Il Duetto-Concertino per clarinetto e fagotto con orchestra d’archi e arpa (questo il titolo esatto della composizione) appartiene all’ultima stagione creativa di Strauss, collocandosi dopo il testamento operistico di Capriccio (1941) e l’epitaffio delle Metamorphosen (1945), subito prima dei Vier letzte Lieder (1948). Sono gli anni in cui si consuma la tragedia della guerra, e con essa il destino della musica tedesca, di cui Strauss raccoglie con un gesto doloroso di estrema sintesi i valori e i tesori, additandone la persistenza oltre le miserie del mondo. E come spesso accade in lui, soprattutto nei momenti di più lucida disperazione, a pagine di profonda densità espressiva, che sembrano voler cristallizzare la pietà di una grande visione tragica, s’intrecciano lavori di più leggera e distesa tessitura, quasi parentesi di letizia creativa con cui riprender forza e coraggio, forse per negare o irridere l’orrore della distruzione, l’evidenza della catastrofe. Il Duetto-Concertino è uno di questi lavori, un’oasi serena e solo a tratti nostalgica in mezzo ai lutti e alle angosce dell’esilio.
Occasione esterna alla nascita di questo gioiello della durata di appena venti minuti fu una commissione del compositore svizzero Otmar Nussio, attivo come direttore d’orchestra alla Radio di Lugano, nel 1947. Strauss vi lavorò verso la fine di quell’anno, completandolo a Montreux il 16 dicembre 1947. L’organico doveva limitarsi a un gruppo da camera, ma Strauss suggerì di impiegare alcuni solisti, che avrebbero dovuto essere le stesse prime parti dell’orchestra: tradizione che da allora si è spesso mantenuta nell’esecuzione, già alla prima avvenuta a Lugano nell’aprile del 1948. Insieme alla riduzione per clarinetto, fagotto e pianoforte, Strauss inviò a Nussio una specie di programma della composizione, nel quale si faceva allusione a una fiaba (probabilmente ispiarata da Hans Christian Andersen) che aveva per protagonisti una Principessa (primo tema in fa maggiore, affidato al clarinetto) e un Mendicante (secondo tema in sol minore, al fagotto): le prime nove battute erano intestate “”C’era una volta…”” e all’inizio, invece dell’indicazione di tempo, stava scritto: “”Principio: Motto””. Nello sviluppo il tema che si afferma trionfalmente nella sezione “”Un poco maestoso”” (archi soli) era contrassegnato dalla dicitura “”Il Palazzo””, mentre 1′ “”Andante”” in la maggiore era accompagnato dal titolo “”Adorazione””. Quanto al Rondò finale, Strauss lo considerava una specie di radioso “”lieto fine”” di tutta la fragile vicenda. In una lettera indirizzata al fagottista Hugo Burghauser, dedicatario del lavoro (“”dem Getreuen””, all’amico fedele), l’autore tornava sull’argomento, parlando però questa volta di una giovane principessa corteggiata da un orso: più che di un programma, si trattava probabilmente di uno scherzoso riferimento autobiografico, in una sorta di lessico familiare caro a Strauss e alla sua cerchia. Sta di fatto che niente di tutto questo rimase nella partitura, stampata nel 1949 da Boosey & Hawkes a Londra.
La composizione si articola in tre tempi, che si succedono senza interruzione. Il primo, Allegro moderato, presenta all’inizio, nelle nove battute del motto, una chiara reminiscenza del Sestetto per archi di Capriccio, con una citazione tematica a specchio. A battuta 10 l’entrata del clarinetto afferma la tonalità di base, fa maggiore, e il primo tema prende forma nelle tranquille volute del clarinetto accompagnato dai sei archi soli. La compagine degli archi al completo (“”tutti”” invece dei “”soli””, quasi ricordo di antiche forme classiche) si presenta con l’entrata del fagotto, su un tema umoristicamente lamentoso, in sol minore, che avvia presto il dialogo tra i due strumenti solisti, ora in alternanza di “”soli”” e “”tutti””, in partitura indicati sempre divisi. Al culmine dello sviluppo, il tema “”Un poco maestoso”” degli archi soli introduce una distesa modulazione verso la maggiore, sottolineata dagli accordi dell’arpa, che finora aveva taciuto. Improvvisamente l’ atmosfera si fa più drammatica per preparare l’Andante centrale in la maggiore, un monologo lirico del fagotto nel quale il primo violino e il primo violoncello assumono un ruolo decisamente concertante (che giustifica il titolo di Duetto-Concertino), sullo sfondo del tremolo di arpa (“”bispiglando””, così nel fantaitaliano sempre spassosissimo di Strauss) e archi. Una cadenza di fagotto e clarinetto riconduce e fa maggiore, la tonalità del Rondò, Allegro ma non troppo, il movimento più esteso e fantasioso del pezzo. Due temi di carattere contrastante si danno battaglia sul tappeto ora più compatto degli archi riuniti, slanciandosi in metamorfosi sempre più ardite, mentre l’arpa punteggia con le sue macchie di colore l’energico movimento dei due solisti: lanciati a perdifiato in una gara di bravura nella quale ironia e stupefacente inventiva si danno là mano, senza mai travalicare i confmi di uno splendido, sovrano controllo stilistico.
Christian Thielemann / Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Ente autonomo del Teatro Comunale di Bologna, Concerti Sinfonici 1993-94