Un «alpinista» per la musicologia

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Si e spento Massimo Mila dopo oltre mezzo secolo di studi e di critica


Torino – E’ morto ieri mattina al reparto di rianimazione dell’ospedale «Molinette» il musicologo Massimo Mila. Aveva 78 anni e soffriva di diabete oltre che dei postumi di un incidente d’auto nel quale aveva perso la vita sua moglie.

 
Di fronte alla notizia della morte di Massimo Mila – inattesa, benché da tempo fosse noto che le sue condizioni di salute non erano delle migliori – la prima reazione è una constatazione obiettiva: con lui scompare una figura che ha contato molto nella cultura musicale italiana. Certo, le radici della sua attività di critico e storico della musica risalgono a un’epoca ormai lontana e forse superata dai tempi; ma nella stessa fedeltà alle esperienze e alle convinzioni maturate nella giovinezza, nella Torino degli anni Venti e Trenta e nell’impegno nell’ambito del «Baretti» gobettiano, Mila rimaneva un punto di riferimento, oltre che una presenza costante nel mutare delle mode e delle passioni.

Per farsene un’idea basta confrontare l’agile volumetto dedicato al melodramma di Verdi, frutto della dissertazione di laurea e pubblicato nel 1933 (Mila aveva allora 23 anni) con le successive, ben più ponderose monografie verdiane uscite nel ’58 e nell’80: nonostante le molte novità e scoperte che si erano avute nel frattempo, Mila non esitava a ribadire certe sue intuizioni di allora, anche a rischio di andare controcorrente e di non seguire l’ultimo grido, per esempio nella rivalutazione del primo Verdi. Non per anticonformismo, vocabolo che esulava dal suo repertorio, ma per intima fermezza di ragionamento. Giacché per Mila quel che contava alla fine non erano le anticipazioni, la collocazione storica, l’epoca e l’ambiente, ma solo il risultato assoluto, incondizionato dell’opera d’arte. E a ricercare e spiegare quello mirava la sua critica.

E’ chiaro che per far ciò Mila si basava su presupposti estetici precisi, che all’origine erano poi quelli del crocianesimo applicato alla musica; ma verificati, ogni volta, nell’atto pratico dell’esercizio critico, con un acume che la sua cultura rendeva insieme incisivo e leggero. Non per nulla Mila sin dall’immediato dopoguerra aveva accettato il ruolo di critico militante, per diventare poi il critico musicale della «Stampa»: puntando sempre, anche nelle occasioni più insignificanti, ad elevare l’articolo di giornale a spunto di riflessione, a palestra delle idee: in un colloquio ininterrotto che poco si curava della contingenza interpretativa – gli interpreti rimanendo per lui semplici mediatori – e assai più del giudizio sui massimi valori. Un giudizio che sapeva però essere benevolo e sempre aperto – se non per lui, per gli altri – anche di fronte a opere e autori di qualità e provenienza diversissime.

La tolleranza, del resto, era una delle sue bandiere. Forse addirittura un fatto privato prima che pubblico. Ciò in cui Mila credeva, lo portava fino in fondo senza curarsi delle conseguenze. Fu così anche per la sua attività di antifascista, nata dalle frequentazioni e dalle esperienze della giovinezza torinese, che gli costò cinque anni di carcere, dal ’35 al ’40. Naturale che, una volta rimesso in libertà, partecipasse alla Resistenza; ma senza pretendere o anche solo chiedere in seguito benemerenze o riconoscimenti. La sua ritrosia, unita a una caparbietà non priva di ironia, non avrebbe mai ammesso simili baratti. E non è un caso che, nonostante la sua autorità e la sua caratura di uomo di cultura venissero riconosciute unanimemente o quasi in ogni ambiente, Mila, dopo aver insegnato quasi vent’anni in Conservatorio, venisse sì chiamato all’Università di Torino e vi rimanesse per altri tredici, ma senza mai ottenere la cattedra. Fatto che fu puntualmente rimarcato con sdegno solo dopo la sua decisione di andarsene in pensione da precario qual era.

Una presenza scomoda, dunque? Leggendo i libri di Mila, non si direbbe proprio. La sua Breve storia della musica, per esempio, un manuale su cui si sono formate intere generazioni, rappresenta ancora oggi il compendio più attendibile di nozioni e di punti di vista toccati in rapida sintesi: nel quale anche certi giudizi discutibili o sbagliati sono esposti con onestà intellettuale e chiarezza esemplare; come se Mila facesse capire che la verità non è tutta lì, e incitasse ad andare oltre, a farsi anche un’opinione propria. E d’altra parte, in certi saggi più analitici e concentrati, su Wagner, su Stravinsky, su Maderna, su Dallapiccola, Mila sembra mettere da parte le scelte preventive e guardare a fondo senza precludersi il miracolo di una scoperta, il piacere di una illuminazione inattesa. Giacché, anche nel suo scetticismo per le fedi esclusive, Mila aveva una carica umana fortissima e profonda, di natura sorridente e positiva. Amava dire che diffidava di coloro che cercano Dio: evidentemente preferiva, a coloro che cercano, quelli che trovano.

In fondo, per formazione, Mila era soprattutto uno studioso e un uomo di cultura che si dedicava anche alla musica. Buon conoscitore del tedesco, aveva tradotto molti lavori letterari, e fra questi anche l’autobiografia di Wagner. Non sempre, per la verità, in modo assolutamente fedele. Sempre, però, in modo da rivelare qualcosa, da far venire alla luce qualche significato riposto. La sua non era l’epoca della filologia, in cui non credeva, o della musicologia quale scienza della musica, che guardava (e che lo guardava) con sospetto. Il suo campo era quello delle idee, delle proposte critiche di largo respiro, dei concetti e dei sistemi generali: ma attraversati non in modo astratto, bensì confrontandosi con un compositore determinato o affrontando un’opera, spesso ritornando e insistendo sull’uno o sull’altra. Ed è qui che il suo lavoro rimane ancora oggi vivo, e le impressioni che se ne ricavano autentiche.

Del resto, alla passione per la musica Mila univa quella per l’alpinismo. Dove ciò che conta non è solo arrivare alla cima, ma anche cercar di compiere una buona scalata, e darne testimonianza anche agli altri: ciò che, fuor di metafora, Mila seppe fare con i suoi allievi, creando una vera e propria scuola. E ciò anche se, una volta arrivati in vetta, il panorama non è esattamente quello che ci saremmo aspettati. Questa funzione di guida Mila ha sempre esercitato con candore e generosità, senza imporre niente agli altri: per questo la sua è stata una presenza importante, sotto il profilo anzitutto umano, non disgiunto da quello dello studioso, che il tempo si incaricherà di definire.

da “”Il Giornale””

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