A Monaco il capolavoro di Prokofiev nel centenario della nascita
Monaco – Forse perché Mozart lo ha già in repertorio quasi tutto da parecchio tempo, l’Opera di Stato di Monaco ha aperto l’anno nuovo festeggiando un altro anniversario, il centenario di Sergej Prokofiev (1891-1953). E lo ha fatto alla grande, riproponendo uno dei suoi capolavori e un classico del teatro musicale d’avanguardia, L’amore per le tre melarance (questo è il titolo esatto dell’originale russo), a sua volta giunto alle soglie dei settant’anni di splendida vita (la prima rappresentazione ebbe luogo infatti a Chicago, dove Prokofiev era appena emigrato, ne11921).
Monaco ha avuto il merito di presentare l’opera di Prokofiev per così dire nella sua intatta freschezza, d’istinto, senza farne motivo o pretesto di riletture critiche e di smascheramenti del teatro, e senza costruirci sopra un gioco perverso di attenzioni culturali e intellettuali. Un semplice atto di vitalità, di fantasie e di idee allo stato puro: ecco che cos’è L’amore per le tre melarance. In questa partitura concisa e pure ricchissima di spunti, sono racchiusi i più bei tesori dell’inventiva di Prokofiev. E non solo quelli di lui più universalmente noti, come il filone moderno ravvisabile in una procedura armonica di impressionante originalità, sempre evidente in un lucidissimo dominio della materia espressiva, o la vena grottesca, caricaturale e incisiva soprattutto nel ritmo (irresistibile e indimenticabile è a tal proposito la celebre marcia); ma anche in altri aspetti del comporre, anzitutto nelle classiche simmetrie del dramma e nei diversi piani della commedia e della favola, e nella densità del linguaggio musicale: che imprevedibilmente si svela nel versante lirico – come un sentimento pensoso e meditativo associato alla melodia – con squarci di intensa poesia sonora.
Ad apparir caduco oggi è proprio ciò che fu dapprima ritenuto il carattere principale di quest’opera: ossia il suo voler essere parodia (affettuosa ma decisa) del teatro tradizionale e delle sue convenzioni. Nel rielaborare la favola di Gozzi già rivisitata da Mejerchol’d nella stagione più fervente delle avanguardie teatrali russe primo-novecentesche, Prokofiev aveva sì inteso demistificare il teatro ottocentesco e negare gli ideali romantici, ma senza ripudiare – lui che sognava di comporre opere con marce, tempeste e scene terrificanti – ciò che del teatro musicale era da sempre il cuore: l’amore per la finzione intelligente e commovente, ironica e capricciosa, e per l’idea musicale elementare, da assumere non come oggetto di ripensamento e di critica ma come impulso per scatenare la fantasia e mettere alla prova, con il gusto, le capacità di inventare in modo trasparente e aperto un linguaggio e la sua dinamica. Da questo punto di vista L’amore per le tre melarance rimane un capolavoro classico del teatro novecentesco.
E proprio su questo tratto puntava l’allestimento monacense, giungendo a una completa riuscita equilibrata fra scelte sceniche e musicali. Faceva immenso piacere ritrovare una vecchia conoscenza, il regista Juri Ljubimov (sempre con il suo fedele collaboratore a scene e costumi David Borovskij) e scoprire finalmente qualità che mai si erano viste nei passati e pretenziosi lavori in Italia.
Ljubimov sembra aver smesso i panni del rappresentante di vecchie ideologie e si impegna al massimo per quello che è: un regista geniale, capace di muovere l’azione e di definire i personaggi e le situazioni con pochi tocchi caratteristici (e ne succedono di cose in quest’opera, anche molto difficili da realizzare in modo convincente e spiritoso) e di far comprendere lo sviluppo degli eventi sui diversi piani dell’azione in modo chiaro e insieme gustoso. La sua regia è una vera gioia per gli occhi, ed esalta lo specifico teatrale delle Tre melarance con brillante spettacolarità.
Ma anche l’esecuzione musicale è assolutamente esemplare. Non basta dire questa volta che essa era affidata a Wolfgang Sawallisch (ossia la sicurezza e la precisione incarnate nella figura del direttore d’orchestra) per darne l’idea dell’eccellenza. Giacché Sawallisch questa volta sembrava superare se stesso almeno in pungenza, acume e libertà espressiva. E soprattutto dimostrava di aver affrontato questa partitura credendoci fino in fondo e divertendosi un mondo a scoprirne e ricrearne tutte le preziose sfumature. Splendida sotto la sua guida l’orchestra e impeccabile la compagnia di canto, formata tutta da elementi ingaggiati stabilmente all’Opera di Monaco, proprio come accadeva un tempo.
Sembrava così di essere tornati a un’epoca in cui il teatro di repertorio costituiva davvero la spina dorsale di una intera cultura teatrale e musicale, mantenendosi ai livelli più alti e rivelandosi socialmente, artisticamente utile. E questa volta il pubblico mostrò di aver capito, e di essere grato della proposta rispondendo con meravigliose ovazioni.
«L’amore per le tre melarance» di Sergej Prokofiev all’Opera di Monaco (repliche il 12, 15, 17, 23 gennaio; i1 20 e 25 marzo; i1 21 e 24 giugno)
da “”Il Giornale””