Nel ’92 Messiaen, Janàĉek e un ricco programma teatrale diretto da Stein
Salisburgo – Dopo tante illazioni, anticipazioni e ipotesi più o meno fondate, ora sappiamo quale sarà il futuro del Festival di Salisburgo: in una conferenza stampa alla Felsenreitschule, gremita sul palco e in platea come a una recita, i triunviri chiamati a reggerne le sorti, Gérard Mortier, Hans Landesmann e Heinrich Wiesmiiller, hanno non soltanto illustrato il programma del 1992, già definito e stampato in ogni dettaglio ma fornito anche le basi e gli indirizzi delle prossime scelte artistiche e culturali.
Molti i fatti nuovi. Quelli che saltano subito agli occhi riguardano l’apertura decisa alla musica contemporanea e l’ambizione di fare di Salisburgo una vetrina delle diverse tradizioni culturali europee: slave e francesi in primo luogo. Per la prima volta appaiono nel cartellone autori e interpreti finora regolarmente esclusi; e il rinnovamento dei programmi, perseguito in modo radicale, si rispecchia anche nei concerti, con proposte meno ripetitive e pensate in funzione di precisi nodi tematici, non classici. Scompaiono così quasi del tutto Briickner e Brahms, e al loro posto fanno il loro ingresso Janacek e Berlioz, e tutti gli autori del Novecento storico. E cambia anche l’aspetto organizzativo, con l’introduzione di pacchetti di abbonamenti settimanali a prezzi ridotti per chi voglia seguire in modo articolato le manifestazioni del Festival: prenotabili fin da adesso.
L’impegno produttivo è forte, già nel 1992. Nel corso dei consueti quaranta giorni di durata del Festival si avranno otto produzioni operistiche, ognuna replicata da quattro a sei volte; e sei di queste sono nuove: La clemenza di Tito e La finta giardiniera di Mozart (dirette rispettivamente da Riccardo Muti e Sylvain Cambreling, entrambe allestite da Ursel e Karl-Ernst Herrman), Die Frau ohns Schatten e Salome di Strauss (la prima diretta da Solti, regia di Friedrich; la seconda con Dohnanyi e Bondy regista), Da una Casa di morti di Janacek (Claudio Abbado, Klaus-Michael Grüber) e Saint François d’Assise di Messiaen (Esa-Pekka Salonen, regia di Peter Sellars). Per l’anniversario rossiniano verrà eseguito Tancredi in forma di concerto, mentre l’unico titolo superstite della vecchia gestione è Le nozze di Figaro, dirette ancora da Haitink nel mediocre allestimento di Hampe. Per il resto molta aria nuova, e un chiaro indizio di tendenza anche nelle scelte dei registi, tutti di punta e quasi tutti debuttanti a Salisburgo. Quanto ai concerti, il programrr a è più vasto del solito. Spiccano le quattro serate con protagonista Boulez e 1’Ensemble Intercontemporain, un vero e proprio festival nel Festival; nutrita la presenza delle orchestre: la parte del leone la fanno i Wiener Philharmoniker (direttori: Muti, Abbado, Solti, Haitink e Boulez), ma non mancano i Berliner Philharmoniker (due programmi con Abbado), grandi orchestre di antica tradizione (Cleeveland con Dohnanyi, Los Angeles con Salonen e Boulez, Leningrado con Temirkanov e Jansons) e nuovi complessi come la Gustav Mahler (cui è affidato il concerto inaugurale sotto la direzione di Gielen) e la Chamber Orchestra of Europe, che eseguirà la Missa solemnis con Harnoncourt. Non meno folto il contorno di Liederabende, di solisti (dalla Norman a Pollini) e di musica sacra (molto Messiaen) nei luoghi tradizionali della città.
Ma è più nel teatro, di cui è responsabile nei prossimi tre anni Peter Stein, che Salisburgo ritorna ad essere, come fu agli inizi con Reinhardt, un punto di rnerimento essenziale. Stein stesso metterà in scena alla Felsenreitschule il Giulio Cesare di Shakespeare, prima parte della trilogia romana che sarà completata nei due anni successivi; Andrzej Wajda curerà invece la regia delle Nozze di Stanislaw Wyspianski, mai rappresentata fuori della Polonia. Altra conferma di una vocazione internazionale che Salisburgo sembra rivendicare anche a costo di perdere molto del suo passato. Con incognite tutte da verificare.
Festival di Salisburgo 1992 (dal 26 luglio al 30 agosto)
da “”Il Giornale””