Sergej Prokofiev – Sinfonia n. 1 in re maggiore op. 25 «Classica»
Allegro con brio Larghetto Gavotta (Non troppo allegro)
Finale (Molto vivace)
Reduce dallo scandalo suscitato dalla «Suite scita», presentata a Pietroburgo nel gennaio 1916, per il suo primo tentativo sinfonico propriamente detto, Prokofiev intese esplicitamente rifarsi allo stile del Settecento, che del resto lo aveva già attratto anche in precedenza. La linea classica, come Prokofiev la definí nella sua Autobiografia, facendola risalire ‘ alla fanciullezza e alle Sonate di Beethoven che ascoltavo suonare da mia madre», costituisce infatti uno dei cardini della sua produzione musicale, ben oltre le giovanili imitazioni stilistiche delle Danze per pianoforte (1913) o della prima versione (1909) della «Sinfonietta». Un cardine che non necessariamente regge la porta di entrata nei domini del neoclassicismo, almeno dei neoclassicismi di Hindemith o di Stravinskij, mancando a tal scopo, se non altro, la intenzionale coscienza critica di compiere un’operazione di distacco oggettivo, storico, dai modelli di partenza. Come osserva Roman Vlad, «la decantazione e la semplificazione neoclassica non assumono in Prokofiev quegli aspetti di ascetica rinuncia e scarnificazione che definiscono il senso recondito di tante musiche neoclassiche di Stravinskij, ma nascono dalla spontanea tendenza alla piú diretta immediatezza espressiva, aliena da tormentosi approfondimenti introspettivi, che abbiamo già additato quale una delle piú autentiche caratteristiche della natura musicale di Prokofiev». Nè recupero costruttivista alla Hindemith, dunque, nè rifacimenti stilizzati e scarnificati di tipo stravinskiano; ma, al contrario, la immedesimazione nella classicità come regno dell’ordine, della limpidezza in una trasparente lineare spontaneità, corrente con bene ordinata sicurezza, nello svolgersi di forme pure, ma non astratte, nutrite d’immagini vive. Appunto, una Sinfonia come avrebbe potuta scriverla uno Haydn del Novecento (Haydn, non Mozart né il primo Beethoven), che, arricchitisi i mezzi, fosse rimasto fedele a quel mondo, a quel buon spirito antico, prima della brusca sterzata imposta da Beethoven alla storia delle forme e dei contenuti classici.
Quel che se mai accomuna Prokofiev alle correnti neoclassiche del Novecento è una comune reazione al romanticismo, al sovraccarico di soggettivismo sentimentale (e di contenuti extramusicali) dell’Ottocento, una reazione avviata dalla necessità di recuperare il senso e la pratica dei valori musicali puri, incontaminati da ogni eccesso. Chiedersi della liceità, e della serietà, di simili soprannaturali recuperi, in anni in cui il mondo stava vivendo radicali capovolgimenti (una guerra mondiale in corso, la rivoluzione russa alle porte) e lo stesso linguaggio musicale pagava con l’angoscia una crisi di identità di portata immensa, sarebbe fatica sprecata. Conviene piuttosto spostare la domanda e chiedersi in che cosa consista allora il valore di una partitura come la « Sinfonia classica
Ebbene, nell’essere il suo autore, e non sembri un paradosso, un musicista autenticamente moderno, oltre che un compositore istintivo fino all’ultimo capello. Quel Prokofiev che, leggendo Kant, giungeva fino a identificarsi con Haydn, una volta assunto, aproblematicamente e senza conflitti drammatici, il campo d’azione, lo coltiva a suo modo, seminando a piene mani le proprie doti piú autentiche: che non sono soltanto quelle di un magistero tecnico di prim’ordine, ma anche di una chiarezza d’idee e di una capacità creativa innate. L’accento che Prokofiev impone è tutto interno alla musica, scava a fondo nella materia musicale: l’armonia, il ritmo, la melodia, il contrappunto, per non parlare della strumentazione. Questo è il suo terreno di battaglia. Dove, appunto, si rivela appieno la sua modernità, sullo sfondo di una elegante ironia sorridente, mai distruttiva, frutto di un atteggiamento spirituale che non si cura di nient’altro che della musica: il che poi significa brillantezza e sguardo lieto, adeguamento della soggettività, per quanto raffinata essa sia, alla disciplina della forma, saldezza e sicurezza nelle convenzioni, senza sentimentalismi o aberrazioni tecniche di sorta.
La «Sinfonia classica» non implica dunque, proprio in virtú della modernità di cui è nutrita, alcuna idea di imitazione pedissequa o di asservimento a schemi prestabiliti, ma è invece una ricreazione musicale di forme antiche con spirito e mezzi moderni. E la modernità di Prokofiev si rivela, come detto, nel terreno concreto del processo musicale, in certi scarti armonici che pur senza stravolgerlo «arricchiscono» il discorso musicale (si pensi soprattutto allo sviluppo e alla ripresa del primo tempo in forvia di sonata, tutto giocato sul serioso contrasto fra i due temi in re maggiore e in la maggiore); o in certe pungenze ritmiche addirittura straordinarie della partitura, dove il ritmo si fa, oltre che scheletro della composizione, carne viva dell’organismo sonoro o, infine, nella fantasia e ricchezza della strumentazione, dove l’umorismo di Prokofiev rifulge in continue, inaspettate soluzioni timbriche.
I quattro tempi della Sinfonia seguono rigorosamente la successione dei modelli classici: cosí, al primo tempo in forma di sonata, segue un Larghetto molto espressivo e appena increspato di nostalgia, con, tra le righe, un timido accenno di ironia. Il terzo tempo, una Gavotta sull’esempio stilizzato delle danze di corte settecentesche, si raccomanda come il gioiello di tutta l’opera, che ha poi nel finale (Molto vivace), impetuoso e spumeggiante il rituale baldanzoso lieto fine. II tutto in quindici minuti di musica bellissima.
Juri Temirkanov / Carlo Chiarappa
Ente autonomo del Maggio Musicale di Firenze, Concerti 1979/80