Sergej Prokof’ev
Romeo e Giulietta
Brani dalla Suite n. 2
L’infanzia di Giulietta (Vivace)
Danza (Vivo)
Romeo al sepolcro di Giulietta (Adagio funebre)
Le musiche per il balletto Romeo e Giulietta e furono composte nell’estate del 1935 su commissione del teatro Kirov di Leningrado. Il soggetto, al cui adattamento collaborò lo stesso Prokof’ev, prese la forma di un grande balletto in quattro atti e dieci quadri, che segue fedelmente il dramma di Shakespeare. Per sopravvenuti e imprevisti impegni, il Kirov dovette rimandare l’impegno di qualche tempo, cosicché il balletto fu dato in prima assoluta a Brno nel dicembre del 1938 e approdò sulle scene russe a Leningrado soltanto 1’11 gennaio 1940: la coreografia era dovuta a L. Lavronskij, le scene e i costumi a P. Vilijam, mentre gli interpreti principali erano C. Sergeev e la celebre Galina Ulanova. Anche sulla scia di questo successo Prokof’ev si lasciò convincere a comporre un altro grande lavoro, Cenerentola, che con Romeo e Giulietta valse a conquistargli un posto di rilievo nella storia del balletto e ad arricchire la sua già copiosa produzione sinfonica.
Prima ancora che la partitura completa fosse pubblicata, infat-ti, Prokof’ev ne trasse due suites sinfoniche di sette pezzi ciascuna, edite separatamente nel 1938 ma eseguite già nel 1936 (una terza suite, di interesse assai minore, fu messa insieme nel 1946 utilizzando altri sei pezzi: col che in totale abbiamo venti dei cinquantadue numeri del balletto completo). Benché anche il balletto abbia avuto numerose esecuzioni, figurando anzi tra i capisaldi del repertorio, è indubbio che la piú vasta notorietà di queste musiche sia dovuta alla circolazione nelle sale da concerto e al favore di cui esse hanno goduto presso i direttori d’orchestra; poco inclini, come si sa, a cimentarsi con il balletto quando non vi siano riconosciute l’autonomia e la qualità della musica. Nel caso di Prokof’ev, però, la libera scelta dei pezzi, non legata allo svolgimento della trama, e la varietà con cui essi sono costruiti e accostati secondo criteri anzitutto musicali, sulla base di una netta contrapposizione delle atmosfere espressive, consentono di fatto una vita autonoma e raggiungono un valore propriamente sinfonico: nel quale i caratteri piú tipici dello stile di Prokof’ev, come l’asprezza ritmica, l’originalità armonica, la fantasia timbrica, l’effusione lirica, si fondono in un equilibrio esemplare; non accontentandosi di essere illustrazione bensí puntando a interpretare e rivelare il significato di uno stato d’animo o di una situazione drammatica. Essi vengono cosí risolti in invenzione caratteristica e sviluppati in un linguaggio che cerca di acquisire, con gli elementi che via via figurano in primo piano (e si tratta all’inizio per lo piú di spunti ritmici o di idee melodiche), la massima evidenza espressiva e «plastica».
Ne risulta che sia possibile ritagliare ogni volta un proprio itinerario all’interno di quello piú vasto rappresentato dalle serie complete delle suites: giacché in un certo senso ogni brano è compiuto in sé e si collega senza difficoltà agli altri. Nel programma di questo concerto è mantenuto un filo narrativo che tocca i momenti salienti della vicenda; alternati, proprio al fine di sottolineare anche le diversioni piú estrose e virtuosistiche, con numeri di danza che interrompono la tensione drammatica.
«I Montecchi e i Capuleti», che in origine apre la seconda Suite, espone il tema della profonda inimicizia che divide le due famiglie e che sarà all’origine della tragedia. Come un funebre presentimento, l’introduzione lenta (Andante) evoca un clima oppressivo e minaccioso; poi, con scatto perentoio, una figura tematica massiccia e marcata (Allegro pesante) s’incarica di raffigurare l’insensata violenza di un contrasto inconciliabile e distruttivo: tanto piú commovente appare il delicato squarcio lirico (Moderato tranquillo) che cerca quasi di piegare la forza di quella minaccia e di ricomporla. Per esserne poi di nuovo, e con ancora maggiore violenza, travolta.
Una «Danza» (Vivo, numero 4 della Seconda Suite), nella quale rifulge l’alto magistero dell’orchestratore sull’invenzione di una bellissima melodia dell’oboe, precede uno dei pezzi piú intensi e toccanti dell’intera composizione: «Romeo al sepolcro di Giulietta». Questo Adagio Funebre, che chiude la seconda Suite, è un ampio, disperato canto di morte intriso di dolente stupore e poi di indicibile rassegnazione, nel quale il compianto dell’amante sulla tomba dell’amata assume a poco a poco i toni della trasfigurazione e diviene esso stesso un inno d’amore. Con fine psicologia, Prokof’ev deterge questo canto di ogni inquietudine armonica per approdare alla pura luminosità di un do maggiore concentrato e sublimato, che ha davvero le proporzioni della catarsi tragica e della profonda «moralità» shakespeariana.
Piero Bellugio / Michele Campanella
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Concerti 1986