La celebre luce del Tristano
Come, odo la luce?
(Tristano, III, 2)
Che la notte duri per noi in eterno!
(Isotta, II, 2)
“”Per pietà del più bel sogno della mia vita, per amore del giovane Sigfrido, è necessario che io porti a termine i miei Nibelunghi. Ma poiché nella mia vita non ho mai gustato la vera felicità dell’amore, voglio innalzare a questo che è il più bello di tutti i sogni un monumento nel quale, dal principio alla fine, sfogherò fino a saziarlo appieno questo amore. Ho in mente l’idea di un Tristano e Isotta, una concezione musicale della massima semplicità e però quant’altra mai intensa e concreta: dopo, nella bandiera nera che sventola alla fine, voglio avvolgermi e morire””. Benché questo passo della lettera scritta da Richard Wagner a Franz Liszt il 16 dicembre 1854 da Zurigo sia ultrafamoso e stracitato, è impossibile prescinderne in qualsiasi nota che tratti del Tristano: giacché esso è insieme premessa ed epigrafe dell’opera teatrale più sconvolgente che sia stata mai composta, discendente dalla tragedia classica e rivoluzionaria nella sostanza e nella forma, punto di non ritorno nella storia dell’opera romantica e punto di partenza di tutta la musica moderna. Tre anni prima di iniziarne la stesura, nel pieno del travaglio creativo alla Tetralogia dell’Anello del Nibelungo, allora giunto quasi alla fine della Walkiria, Wagner non soltanto comunicava all’artista che per lui era come un fratello l’idea generatrice di un progetto, ma confidava anche all’amico uno stato d’animo, un sentimento pronto a realizzarsi con piena consapevolezza di sé. Tristan und Isolde è il sogno artistico di un amore ideale, e come tale assorbe nell’opera d’arte, trasfigurandolo, un impulso irrefrenabile alla beatitudine e alla sofferenza. Oltre che sentimento, è espressione di una visione del mondo intrisa di profondo pessimismo, legata a una stagione irripetibile della vita, nella quale le stesse esperienze vissute si interiorizzano e si trascendono nell’urgenza di definire un valore altrimenti irraggiungibile: la perpetua, struggente mobilità del desiderio, la Sehnsucht – la nostalgia – di un sogno senza tempo e senza spazio, al di là non solo della storia ma anche del mito.
Solo in questo rapporto acquistano significato le due esperienze concomitanti vissute dall’autore negli anni della nascita del Tristano. Da un lato la burrascosa vicenda sentimentale che lo legò a Mathilde Wesendonk, moglie del ricco commerciante svizzero presso il quale Wagner aveva trovato ospitalità in uno dei periodi più cupi del suo esilio dalla Germania; dall’altro la lettura, avvenuta nel 1854 ossia nell’anno della concezione del dramma, dell’opera capitale di Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, nella quale Wagner vide, più ancora che la chiarificazione filosofica di una visione del mondo (la dissoluzione della volontà di vivere nell’innata tragedia del cosmo), una potente intensificazione a creare: trovando un’espressione estatica ai tratti fondamentali di quella filosofia e riscattando dalla tragica illusorietà del mondo esteriore il più ispirato anelito alla vita e all’amore.
Il primo progetto di un dramma musicale sull’amore di Tristano e Isotta risaliva all’autunno del 1854. Verso la fine dell’anno Wagner tracciò un abbozzo del testo, ora perduto, forse distrutto in seguito da lui stesso. Durante il 1855, il 1856 e la prima metà del 1857 proseguì la composizione della Tetralogia (i quattro poemi drammatici erano stati già compiuti e pubblicati nel 1853) fino al termine del secondo atto del Sigfrido. Qui Wagner interruppe il lavoro e “”con molte lagrime”” si congedò dal giovane eroe: il completamento del gigantesco Anello pareva impensabile prima di un futuro molto lontano, e quando fossero state terminate le partiture della Tetralogia si sarebbe posto il problema di dove mettere in scena l’opera smisurata; nel frattempo, anche la pura e semplice sopravvivenza si face-va questione sempre più impellente. Prendendo in considerazione anche le necessità contingenti, Wagner pensò di rivolgersi a qualcosa di più accessibile di quanto non fosse, in quel momento, l’Anello: qualcosa che potesse lasciargli sperare un più pronto acquisto da parte dei teatri tedeschi, un’opera “”assolutamente adatta ai tempi, che mi darà una buona e pronta rendita e mi manterrà a galla per qualche tempo””. Si illuse che il Tristano potesse assolvere a questi requisiti, pensando che esso avrebbe richiesto un numero ridotto di personaggi, cori praticamente inesistenti, un allestimento scenico elementare: in quel momento neanche s’immaginava che il Tristano sarebbe risultato il lavoro più arduo che il mondo avesse mai veduto in qualsiasi genere drammatico.
L’idea della tragedia d’amore, fattasi in lui necessità imperativa, riprese con nuova convinzione e venne elaborata a Zurigo tra l’aprile e il settembre 1857 nel poema in versi, preceduto da un minuzioso abbozzo in prosa che già conteneva numerosi spunti musicali. I1 31 dicembre 1857 il poema terminato venne dedicato all’amica e amata Mathilde Wesendonk, che rimase l’inerlocutrice privilegiata durante tutta la genesi del lavoro. Nel frattempo, il 1° ottobre, era cominciata la composizione del Prino Atto, che si protrasse fino alla primavera dell’anno seguene. Dopo una breve e non significativa interruzione (non almeno tale da raffreddarne il flusso), nel maggio del ’58 Wagner si gettò a capofitto nel Secondo Atto, che fu completato aVenezia, dove nell’autunno l’amante infelice era fuggito per segregarsi in solamento e concentrarsi sull’opera: “”Qui terminerò il Tristano a dispetto dei furori del mondo… Da qui il mondo apprenderà a sublime infelicità dell’amore più alto, i lamenti del più doloroso rapimento””. A Venezia, durante la composizione del Secondo Atto, iniziò la stesura del Terzo, portata poi a termine a Lucerna in cinque mesi, dal marzo al luglio 1859: 1’8 o 9 agosto di quell’anno anche la partitura poteva dirsi finita. Qualche tempo dové però ancora passare prima che il Tristano vedesse la luce sulla scena e iniziasse il corso trionfale della sua affermazione: la prima rappresentazione avvenne infatti a Monaco il 10 giugno 1865 sotto la direzione di Hans von Bülow, preceduta da una prova generale per uno spettatore d’eccezione, re Ludwig II, colui che avrebbe, sulle ali di questa emozione, spianato la strada alle fortune future dell’adorato compositore.
Wagner ricavò l’argomento del Tristano da un poema del XIII secolo del Minnesänger tedesco Gottfried von Strassburg, che aveva rielaborato, su fonti disparate del secolo precedente, un’antica leggenda cortese di probabile origine celtica. Nel poema di Wagner l’azione comincia in medias res e gli antefatti, piuttosto complicati nell’originale e ricchi di digressioni, sono affidati al racconto di Isotta nella scena centrale del Primo Atto, in forma tanto espansa quanto altamente drammatica: finalizzati già all’erompere dell’azione nel suo nucleo fondamentale. L’idea che Isotta covi, insieme con il desiderio di vendetta per l’uccisione di Morold da parte di Tristano, anche la fiamma di un amore inconscio per colui che l’ha tradita, si fa strada a poco a poco nelle sue tremende e disperate invocazioni, nella tensione che monta fino al limite di rottura, nell’attesa crescente, resa al calor bianco dalla musica, di qualcosa di inevitabile. E tuttavia almeno esternamente il perno drammatico centrale è rappresentato dal simbolo del filtro magico, su cui si innestano, sul piano del testo poetico non meno che nel reticolo dei Leitmotive che l’avvolge, tratti psicologici quanto mai ambigui. Tristano e Isotta bevono la pozione credendo di darsi la morte; in realtà Brangania ha sostituito a loro insaputa il filtro di morte con quello d’amore: e ciò spiega senza fratture apparenti l’improvviso avvampare della passione. Ma per quanto il tema del filtro magico faccia parte del retroterra più consueto dei poemi-leggenda medioevali, e non solo di quello qui preso a riferimento, Wagner insinua un dubbio che mette in altra luce (o circonda di tenebre più profonde) il destino dei due amanti: Tristano e Isotta possono finalmente e impudicamente abbandonarsi alla passione che già è presente nei loro cuori nel momento in cui sanno di votarsi alla morte. In altri termini, si rivelano l’uno all’altra per consegnarsi consapevolmente alla morte, non prima però di aver riconosciuto in signo mortis il loro amore.
Il dramma vero e proprio di Tristano e Isotta comincia con il Secondo Atto, ed è conseguenza non tanto di un trucco teatrale (il filtro magico) quanto di un fato ineluttabile che già incombeva e che ora si realizza. Essi, loro malgrado, vivono ancora, ma sanno di essere consegnati alla morte, essendosi dichiarati amore credendo di morire. In un certo senso, sono già morti, ma condannati a vivere e ad amare: per questo aborriscono la luce e anelano alle tenebre. Il paradosso di tale situazione è alla base di quanto seguirà, vicenda a parte. Lo stesso tema della notte, che si trova al centro del grande duetto d’amore del Secondo Atto, più ancora che omaggio al culto romantico-hölderliniano, novalisiano e via elencando – che faceva della verità della notte opposta alla falsità del giorno uno dei cardini della propria poetica, è un presupposto necessario, inerente allo svolgimento drammatico: una sorta di camera oscura del sogno e dell’illusione, in cui Tristano e Isotta sono costretti a rinchiudersi per continuare a vivere nascondendo il loro amore. Cacciati anche di là dopo essere stati scoperti, il loro estremo rifugio sarà la memoria, ultima anticamera della morte: ambiente desolato nel quale Tristano, abbandonato alla sua solitudine resa più acuta dalla malinconica melodia del pastore che gli riporta l’infanzia, sfogherà nel Terzo Atto un delirio di terrificante violenza, tra dolore e ricordo, davvero proiettato sulle voragini del nulla, al termine del quale gli sembrerà di udire – non di vedere – la luce.
Che il filtro magico sia solo un trucco teatrale per rendere visi-bile sulla scena l’eruzione di sentimenti insondabili e profondamente inabissati nell’inconscio, lo dichiara d’altro canto la musica, e in modo inequivocabile. Il tema del filtro d’amore si presenta subito all’inizio del Preludio, unito a quello della sofferenza – insieme privazione e desiderio d’amore – in una figura che incarna, non solo nella sua ambiguità tonale che tanti fiumi di parole ha fatto scorrere in esegeti di ogni estrazione, l’essenza stessa dell’anelito verso un ideale di redenzione. Il suo scioglimento, che avviene al termine di una “”Azione”” (Handlung, così Wagner indica in testa alla partitura: non opera, né Musikdrama) virtualmente infinita, dal flusso continuo, nella quale prolungate sospensioni ricche di eventi interiori sono bruscamente interrotte da colpi di scena tanto improvvisi quanto già prefigurati da quelle attese, è determinato dall’annullarsi del desiderio, ogni passione spenta, nel puro ideale: ossia nella realizzazione simbolica fuori dai confini del mondo – di ogni mondo possibile – di una condizione di pienezza assoluta e di completa liberazione delle tenebre nella luce.
Ciò avviene non soltanto nelle ultime parole di Isotta “”naufragare / annegare inconsapevolmente, /
gioia suprema””, dove la gioia di riunirsi a Tristano nella morte per amore diviene emblema di una
gioia cosmica, quasi estasi di un’unione mistica “”nell’ondeggiante marea, / nell’immenso fragore, / nella palpitante pienezza / del respiro del mondo””, ma anche, anzi soprattutto, nella musica: allorché il motivo del Desiderio, lo stesso con cui aveva avuto inizio l’opera, distende il suo cromatismo avvolgente in una risoluzione ascendente finalmente compiuta nella chiusa risonante di un’armonia perfetta di Si maggiore raggiunta al termine di un caleidoscopico turbinio tonale. È la musica stessa a rappresentare, con un atto non di negazione e di rinuncia bensì di superba volontà di potenza, tanto lo scioglimento del dramma quanto la raggiunta perfezione dell’ideale: ed è lì che Tristano e Isotta affondano, quasi ignari di se stessi, con gioia suprema. Sotto questo aspetto Wagner ha innalzato un monumento non soltanto al più bello dei suoi sogni e alla vera felicità dell’amore nel “”non essere””, ma anche alla capacità estrema della musica di redimere, dopo aver abbattuto ogni barriera linguistica e formale, perfino le tenebre: per “”essere””, con smisurato orgoglio, sogno e realtà a un tempo.
Il Preludio. A differenza di altri Preludi, quello del Tristano e Isotta non riassume la vicenda scenica e i personaggi dell’opera, ma concentra in una lenta elaborazione sinfonica uno stato d’animo unico ancorché dissociato. In una nota illustrativa stesa in vista dell’esecuzione di questo Preludio in forma di concerto (abitudine che rimarrà fino ai nostri giorni, in unione con il canto finale di Isotta, il Liebestod o canto d’amore e morte), Wagner scriveva che quella di Tristano e Isotta è la storia di “”un desiderio eterno, struggente, della beatitudine e della miseria dell’amore; mondo, potere, gloria, onore, cavalleria, lealtà, amicizia: tutto gettato via come un sogno senza sostanza; una cosa sola lasciata in vita: il desiderio, desiderio insaziabile, uno struggimento, una brama, un languore eternamente rinnovato; una sola via di redenzione: morte, fine di tutto, un sonno senza risveglio””. Questo stato d’animo costituisce il contenuto poetico e musicale del Preludio, che circoscrive in una lunga catena di stadi successivi quell’insaziabile passione che si dilata – è ancora Wagner a parlare – “”dalla prima timida confessione [motivi del Dolore e del Desiderio] al più dolce prolungamento [motivi dell’Angoscia di Tristano e dello Sguardo], per ansiosi sospiri, speranze e timori, lamenti e desideri, gioia e tormento, alla più possente delle sollecitazioni, allo sforzo più poderoso nella ricerca della breccia per la quale si aprisse al cuore ardente all’estremo la via che mena all’oceano dell’infinita gioia d’amore. Invano! Il cuore ricade esausto, per struggersi d’una brama che mai sarà esaudita, poiché ogni appagamento reca nella sua scia solo un rinnovato desiderio, finché nell’estrema prostrazione l’occhio languente ha la fuggevole visione del conseguimento della gioia sublime: la gioia della morte, del non più essere, della redenzione finale in quel regno meraviglioso dal quale tanto più siamo allontanati, quanto più tentiamo di penetrarvi con forza””.Questo Preludio è l’esempio perfetto di una forma musicale che non impone dall’esterno uno schema al materiale tematico, bensì sussiste semplicemente come incarnazione delle idee stesse.
Atto Primo. Una tenda sulla tolda di una nave. Isotta, principessa d’Irlanda, è in viaggio verso la Cornovaglia per andare in sposa a re Marke: il cavaliere che la scorta è Tristano, nipote del re. Dal-l’alto dell’albero si ode la voce di un giovane marinaio che canta una canzone nostalgica e malinconica (“”Westwärts schweift der Blick”” – Verso ponente vaga lo sguardo), ma che a Isotta pare irridente e allusiva al suo destino. Turbata e profondamente agitata, la donna ordina a Brangania, l’ancella fedele che l’accompagna, di condurre davanti a lei Tristano, affinché venga a renderle omaggio prima dell’approdo (“”Mir erkoren, mir verloren”” – Per me scelto, per me perduto). Nell’udire il nome di Isotta, Tristano ha un sobbalzo, ma rifiuta di abbandonare il timone che gli è affidato: vedrà Isotta solo al momento dello sbarco, per consegnarla al re. Alle ripetute insistenze dell’ancella, Kurwenal, il fido scudiero di Tristano, risponde con sarcasmo: il suo signore non deve rendere omaggio a nessuno, dato che non può essere vassallo di colei che egli stesso reca in sposa al suo re, dopo aver ucciso Morold, l’eroe irlandese che Isotta amava e che pretendeva tributi da re Marke (“”Das sage sie der Frau Isold””‘ – Questo ella dica a dama Isotta). La ciurma si unisce a Kurwenal, ripetendo le sue parole di scherno. Rimasta sola con Brangania, Isotta narra con crescente immedesimazione l’antefatto. Un giorno aveva raccolto sulle rive d’Irlanda un uomo gravemente ferito che diceva di chiamarsi Tantris, ma che era in realtà Tristano, proprio colui che le aveva ucciso il fidanzato Morold: come aveva appreso prima controntando il frammento di spada rinvenuto nella ferita mortale di Morold con l’arma di Tantris, da lei curato e guarito con filtri magici nonostante il desiderio di vendetta, e poi riconoscendo in Tantris Tristano (si noterà che Tantris è l’anagramma di Tristan), quando egli era tornato con la sua vera identità a reclamarla in sposa per re Marke. Alla sua pietà colui aveva dunque risposto con l’inganno: ciò che la sua pietà aveva risparmiato allora, la vendetta e la morte di Tristano, si deve ora compiere per entrambi (racconto di Isotta “”Den hab’ ich wohl vernommen”” – Lui l’ho sentito bene). Invano Brangania cerca di placare e di ridurre a ragione la padrona, intuendone l’angoscia e la pietà umiliata tramutatasi in amore: risolutamente, Isotta le ordina di portare i filtri magici affidatile dalla madre e di preparare, per lei e per Tristano, la bevanda di morte. Entra impetuosamente Kurwenal. Il viaggio volge alla fine, conviene prepararsi per lo sbarco. Isotta gli ingiunge di chiamare Tristano, che ora non potrà più negarsi; poi si congeda amorevolmente da Brangania, rinnovandole l’ordine del filtro di morte (“”Nun leb wohl, Brangàne”” – E ora addio, Brangania). All’eroe sopraggiunto ella ricorda con durezza la viltà e il tradimento, poi a poco a poco si placa e si addolcisce: per espiare il passato propone di bere il calice della riconciliazione e dell’oblio (“”Nun lass uns Siihne trinken!”” – Brindiamo ora alla pace.). Tristano comprende che oblio significa morte, ma non esita ad accettare. Porta la coppa alle labbra e beve. Isotta gliela strappa di mano e beve anche lei, voluttuosamente, decisa a morire insieme. Altro e già segnato è però il loro destino: Brangania ha sostituito il filtro di morte con quello d’amore. Nel silenzio attonito risuona in orchestra il motivo del Desiderio. Scossi da convulsa emozione, i due si guardano estatici in preda a un ardente desiderio, quasi riconoscendosi con terrore; immobili per un istante come in un sogno, si stringono poi in un lungo, appassionato abbraccio, mentre la ciurma urlante annuncia l’approdo e l’arrivo di re Marke con il suo seguito (“”Heil! Kònig Marke Heil!”” – Salve! A re Marke salve.).
Atto Secondo. Giardino davanti alla camera di Isotta, nel castello di re Marke. Mentre l’orchestra fa udire in lontananza le fanfare della caccia regale a cui partecipa Marke, Isotta ha dato un appuntamento a Tristano e ne attende con ansia l’arrivo. Una torcia accesa è confitta presso la porta aperta: quando verrà spenta, Tristano avrà via libera per raggiungere Isotta. Brangania, che le è accanto, invita alla prudenza: teme che il sospettoso cavaliere Melot, segretamente innamorato di Isotta e geloso di Tristano, abbia teso la trappola di una falsa caccia per smascherarli. Ma Isotta non intende ragioni: ordina all’ancella di vegliare e dà il segnale convenuto spegnendo la fiaccola (“”Lachend sie zu liischen zag ich nicht!”” – Io, ridendo, a estinguere non tremo.). Tristano entra precipitosamente gettandosi tra le braccia di Isotta in un impetuoso amplesso. Poi, dolcemente avvinti, i due amanti invocano la notte affinché custodisca il loro amore segreto al riparo dalla luce accusatrice del giorno (“”O sink hernieder, Nacht der Liebe”” – O quaggiù scendi, notte dell’amore). Brangania, che vigila dall’alto di una torre, li ammonisce che l’alba è vicina (“”Einsam wachend in der Nacht””- Solitaria vegliando nella notte); ma gli amanti, persi nella beatitudine dell’estasi amorosa, non le danno ascolto e innalzano un inno solenne all’eternità dell’amore oltre la morte (“”So starben wir”” – Così siamo morti). Proprio quando il duetto raggiunge il culmine dell’esaltazione, Brangania lancia un grido lacerante. Kurwenal entra precipitosamente con la spada sguainata per avvertire Tristano del pericolo: subito, dietro di lui, irrompono Melot e re Marke. Melot, trionfante, esulta; Marke, con profonda, accorata tristezza, chiede incredulo a Tristano come abbia potuto tradirlo nei suoi affetti più cari fino a quel punto (“”Tatest du’s wirklich?”” – L’hai fatto veramente?). Tristano non risponde; si rivolge invece a Isotta e le chiede se voglia seguirlo nel regno della notte (“”Wohin nun Tristan scheidet, willst du, Isold’, ihm folgen?”” – Dove ora Tristano s’avvia, vuoi tu seguirlo?). Isotta, in un ultimo, straziante congedo, gli risponde semplicemente di mostrarle la via. Melot, accecato dalla gelosia, balza in furore traendo la spada. Tristano, scotendosi; reagisce, accusa, lo provoca a duello e, nel momento in cui Melot gli oppone la spada, si lascia colpire senza difendersi.
Atto Terzo. Giardino del castello di Tristano a Kareol, in Bretagna. La vista si stende su un ampio orizzonte di mare. Tristano giace ferito a morte, vegliato dal fedele Kurwenal: un mesto Preludio descrive la funebre solitudine dell’eroe. Un pastore suona sulla sua cornamusa (corno inglese sulla scena) un triste, lugubre lamento foriero di lancinanti ricordi. Lo scudiero gli chiede se non sia apparsa sul mare alcuna nave: ben altra, replica il pastore, sarebbe la sua melodia se il mare non fosse deserto e vuoto. Al suono della nenia familiare Tristano si risveglia, riprende la forza, ricorda come uscendo da un sogno la propria infanzia infelice e il proprio triste passato; e via via che la forza ritorna, più spietata si fa la sua rievocazione, più disperato il suo delirio: maledice la luce, quasi accusa Isotta di non aver mantenuto la promessa per trattenersi nel regno del giorno (“”Isolde noch im Reich der Sonne!”” – Isotta è ancora nel regno del sole!). L’esaltazione raggiunge l’apice in una violenta lotta interiore con se stesso; poi a poco a poco l’angoscia si placa mutandosi in abissale malinconia (“”Muss ich dich so verstehn, du alte ernste Weise”” – Così devo comprenderti, grave, antica canzone): da ultimo Tristano si abbandona sfinito sul suo giaciglio. Mentre Kurwenal cerca di rianimarlo in un’atmosfera tornata livida e spettrale, la cornamusa del pastore annuncia con festosa eccitazione l’approssimarsi di una nave con la vela bianca, la nave che reca Isotta. Tristano, nella massima eccitazione, si strappa le bende e le va incontro: invoca il sole, crede di udire la luce, ma appena è tra le sue braccia, muore. Dopo un ultimo, struggente saluto al dolcissimo amico Isotta si accascia svenuta sul suo corpo (“”Ha, ich bin’s, siissester Freund”” – Ah, son io, dolce amico). Il pastore annuncia che un’altra nave è approdata alla riva. Scorgendo, insieme con re Marke e Brangania, anche Melot e i suoi guerrieri, Kurwenal pensa a un assalto: si scaglia su Melot e lo uccide; ferito a sua volta, muore accanto a Tristano. Re Marke inorridisce, ormai impotente di fronte agli eventi: Brangania gli aveva rivelato l’inganno del filtro ed egli era accorso per perdonare e benedire l’unione dei due sventurati amanti. Troppo tardi: le ultime parole del re sono di profondo cordoglio (“”Tot denn alles! Alles tot!”” – Morti tutti dunque! Tutti morti!). Isotta ha ripreso conoscenza ma non intende più nulla intorno a sé: fissando con crescente rapimento il volto dell’amato, intona il suo estremo canto d’amore e morte (“”Mild und leise”” – Mite e calmo). Poi, come trasfigurata, cade dolcemente tra le braccia di Brangania e muore sul cadavere di Tristano. Di questa trasfigurazione finale Wagner fornì la seguente traccia: “”Ma ciò che in vita il Fato ha diviso ecco ora nascere a nuova vita nella morte: le porte che rendono possibile l’unione sono adesso spalancate. Sul corpo di Tristano Isotta morente riceve il sacro adempimento del desiderio ardente: unione eterna in spazi sconfinati, senza barriere, senza vincoli, inscindibile””.
LA MUSICA
Il tessuto musicale del Tristano differisce da quello di tutte le altre opere di Wagner, e a maggior ragione di tutti gli altri compositori d’opera, per essere essenzialmente sinfonico, nel senso che sviluppa in orchestra, docilmente asservendo il canto, lo stato d’animo simboleggiato da un determinato motivo su una situazione scenica fondamentalmente statica. Anche l’uso della tecnica dei Leitmotive, o motivi-guida che dir si voglia, è ancor più radicale che altrove: qui si assiste infatti, più che a temi d’accompagnamento all’azione, a una sorta di incarnazione musicale di una situazione, di un personaggio, di uno stato d’animo, suscettibile di dar luogo successivamente a ogni possibile trasformazione musicale e psicologica. E sovente questi temi vengono presentati in anticipo sul momento in cui il rapporto con il testo o con la situazione scenica ne chiarirà il significato: in altri termini, essi hanno una vita quasi autonoma, sotterranea, si inabissano nel più profondo della coscienza, se non dell’inconscio, per riemergere al momento adatto con funzione chiarificatrice, esplicativa. Il dramma vero e proprio non sta in ciò che materialmente accade ai personaggi, ma in ciò che si agita dentro di loro, e che è soprattutto la musica a rivelare.
Non soltanto non c’è quindi quasi azione nel Tristano (l’intitolazione “”Handlung”” non tragga in inganno: Wagner si riferiva evidentemente a un’azione interiore), ma un’azione qualsiasi sarebbe del tutto fuori luogo: gli eventi del dramma non sono esterni ma interiori, non realistici bensì psicologici. Per contrasto con il flusso continuo e mobile, quasi a ondate, degli avvenimenti interiori, i momenti in cui veramente qualcosa accade sulla scena (la comparsa di Tristano in presenza di Isotta nel Primo Atto, l’entrata di Tristano e più tardi l’arrivo di re Marke e di Melot con la scena del ferimento nel Secondo, l’arrivo di Isotta e poi del re e degli altri nel Terzo) acquistano una forza folgorante, quasi irreale: evidenziando così che la vita di Tristano e Isotta – ciò che essi intendono per vita – è assorta in una sfera a parte, a loro soltanto accessibile, e che può essere solo messa in pericolo, vanificata, dall’improvvisa e transitoria irruzione del reale. E per converso lunghissimi, quasi infiniti, immobili e statici sono i passi in cui i personaggi monologano o dialogano fra di loro: il racconto di Isotta nel Primo Atto, il duetto d’amore nel Secondo, il delirio di Tristano nel Terzo. Sono episodi nei quali però, in assenza di un’azione in movimento (i personaggi sono come bloccati sulla scena senza muoversi), inenarrabili e insondabili tumulti avvengono nell’animo dei protagonisti.
Questo teatro che ha nella musica la sua giustificazione impone una drammaturgia affatto diversa da quella convenzionale. Essa non è per così dire di tipo lineare, ma circolare. Gli eventi non sono rappresentati dal dramma, ma evocati dalla musica.
E si tratta di una evocazione nella quale, grazie al sistema dei Leitmotive elevato all’ennesima potenza, quasi tutto si gioca sull’anticipazione e sulla memoria, come se a mancare fosse proprio l’istante vissuto nel presente. Ne è dimostrazione massima il duetto d’amore del Secondo Atto, che si potrebbe piuttosto chiamare un duetto sull’impossibilità dell’amore come passione reale: tutto è spostato in un prima e in un poi, o per meglio dire in un altrove. La parola stessa qui non è tanto generatrice della musica quanto cristallizzazione di sentimenti musicali nei simboli convenzionali dell’espressione poetica.
Wagner stesso, lo hanno notato molti studiosi, ha messo in rilievo come il suo modo di procedere fosse fondamentalmente diverso da quello consueto al drammaturgo e al poeta, quale pure egli era. Laddove questi avrebbe spiegato fin dall’inizio i fatti principali relativi ai personaggi in modo da suscitare nell’ascoltatore una reazione emotiva di fronte a loro, al loro sfondo, ai loro casi, per poi seguirli passo passo, a stazioni regolari, fino alla fine, al musicista è dato di penetrare d’un colpo direttamente nel nucleo emotivo, senza in descrizioni: tale è il potere della musica. Citiamo solo due esempi fra i tanti possibili.
Primo. Il cosiddetto “”motivo dello Sguardo”” che nel Preludio si ode intonato -dal cantabile nel registro acuto dei violoncelli annuncia già il legame che avvince i due protagonisti, ed è un legame votato tanto all’indissolubilità quanto alla dissociazione. Tutto ciò si chiarisce quando quel motivo ritorna nel racconto di Isotta del primo atto, allorché ella narra di come, in procinto di uccidere Tristano per vendicare Morold, egli avesse d’improvviso levato lo sguardo su di lei, e in un moto di repentina pietà la spada già alzata le fosse caduta di mano: è il Fato che conduce due volte, per vie tortuose, Tristano all’Irlanda e a Isotta, per tessere fili che a poco a poco intrecciano l’esistenza di lei a quella di lui.
Secondo. Che Tristano sia sin dalla nascita predestinato alla tristezza e al dolore, Wagner non ha bisogno di dircelo a parole: basta, sempre nel Preludio, quell’accenno del suo motivo (motivo dell’Angoscia di Tristano: violini primi e secondi) cromaticamente ascendente, lancinante, desolato, da ultimo reclinante su se stesso, a fornirne un ritratto. Solo nel Terzo Atto la memoria dell’eroe, ridestata dalla lamentosa melodia del pastore, si diffonderà a informarci della tragica fine dei genitori, periti nel fiore della gioventù e della bellezza, e della sua infanzia infelice.
L’anima di Tristano e Isotta ci è dunque comunicata fin dalle prime misure del Preludio, e di là si diramano impulsi disposti a raggiera su tutto il vasto organismo dell’opera. Come ha scritto Ernest Newman, “”è la musica in sé e per sé a modellare tutta la loro vita scenica in una sorta di anello, un circolo in cui non si possa ravvisare un principio e una fine: il tema del Desiderio [oboi, misure 3-4] è il primo che ci si presenti nel Preludio, e l’ultimo che risuoni nella conclusione; sicché, come di un anello, è lecito dire di quest’opera che essa comincia là dove finisce, e finisce là dove comincia””. Per essere, aggiungeremmo noi, in ogni e in nessun luogo, in ogni e in nessun tempo.
Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Stagione di musica sinfonica 2003-2004
Myung-Whun Chung, Roberto Gabbiani / Violeta Urmana, Lioba Braun, Stig Andersen, Peter Svensson, Alfredo Nigro, Alan Titus, Matti Salminen, Gabriele Ribis,Banda Musicale della Polizia di Stato, Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia