«Trascorsi l’estate del 1917 nella più completa solitudine vicino a Pietroburgo; leggevo Kant e lavoravo molto. Il pianoforte l’avevo lasciato di proposito in città. Avevo l’intenzione di comporre un opera sinfonica senza l’aiuto del pianoforte. In una tale opera i timbri orchestrali avrebbero dovuto essere più puri. Nacque così l’idea di una Sinfonia nello stile di Haydn, poichè la tecnica di Haydn mi era divenuta più familiare in seguito agli studi compiuti nella classe di Cerepnin… Credo che se Haydn fosse vissuto fino a oggi avrebbe mantenuto la sua scrittura arricchendola però di alcune novità, volevo dunque comporre una Sinfonia in questo genere, una Sinfonia in stile classico. Qunado cominciò a prendere forma concreta la battezzai col nome di Sinfonia classica». Così Sergej Prokofiev (1891 – 1953) nella sua Autobiografia. Condotta a termine verso la fine dell’estate 1917, la Sinfonia classica fu eseguita per la prima volta sotto la direzione dell’autore a Leningrado il 21 aprile 1918, due settimane prima che Prokofiev lasciasse la patria per recarsi in America. La Sinfonia classica è opera emblematica di un musicista del Novecento che seppe conciliare, senza conflitti drammatici, modernità e tradizione. Essa non implica dunque, proprio in virtù della modernità di cui è nutrita, alcuna idea di imitazione pedissequa o di asservimento a schemi prestabiliti, ma è invece una ricreazione musicale di forme antiche con spirito e mezzi moderni. E la modernità di Prokofive si rivela, hic et nunc nel terreno concreto del processo musicale; in certi scarti armonici che, pur senza stravolgerlo, «arricchiscono» il discorso musicale; o in certe pungenze ritmiche addirittura straordinarie di cui è disseminata la partitura, dove il ritmo diviene, oltre che scheletro della composizione, carne viva dell’organismo sonoro; o, infine nella fantasia e ricchezza della strumentazione, dove l’umorismo di Prokofiev rifulge di continue, inaspettate soluzioni timbriche.
I quattro tempi della Sinfonia seguono con rigore la successione del modello classico: così, al primo tempo in forma di sonata, segue un Larghetto intimamente espressivo e appena increspato di nostalgia, con, fra le righe, un timido accenno di ironia. Il terzo tempo, una Gavotta sull’esempio stilizzato delle danze di corte settecentesche, si raccomanda come il gioiello di tutta l’opera, che ha poi nel Finale (Molto vivace), impetuoso e spumeggiante, il rituale baldanzoso lieto fine. Il tutto in appena quindici minuti di musica bellissima.
Pierluigi Urbini / Orchestra Haydn
Orchestra Haydn Orchester, XXIII Stagione 1982-83, Rovereto, Bolzano, Trento