Il contributo che il Teatro Sociale di Rovigo recava quest’anno alla collaudata collaborazione con il Comunale di Treviso e, fatto nuovo, a quella con la Fenice di Venezia e con i Teatri di Bergamo e Brescia, verteva su due impegnative nuove produzioni, Norma e Il turco in Italia, quest’ultimo addirittura in prima esecuzione a Rovigo. E proprio dal Turco in Italia si è avuta l’indicazione di come anche un teatro minore possa battere strade di assoluta dignità e giungere pur con forze limitate a risultati di seria qualità artistica. La ricetta sembra a prima vista semplice: trovare un diretttore tanto congeniale all’opera scelta quanto disposto a lavorarci con cordialità e impegno; riunire una compagnia di canto omogenea e ben equilibrata, non necessariamente fatta di grandi nomi; coinvolgere (il che significa responsabilizzare) e dare entusiasmo alle forze locali (orchestra, coro, collaboratori tutti), troppo spesso frenati da una sorta di atavico complesso d’inferiorità. Forse questi risultati sono possibili soltanto in presenza di un’opera, come appunto è Il turco in Italia e non per esempio Norma, d’insieme, fatta di intarsi più che di plastici rilievi; ma ciò nulla toglie alla sostanza dell’operazione e al modo davvero pregevole con cui è stata felicemente condotta a termine.
Il direttore Maurizio Arena ha avuto il merito non soltanto di portare al massimo l’Orchestra Filarmonia Veneta e il coro di volonterosi dilettanti guidati da Amelio Rigolin, ma anche di proporre delle idee interpretative e di saperle realizzare con proprietà e coerenza. La sua visione del Turco, basata sulla moderna edizione critica di Ricordi, sembra guardare decisamente in avanti verso le future prove rossiniane e non concede più del giusto alle nostalgiche rimembranze di atmosfere mozartiane, agli stupefacenti richiàmi del labirinto del Così fan tutte, evidente modello dal lato sia drammaturgico che musicale del Turco in Italia. E dunque tempi tesi, pertinenti sottolineature timbriche, cura assidua degli sviluppi dell’arco musicale.
Nella compagnia di canto, azzeccata si è rivelata la scelta di accostare a veterani della parte – Giorgio Tadeo (Selim), Renzo Casellato
(Don Narciso), Renato Ercolani (Albazar) – giovani di solida preparazione e di gusto sicuro come Graziano Polidori (Don Geronio) e Aracelly Haengel (Zaida). Su tutti, per esemplare presenza scenica e brillantezza di mezzi vocali, Alessandro Corbelli (Prosdocimo) e Fiorella Pediconi (Donna Fiorilla).
Sulle scene essenziali e funzionali di Gabris Ferrari (autore anche dei costumi), Patrizia Gracis ha innestato una regia a tratti pretenziosa, nel complesso un po’ sopra le righe, ma non priva di riusciti effetti e di illuminanti intuizioni. Era quel tocco di attualità che non guastava in uno spettacolo «all’antica », fedele alla musica e rispettoso dei valori più autentici e magici del testo.
Musica Viva, n. 1 – anno VII