Sergei Prokofiev – Concerto n. 3 in do maggiore
Negli anni compresi fra le due guerre la vasta popolarità di cui Prokofiev godette si basava non soltanto sulla sua attività di compositore, ma anche su quella di esecutore al pianoforte, conosciuto e applaudito in tutto il mondo; e non diversamente da altri grandi compositori-esecutori che lo avevano preceduto o gli erano contemporanei (da Mozart fino a Liszt e Busoni, a Bartók e a Stravinski), egli scrisse opere pianistiche anzitutto per favorire la propria carriera concertistica, contemperandone nello stesso tempo i bisogni sempre piú necessari di successo con la ricerca in campo piú propriamente compositivo.
Senza contare opere come gli Studi, i Pezzi caratteristici, le Sonatine e perfino la celeberrima Toccata, è nelle nove Sonate (composte in un lasso di tempo che va dal 1909 al 1947) e nei cinque Concerti per pianoforte e orchestra (che abbracciano un periodo piú breve, dal 1912 al 1932), che l’arte pianistica di Prokofiev si esplica al massimo grado e in tutte le sue facce, testimoniando non soltanto l’ampiezza delle possibilità tecniche ed espressive da lui ricavate dal pianoforte, ma anche i tratti piú marcatamente peculiari della sua poetica e gli sviluppi stessi sul piano dello stile e della libertà formale. Significativamente, la sua evoluzione comprende tutte le grandi tappe della storia musicale del primo Novecento, dal ripensamento della tradizione classico-romantica non soltanto europea, agli approdi all’espressionismo e poi al neoclassicismo, fino agli esiti piú personali e genuinamente « russi » dell’ultimo periodo. Il « Terzo Concerto», iniziato nel 1916 (ma il tema da cui muovono le variazioni del secondo tempo è addirittura anteriore), fu portato a termine solo nel 1921, accompagnando cosí il compositore attraverso le peregrinazioni dei difficili anni di guerra fino all’arrivo in America (e infatti il Concerto fu eseguito con grande successo per la prima volta a Chicago il 16 dicembre 1921, con l’autore al pianoforte).
Pur non soffrendo in se stesso di discontinuità o di sbalzi di umore, esso risente senza dubbio in modo particolare l’influenza della vicinanza cronologica con l’opera «L’Amore delle tre melarance » (1919) e col balletto « Il Buffone » (1921) : « nel senso che porta da un Iato all’estremo gli elementi caricaturali e grotteschi di cui Prokofiev era maestro, e nello stesso tempo sa evocare atmosfere liriche e quasi sognanti tipiche del mondo fiabesco di quelle composizioni teatrali » (G. Manzoni).
Il tema del breve « Andante » che introduce il primo movimento, <<Allegro>>, richiama nella distesa melodia del clarinetto solo i modi dell’autentico carattere russo, quale appare nel mondo nostalgico e insieme sognante di Mussorgski. Questo tema, immesso nel circolo della forma-sonata su cui è basato l’« Allegro », condiziona lo sviluppo stesso del movimento, in un’alternarsi di sezioni ora liriche ora caratterizzate, in un rinnovarsi continuo di passaggi di grande effetto, secondo la matrice percussiva e l’intonazione burlesca piú tipiche del pianismo di Prokofiev.
Il secondo movimento è nella forma del « tema con variazioni ». AI tema, un « Andantino » dalla misteriosa fisionomia su un semplice ritmo di marcia, seguono cinque variazioni, caratterizzate in maniera contrastante sotto il punto di vista timbrico nel dialogo fra strumento solista e orchestra: la quarta variazione, « Andantino meditativo », un pezzo intimistico di severo nitore espressivo, fa da solo giustizia di molti dei luoghi comuni sulla presunta esteriorità della sostanza compositiva di Prokofiev.
Infine, coll’« Allegro ma non troppo » finale, si fa ritorno al clima inquieto del primo movimento, in un vigore costruttivo quasi toccatistico negli accenti ritmici e nei contrasti dinamici del pianoforte, che Prokofiev stravolge nei furori di una tecnica trascendentale, a cui l’orchestra tiene dietro con inesauribile varietà di colori e di risposte.
Peter Maag / Maria Tipo
Ente autonomo del Teatro Comunale Fiorentino, Stagione Sinfonica d’autunno 1976