Seppur non così imponente come quella di Schubert, creatore, all’alba del Romanticismo, del Lied moderno, la produzione liederistica di Schumann illumina un lato caratteristico della sua arte e rappresenta un punto di passaggio obbligato nella storia di questa forma. Da semplice quadretto di genere in forma rigorosamente strofica, espressione di una sensibilità popolare, più spesso popolareggiante, il Lied per canto e pianoforte era stato elevato al rango di forma d’arte e immesso nella tradizione colta da Mozart e Beethoven, fino a conoscere, con Schubert, sviluppi imprevedibili, e diventare il mezzo eletto attraverso il quale poter rendere l’eco di risonanze profonde, interiori, liricamente trasfigurate in una unione ideale di parole e musica; capace dunque, come nel caso degli ultimi, sommi cicli schubertiani, di interpretare le più segrete introspezioni dell’anima e dell’inconscio, le gioie e i dolori dell’uomo, le sue aspirazioni e i suoi fallimenti, il suo interrogarsi angoscioso senza riuscire a trovare risposte definitive. Così facendo il Lied si apriva la strada verso la piena inarrestabile del Romanticismo, che ne avrebbe realizzato al massimo grado le esigenze accentuando ancor più i toni di intensa soggettività e di dolorosa, sovente tragica, confessione.
E appunto con Schumann che il ciclo di Lieder come forma organizzata strutturalmente si pone nuovi compiti, individua nuove mète. Non può più bastare una raccolta di belle canzoni, ma occorre fissare un’ordinata successione di momenti che rispecchino una situazione sentimentale o morale eternamente fluttuante, e che siano legati fra loro da relazioni strettissime, quasi necessarie, e non più modificabili. Sono stazioni di un itinerario simbolico, ed emblematico, quelle che la musica ripercorre, quasi specchiandosi nella natura che circonda il viaggio esistenziale dell’uomo; e anche lo schema formale riflette le fasi di una storia che ha un inizio, uno sviluppo e una fine, ineluttabili.
Nel Liederkreis op. 39, composto nel 1840 su testi di Joseph von Eichendorff, il giro armonico è perfettamente conchiuso dalla simmetrica corrispondenza delle tonalità, dal fa diesis minore dell’inizio al fa diesis maggiore della fine. Di più. Il ciclo, composto di dodici Lieder, è diviso in due parti, la seconda delle quali ripresenta specularmente, con una lieve asimmetria interna, la stessa successione tonale. Essa si basa sui due princìpi del maggiore-minore e del circolo delle quinte, e richiama quindi da vicino l’ordinamento dato da Chopin ai suoi Preludi op. 28. A ciò va aggiunto che il momento culminante di tutto il ciclo, rappresentato dal Lied Schöne Fremde (Bella lontananza), cade esattamente alla metà, ossia nel sesto pezzo, ed è nella tonalità di si maggiore, l’unica a non ripresentarsi più nella seconda parte; per cui si noti anche la sottile ironia in relazione al titolo.
Questa prodigiosa, modernissima sensibilità costruttiva, certamente simbolica, dà alla scrittura le sembianze di una massiccia architettura articolata su più piani, dove distinguere melodia e accompagnamento è praticamente impossibile. Il pianoforte non si limita ad accompagnare e ad affermare, ma replica, contrasta, interviene, contraddice; la voce si inabissa in esso per riemergerne trasformata, si contrae continuamente, continuamente si rinnova distendendosi, in un tempo mobile che segue soltanto le misure dell’espressione, del significato poetico e musicale. E anche il rapporto con il testo muta. Il suono non lo illustra, lo interpreta. Non descrive; ricrea, ambiguamente, suggestioni nate nell’animo del musicista ascoltando la parola del poeta. Alla dimensione lineare del canto, il pianoforte oppone una stratificazione verticale, addensando in uno molti, molteplici significati: nasce di qui quella scrittura densa e frastagliata, intrecciata fino all’inestricabile, che distingue Schumann dagli altri liederisti e che sarà, dopo di lui, ma assai più purificata e oggettivata, di Johannes Brahms.
Peter Doss, Ulla Casalini
Ente autonomo del Teatro Comunale di Bologna