Richard Strauss – Till Eulenspiegels lustige Streiche(I tiri burloni di Till Eulenspiegel)

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Un Faust in veste di monello

 

Il personaggio di Till Eulenspiegel, protagonista di uno dei più estrosi fra tutti i poemi sinfonici di Strauss, è una di quelle figure che furono assunte dall’immaginario popolare prima e dalla letteratura poi a simbolo di un’identità nazionale al tempo della vecchia Germania: una sorta di Faust in veste di monello, turbolento inventore di burle in perpetua fuga tra paesi e città. Il vero Till sembra sia stato un buffone di corte, figlio di contadini del Braunschweig, morto durante la pestilenza del 1530. La letteratura popolare del Cinquecento ne fece un leggendario campione dell’elementare sanità e gaiezza campagnola contro la raffinata ipocrisia delle città, un astuto furfante, un gigantesco vagabondo che in pieno Ottocento, nel fortunato romanzo di Charles de Coster dedicato alla sua vita e alle sue avventure, trasmigrerà nelle Fiandre per diventare addirittura un eroe nazionale delle guerre d’indipendenza dei Paesi Bassi.

Strauss se ne innamorò assistendo nel 1889 a Weimar a una rappresentazione dell’opera Eulenspiegel di Cyrill Kistler. A colpirlo furono soprattutto i lati umoristici e scanzonati del personaggio, l’ironia beffarda sottesa allo spirito di rivolta contro la saccenteria dei benpensanti. Quella figura, tanto radicata nella solidità della storia quanto sospesa nella leggerezza della fantasia, gli parve adatta a costituire il soggetto di una nuova opera, magari con sfumati risvolti autobiografici. Il progetto si arenò, per risorgere sei anni dopo come programma non per un’ opera ma per un poema sinfonico, il quarto dopo Macbeth, Don Juan e Tod und Verkldrung. Completato il 6 maggio 1895, Till Eulenspiegel venne eseguito per la prima volta ai concerti Gürzenich di Colonia il 5 novembre dello stesso anno, sotto la direzione di Franz Wüllner.

Per quanto Strauss in una lettera al direttore della prima esecuzione negasse l’esistenza di un programma, invitando gli ascoltatori a cavarsela da sé, le peripezie di Till sono illustrate con una descrizione vivida, quasi plasticamente, perfino nei più bizzarri dettagli (come quando nell’episodio della predica di Tifi l’autore spiega che “”il controfagotto nel registro basso rappresenta il dito grosso di un piede””). L’opera è articolata in cinque episodi, evocanti altrettante avventure del protagonista, preceduti da una introduzione e seguiti da un epilogo. Nessun’altra forma sembrò a Strauss così adatta a rappresentare il vagabondare di Till come il rondò, esplicitamente menzionato in capo alla partitura insieme con il riferimento a un’antica melodia burlesca. Ciò gli consentiva di far tornare il tema principale dopo ogni strofa, prima di ogni nuova avventura, e di svolgere i controtemi nelle parti intermedie: un espediente strategico del tutto connaturato all’argomento, ma soprattutto garante di un principio classico di unità nella diversità.

Nelle prime battute dell’introduzione i commentatori hanno visto tradotto in suoni il tradizionale esordio delle favole, “”C’era una volta…””: ne è emblema l’antica melodia burlesca di cui parla il sottotitolo, affidata ai violini. Alla sesta battuta il corno presenta il tema principale, quello di Till: scattante, spavaldo, audace nelle sue provocazioni ma anche beffardo nel suo precipitare a rotta di collo verso l’abisso. E il racconto comincia. Sono cinque momenti di gloriosa incoscienza, trattati con la più incantevole bonomia, spingendo all’estremo la polifonia orchestrale in un gioco di colori, di ritmi, di intrecci, di variazioni figurate. Ecco Till che irrompe sulla piazza del mercato creando un’irrimediabile confusione, tra sinistri strepiti e risa sbellicate; che si traveste da frate per fare al colto e alt’ inclita una predica blasfema; che corteggia una ragazza fingendosi perdutamente innamorato, salvo poi offendersi del suo rifiuto; che incontra cinque luminari della scienza (musicalmente personificati da tre fagotti, clarinetto basso e controfagotto), disputando con loro dei massimi sistemi, prima imbrogliandoli e poi dandosela allegramente a gambe. Finalmente sazio di burle, Till riflette sul suo destino, mentre cresce in lui l’indignazione per quel canagliume che è l’umanità (pretesto per un episodio meditativo che riespone tutto il materiale tematico in una nuova combinazione musicale, di tono quasi elegiaco). Davanti a lui si delinea un nero futuro: inevitabile che “”filistei, professori e sapienti”” ne esigano l’arresto, il giudizio e la condanna. Alla sentenza di morte pronunciata dai tromboni con un salto discendente di settima maggiore egli risponde fischiettando spensieratamente il suo tema. Solo sulla forca un grido acutissimo, strozzato, rivelerà la sua fragilità umana, destinata a finire come tutti, burloni e non, nel nulla.

Ma Till Eulenspiegel è un personaggio fiabesco, e come tale immortale. L’epilogo torna a evocarne la figura con immensa dolcezza, quasi con gratitudine, trasfigurando il suo tema sul placido cantabile del “”C’era una volta…”” dell’introduzione. Poi un ultimo sberleffo ne annuncia radiosamente l’ascesa liberatrice nell’empireo dove, anche senza corpo, lo spirito è vita.

Zubin Mehta / Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
60° Maggio Musicale Fiorentino

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