Come i Greci consideravano l’arte delle muse”
Per i Greci la «musica» non era l’arte dei suoni, men che mai nell’accezione moderna della creazione artistica basata sulla relazione fra i suoni, ma 1’«arte delle Muse»„ archetipo di un legame intimo, strettissimo, fra poesia, canto e danza. All’inizio, dunque, non un linguaggio autonomo dotato di leggi indipendenti e di spazi infiniti, ma una forma di espressione che potenziava l’effetto della poesia, l’atto per eccellenza creativo, e si mostrava, venendone quasi spiegata, per mezzo della danza. In questo connubio, che le rendeva reciprocamente dipendenti ma non del tutto vincolate, le tre arti gemelle nobilitavano con la loro presenza tutte le occasioni della vita comunitaria, secondo rituali differenziati che anteponevano comunque, almeno fino all’estinguersi dell’età classica, alla tentazione del nuovo il rispetto vigile della tradizione.
Della musica greca propriamente intesa noi sappiamo poco o nulla. Poco più di una ventina sono i testi musicali sicuramente autentici a noi pervenuti, per di più nella maggior parte molto lacunosi e forse neppure troppo rappresentativi. Giacché se è vero che era prassi consueta presso i Greci comporre musica per l’occasione particolare in cui doveva essere eseguita, senza preoccuparsi di affidarla alla scrittura, è altrettanto vero che queste singole composizioni utilizzavano un repertorio di melodie-tipo (ossia di modelli normativi variamente adattabili alle circostanze) rielaborate nell’esecuzione improvvisata sia vocale sia strumentale senza tuttavia ch’esse perdessero la loro identità. Ed è proprio nel modo per noi imperscrutabile in cui avvenivano queste trasformazioni che risiede il mistero affascinante del sistema musicale dei Greci.
Su di esso, e più in generale sull’importanza — grandissima — che l’esperienza musicale aveva nella civiltà greca, getta nuova luce il volume che raccoglie gli atti del convegno su La musica greca antica svoltosi a Urbino nel 1985: con contributi di varia natura, specialistici ma non destinati solo agli specialisti. Il fatto che la maggior parte di essi non provenga da musicologi bensì da altri settori (filologi, teorici, esperti della metrica e della sociologia) conferma che la conoscenza della musica greca passa per vie indirette e trasversali, alla cui base stanno testimonianze che spaziano dalle arti figurative alla poesia, dalla riflessione filosofico-paideutica (giacché per i Greci la musica rivestiva una funzione eminentemente formativa ed educativa) alla speculazione matematica.
Paradossalmente la «decadenza» cominciò quando la musica volle conquistare il proprio rango e diventare un linguaggio autonomo, incrinando la mitica unità del arti. Significativamente Timoteo di Mileto, il gran protagonista della nuova musica vissuto nel V-IV secolo aveva affermato: «Non canto ciò che è antico: il nuovo è molto meglio: Oggi regna il giovane Zeus, mentre una volta Cronos era il Signore. Al diavolo l’antica musa!». Per tutta risposta, gli Spartani i imposero con un decreto di tagliare dalla sua cetra quattro o cinque corde da lui aggiunte all’eptacordo tradizionale e di abbandonare il molle genere cromatico per il severo enarmonico.
Bruno Gentili e Roberto Pretagostini (a cura di), «La musica in Grecia», Laterza, 317, lire 42.000.
da “”Il Giornale””