubert liederista e quello drammatico non è poi così enorme come comunemente si crede. Wolfgang Sawallisch lo sostiene al pianoforte con una perizia a dir poco stupefacente. La chiave della riuscita è in questo connubio tra un artista supremo, perfetto conoscitore dello stile romantico e della tradizione classica nel più alto senso del termine, e un giovane, coraggioso talento di fresca intelligenza.
E a proposito di generi: la Teldec ha pubblicato un cofanetto che raccoglie tutte, ma proprio tutte le composizioni corali profane di Schubert. Gli interpreti, dal Coro Arnold Schönberg diretto da Erwin Ortner ai solisti di canto e agli accompagnatori – se così si può definire per esempio un András Schiff – sono nomi di primissimo piano, da tempo elettivamente devoti alla causa schubertiana: in tutto fanno otto ore tonde di musica. Proviamo ad ascoltare e a domandarci se l’immagine che noi continuiamo ad avere di Schubert non sia per caso uno sbiadito santino di ottusi luoghi comuni. Lo Schubert intimo, ripiegato su se stesso, lirico ad oltranza, incapace di divertirsi con leggerezza e di giocare con la serietà del dramma, di graffiare sensualmente e di essere immensamente felice della propria onnipotenza: la smentita la troveremo qui, fulminante e radiosa. Magari vergognandoci anche un po’ della nostra secolare, pigra ignoranza.
Schubert, Winterreise; Br Hampson, pf Sawallisch, Emi 7243 5 56445 2 7 (1 cd); Integrale delle composizioni profane per coro; Arnold Schönberg Chor, dir Ortner,
pf Moser, Schiff, Staier, Teldec 4509-94546-2 (7 cd).