Serghei Prokofiev
Sonata n. 1 in fa minore, op. 80
per violino e pianoforte
Andante assai, Allegro brusco, Andante, Allegrissimo
Durante gli anni della seconda guerra mondiale Prokofiev fu intensamente occupato da due progetti operistici di vasta portata e di tono diverso: la commedia semiseria Matrimonio al convento e la grande epopea storico-nazionale Guerra e pace. Ma secondo un suo preciso metodo di lavoro, mentre attendeva a composizioni di maggior peso, non disdegnava di tenere in allenamento la mano con piccoli pezzi, che per lo più diventavano poi opere compiute, anche di dimensioni ragguardevoli e impegnative. Fu così che nacquero allora una serie di composizioni strumentali d’impianto classico che segnano, dopo un considerevole numero di anni, il ritorno a una forma, quella della Sonata, mai teoricamente abbandonata o smessa da Prokofiev.
Questo gruppo di Sonate – tre per pianoforte, una per violino e pianoforte, una per flauto, poi adattata per violino – furono globalmente designate da Prokofiev con l’appellativo di «Sonate di guerra»; l’indicazione ha valore però appena in un senso cronologico, giacché nulla traspare in esse delle angosce e delle preoccupazioni della guerra: anzi, quasi per contrasto, esse sono caratterizzate da un ordine, un equilibrio e un controllo stilistico raramente così misurati in Prokofiev, rispondendo ad aspirazioni di chiarezza linguistica e di trasparente classicità.
L’abbozzo iniziale della Prima sonata per violino e pianoforte (in fa minore, op. 80) risale al 1938, ma la composizione fu ripresa più volte e compiuta soltanto nel 1946. Come per l’adattamento per violino della Sonata per flauto (composta nel ’43, trascritta nel ’44), Prokofiev nel dare stesura definitiva al lavoro si servì dei consigli e dell’aiuto del grande violinista David Oistrach, che collaborò alla redazione della parte violinistica e contribuì al successo di entrambi i lavori con la sua impareggiabile arte interpretativa. E sotto l’aspetto tecnico-strumentale Prokofiev, valente pianista ed eccentrico virtuoso, non gli fu certo da meno. Quanto alla sostanza musicale della Prima sonata, Prokofiev ha cercato qui di rendere il suo linguaggio melodioso e chiaro, sensibile ed eloquente, pur senza rinunciare a tenderlo con quegli slanci e quelle scabrosità melodiche e armoniche che sono tratti riconoscibili del suo stile. La ricerca della chiarezza, che a quanto pare animava allora le intenzioni del compositore, significava anzitutto riuscire a scrivere una musica chiara che fosse anche nuova e originale: ossia non necessariamente neoclassica. Il desiderio di mettere ordine nello svolgimento della creazione senza tuttavia cadere in forzate inibizioni, in altri termini ridare attualità all’ideale classico senza irretirsi in scolasticismi o artificiosi ricalchi ma puntando al nuovo (una «nuova classicità»), si risolve in una lotta fra istinto e razionalità nella quale l’autocontrollo è in funzione della liberazione e viceversa.
Il primo movimento (Andante assai) è addirittura esemplare da questo punto di vista. L’inizio del pianoforte, intimo e raccolto, quasi preludiante, lascia presagire una risoluta apertura al canto del violino. Ma non è così. Si può dire che la melodia, continuamente implicita nelle armonie del pianoforte e in procinto di sbocciare nel violino, rimanga in una posizione di attesa e non si decida a sciogliersi; essa aleggia, per così dire, soltanto nelle rapide scalette degli armonici (stupenda intuizione timbrica) e nei pizzicati del violino, come un’eco attutita e sfuggente di qualcosa che ancora non esiste e che pure riconosciamo.
L’Allegro brusco che segue introduce un movimento risoluto e spigliato, finalmente liberato nel dialogo fra i due strumenti. Ma anche qui, proprio nel momento in cui il violino prende il volo con ampio fraseggio melodico, il discorso improvvisa-mente si frena e si ricompone, quasi a tastare il terreno del suo percorso. Brevi incisi melodici e ritmici sono analizzati come possibile materiale di un nuovo inizio.
Il terzo tempo (Andante) ha propriamente carattere di studio. Studio per la tecnica e l’espressione, da cui emergono preziosità armoniche e finissime sfaccettature timbriche – ma come in uno specchio – cesellate attorno a ritmi ostinati e a semplici eppur pregnanti figure melodiche. Il tutto sullo sfondo di una sonorità lieve, smorzata.
Solo col quarto movimento (Allegrissimo) ci accorgiamo quanto poco la ricerca di chiarezza prokofieviana sia legata a una forma di tipo veramente classico. Il carattere di finale di questo movimento non conduce, come pure dapprima potrebbe sembrare, a una conclusione perentoriamente affermativa ma piuttosto al ritorno all’inizio. Non si tratta però neppure di una forma ciclica. Quel che ritorna alla fine nelle rapide volute del violino e nelle concentrate armonie del pianoforte non è una serie di figure definite ma solo un atteggiamento, di raccoglimento e insieme di meditazione, spinto verso il silenzio.
Gidon Kremer / Oleg Meissenberg
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Stagione d’autunno 1984