Siena: 41a Settimana Musicale Senese

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Rinasce, nell’ambito dell’Estate Musicale Chigiana (quaranta giorni fitti di corsi di perfezionamento, seminari e concerti), la Settimana Musicale Senese, quarantunesima edizione. Che cosa significa in concreto? Un tempo – diciamo fino a cinque, sei anni fa – la Settimana Musicale Senese costituiva l’appuntamento d’obbligo di apertura della nuova stagione musicale dopo la pausa estiva, concentrando in poche giornate riscoperte di rarità musicologiche, importanti prime assolute e celebrazioni di anniversari più o meno significativi. Accadde poi, come ognun sa, che la pausa estiva sempre più divenisse un multiforme intrecciarsi di temi e di ritmi sparpagliati un po’ dovunque, sicché la collocazione stessa di Siena giocoforza mutò. E prenderne atto fu doveroso. D’altra parte, la richiesta massiccia di manifestazione musicali e la possibilità di sfruttare meglio la presenza dei prestigiosi docenti dei corsi consigliarono un ampliamento della Settimana a tempi più dilatati, distanziando, ove del caso, le diverse portate: e nacquero così “”le”” Settimane.

Il ripristino della sigla originaria è evidentemente un compromesso. La Settimana dura in realtà undici giorni, tanti quanti ne sono intercorsi fra lo stupendo concerto dei Maestri Chigiani dedicato a Mendelssohn e la chiusura affidata al violinista Shlomo Mintz, vincitore del Premio “”Chigiana”” ’84. E proprio questo premio, istituito nell’82 su donazione privata e indetto alternativamente per violino e pianoforte (se lo sono già aggiudicati Gidon Kremer e Peter Serkin), rappresenta uno dei fatti nuovi della Settimana. La quale, dopo esser passata attraverso un doveroso omaggio a Petrassi per i suoi ottant’anni e aver anticipato l’anniversario di Paul Hindemith con un concerto efficacemente rappresentativo, ha vissuto i suoi momenti più intensi con l’esecuzione della Messe de Notre Dame di Machault nella versione di René Clemencic e con la presenza della Chamber Orchestra of Europe diretta da Claudio Abbado.

Grande folla e grande entusiasmo in Duomo per Clemencic e il suo gruppo vocal-strumentale. Costoro presentavano il capolavoro trecentesco di Guillaume de Machault, uno dei più alti esempi di Messe polifoniche medievali unitariamente concepite, in una esecuzione secondo lo schema liturgico dell’epoca. Si trattava, in sostanza, di una rievocazione della prassi esecutiva originale, o ritenuta tale da Clemencic: il quale, come è noto, professa l’ideale di una fusione controllata di filologia critica e di libertà interpretativa allo scopo di rendere viva all’ascoltatore moderno l’immagine della musica antica. Così, l’esecuzione vera e propria della Messa era farcita da inserzioni vocali e strumentali affidate al coro del popolo e ai cantori del Duomo (nella fattispecie Madrigalisti senesi diretti da Giordano Giustarini) e a strumenti d’epoca valorosamente impugnati dai componenti del “”Consort”” (memorabile un assolo di ghironda di René Zosso, specie di santone dall’aspetto singolarmente contrastante con l’aria compita e professorale di Clemencic); e preceduta e seguita da una processione a inizio e conclusione della festa mariana. Si son potuti così udire stupendi virelai dello stesso Machault e di altri suoi contemporanei (sarà stata suggestione, ma la differenza di statura appariva netta); mentre d’altro canto l’esecuzione della Messa ci è parso soffrisse dei continui spezzettamenti che ne condizionavano la purezza espressiva e l’organicità costruttiva. Pur nutrendo forti dubbi sulla affidabilità della ricostruzione, va riconosciuto che Clemencic ha il coraggio delle sue scelte e una fantasia non arida: in altri termini, è difficile non lasciarsi coinvolgere dalle sue proposte, che hanno se non altro il merito di una comunicativa immediata, e per certi aspetti affascinante.

Che dire, al confronto, di un concerto di musiche d’oggi quale quello offerto da “”Chigiana Novità””? Se si eccettua il torvo, sempre più maniacale e disperato isolamento di Franco Donatoni – fedele a se stesso e alla sua dignità di vero compositore – il resto è ben poca cosa; e tra pezzi nostalgicamente tonali o “”riflessivi”” (Pousseur, Maxwell-Davies e Stuppner) e insensate sperimentazioni “”gestuali”” (Giuliano e Stroppa), quel che sembra perduto è proprio l’idea di una comunicazione purchessia. E dire che fra i nomi degli esecutori si contavano quelli straordinari di Bennici e Grillo, Meunier e Petracchi, apostoli di una religione sempre più oscura.


Musica Viva, n. 10 – anno VIII

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