Richard Wagner – Idillio di Sigfrido

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Wagner in concerto

 

Un programma di concerto interamente dedicato a musiche di Wagner è diventato oggi in Italia una preziosa e un po’ stravagante rarità, quasi (siamo certi che qualcuno ne adombrerà il sospetto) una temeraria provocazione. Sono ormai lontani i tempi in cui tutti i maggiori rappresentanti della cosiddetta scuola storica dell’interpretazione wagneriana, da Walter a Toscanini, da Furtwängler a Knappertsbusch, inserivano regolarmente nei loro programmi concertistici non soltanto una pagina sinfonica come l’«Idillio» di Sigfrido ma anche singoli brani tratti dalle opere teatrali, o addirittura sceglievano come bis al termine dei loro concerti la cavalcata delle Walkirie o il preludio al terzo atto del «Lohengrin» (sì, la famigerata marcia nunziale), per la gioia puramente musicale, come a una festa, di ascoltatori felici di inabissarsi, sia pure per un attimo, nelle acque profonde del mitico mondo wagneriano.

Allora, Wagner era un punto di riferimento fondamentale essenzialmente come musicista, degno in tutto e per tutto, perfino come «sinfonista», di stare accanto a Mozart o Debussy, e al suo amatissimo Beethoven. E non crediamo che questa prassi significasse tradire i caratteri peculiari e la sostanza vera di quel mondo, universale in primo luogo in quanto musica, e dunque comprensibile e intatto anche al di fuori della sua destinazione naturale, che naturalmente è quella della scena. O che almeno non lo tradisse molto di più delle odierne mode che si affidano a vane farneticazioni di registi che odiano la musica, nella assurda pretesa di attualizzare o smitizzare Wagner, per renderlo nostro «contemporaneo». Come se la sua contemporaneità non stesse invece proprio nella predetta universalità e intangibilità delle sue partiture.

Sta di fatto che, dopo la guerra, una feroce polemica si scatenò contro la tradizione di proporre Wagner in versione concertistica, da parte di chi, in nome e a tutela di diritti sacrosanti, volle erigersi a baluardo di una verità tanto ovvia quanto spesso male intesa: che Wagner, avendo creato un tipo di opera d’arte totale strettamente connaturata al teatro, con una ferrea logica di svolgimento drammatico anch’essa radicata in un concetto di totalità compiuta e significante, non sopportasse esecuzioni di singoli brani staccati, anche quando essi si presentassero come forme in un certo senso chiuse e autosufficienti all’interno di quella superiore totalità. Perdutasi così quella tradizione puramente musicale che aveva avuto fra l’altro il merito non secondario di avvicinare a Wagner pubblici quanto mai eterogenei, spesso privati da ragioni oggettive e pratiche della possibilità di vederlo eseguito in teatro, si è finito per essere in contrasto, se si vuole, con le stesse intenzioni di Wagner che, nel momento stesso in cui chiariva a livello concettuale i termini della sua riforma o vagheggiava la costruzione di un teatro adatto alla rappresentazione delle sue opere (Bayreuth, il sacro tempio), non si stancava di ribadire che la sua musica racchiudeva in ogni momento il significato complessivo di un tutto, essendo ogni nota o battuta o episodio una luce autonoma riverberata su un mondo di luci infinite. Entrarci, fare il primo passo, voleva dire restare prigionieri per sempre, portare in sé il tarlo di una ricerca inesauribile, fonte di arricchimento spirituale e umano.

Tutto questo discorso non deve essere equivocato: non intendiamo di certo schierarci con quei polemisti italiani e francesi, che si fregiano di avere per condottieri nientemeno che Stravinskij e Cocteau, i quali, giudicando le opere di Wagner troppo prolisse e scenicamente improponibili, ne consigliavano la versione antologica, una sorta di crestomazia della sua musica. Tutt’altro, naturalmente. Le grandi pagine sinfoniche o i culmini dei finali d’atto non possono essere in nessun modo staccati dal contesto in cui sono sorti, e la pretesa ineguaglianza di momenti diversi è opinione astratta e preconcetta. Come ogni nota ha in sé in potenza la sostanza del tutto, così il tutto vive in ogni nota, necessariamente e realmente. È soltanto in nome della grandezza e della coerenza di Wagner, con cui avremmo bisogno di confrontarci in ogni momento, che oggi salutiamo con gioia la possibilità che viene offerta di accedere, sia pure in un concerto che non dura neanche la metà di una sua opera, nell’universo delle sue creazioni; per molti, sarà occasione di rimeditazioni e ricordi, per altri, forse, di un primo contatto dal vivo. Wagner si serve, e servendolo si dimostra di amarlo, anche cosí.

 

 

 

Richard Wagner – Idillio di Sigfrido

 

 

Il 23 dicembre Mathilde Wesendonk compiva gli anni. II 23 dicembre 1857 Richard Wagner aveva approntato per lei un regalo fuori dell’ordinario: una serenata ai piedi della scalinata della villa fuori Zurigo dove i Wesendonk risiedevano (ma Otto in quel momento era assente per motivi di affari!), con il canto «Träume» adattato per violino e piccola orchestra. È questo, come abbiamo detto, l’unico dei cinque Lieder su testi di Mathilde orchestrato da Wagner. Ma non è ciò quel che conta, quanto la singolare coincidenza con un altro analogo festeggiamento da Wagner con altrettanta trepidazione preparato. Il fatto è noto: il 25 dicembre 1870, giorno di Natale ma anche ricorrenza del compleanno di Cosima, sua seconda moglie, Wagner le dedicò il più bel dono musicale che forse mai potesse offrirle: l’esecuzione, affidata a 15 musicisti nascosti in fondo alla scalinata della villa di Tribschen presso Lucerna dove allora abitavano, del poema sinfonico «Idillio di Sigfrido», composto nell’autunno-inverno di quello stesso anno. Cosima, nel suo diario, rievoca con sincera commozione quell’avvenimento: «Era musica, e che musica! Quando finì, Wagner venne da me con i cinque bambini e mi offrì la partitura del poema sinfonico per il mio compleanno».

Cosima (1837-1930), figlia di Franz Liszt e di Marie d’Agoult, costituisce nella vita di Wagner una presenza di incommensurabile importanza, che si protrasse nel tempo anche dopo la morte del compositore, a cui sopravvisse per ben quarantasette anni tutelandone con inflessibile rigidità gli interessi legati al teatro e al festival di Bayreuth. Andata sposa ventenne ad Hans von Bülow (1830-94, famoso direttore d’orchestra allievo di Liszt, amico e sostenitore di Wagner di cui diresse, fra l’altro, la prima rappresentazione di «Tristano e Isotta»), fin dal 1863, innamoratasi di Wagner e da lui ricambiata, legò la sua persona a quella del Maestro. A differenza di Mathilde, fin troppo sensibile e piena di scrupoli, ella seppe decidersi senza indulgere a sentimentalismi: divorziata nel luglio 1870 da Bùlow, già nell’agosto dello stesso anno si univa in matrimonio con Wagner, regolarizzando cosí una situazione che aveva già dato i suoi frutti: tre figli (l’ultimo, Sigfrido, nato nel 1869, quindi ancora illegittimo), dopo i due avuti da Bülow (i cinque bambini di cui si parla sopra). Un po’ cinicamente, si potrebbe concludere che in fondo il magnifico regalo avuto da Wagner pochi mesi più tardi se lo era ampiamente meritato!

La coincidenza legata all’esecuzione non è la sola che accomuna l’«Idillio di Sigfrido» ai «Wesendonk-Lieder»: come per due di essi, infatti, ma in un processo inverso, il materiale musicale che lo compone, così ricco di personale significato emozionale, era già stato utilizzato da Wagner in una sua opera, e precisamente nel possente duetto finale del terzo atto di «Sigfrido», prima delle parole di Brunilde: «Ewig war ich, ewig bin ich» (Eterna fui, eterna io sono), che introducono la sua decisione di accettare l’amore di Sigfrido. Tale materiale musicale è costituito essenzialmente da due temi strettamente imparentati fra di loro, che Wagner aveva abbozzato nell’estate 1864 durante il soggiorno con Cosima sul lago di Starnberg, con l’intenzione di servirsene in un quartetto per archi. Soprattutto il primo, basato sulla cosiddetta melodia della pace in mi maggiore, elementare quanto intenso, era profondamente legato ai sentimenti d’amore che lo univano allora a Cosima. Ma al di là di ogni pur legittimo riferimento autobiografico o sentimentale, oc-corre dire che l’«Idillio di Sigfrido» è musicalmente una delle partiture più perfette e polite mai uscite dalla penna di Wagner, qui dispensatore finissimo di sottigliezze timbriche e armoniche in una dimensione cameristica raccolta quanto votata alla luce, e in una luce di apoteosi culminante: la pagina forse più serena e lieta di tutta la sua vita d’artista.

Alexander Sander / Ingrid Bjoner
Manifestazioni Estive 1978, Ente Autonomo del Teatro Comunale di Firenze

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