Richard Strauss – Don Chisciotte, op. 35

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Richard Strauss

Don Chisciotte, op. 35

 Ancora un tema spagnolo, e questa volta uno dei massimi capolavori della letteratura universale, il Don Chisciotte della Mancia di Manuel Cervantes. E ancora una volta una partitura di spiccato virtuosismo, che dà modo a un’orchestra e ai suoi solisti di mettere in vetrina, con un pizzico di piacere per il rischio qua e là, tutti i più bei tesori di cui dispone. Il Don Chisciotte, composto nel 1897, si iscrive nella fase ultima e più matura della produzione orchestrale straussiana, distinta dalla forma prediletta del Poema sinfonico: anche qui è un soggetto extramusicale a mettere in moto la fantasia del compositore e a guidarlo nella costruzione musicale; ma neppure in questo caso Strauss si diede cura di preparare un programma dettagliato, limitandosi a fornire un’indicazione del contenuto delle diverse parti di cui l’opera è fatta. Dal punto di vista formale si assiste qui a una novità rispetto ai precedenti poemi sinfonici: Strauss adotta infatti la forma della Variazione, che gli sembra la più appropriata a dare carattere e sostanza alla sua interpretazione sonora dell’eroe di Cervantes. I motivi di questa scelta sono riassunti da Erhardt, uno dei più insigni biografi di Strauss, sulla scorta di informazioni fornitegli dall’autore stesso. Strauss si era reso conto che non avrebbe potuto servirsi della forma-Sonata, presente in modo criptico in molti dei suoi precedenti poemi sinfonici, giacché il carattere monotematico del soggetto – dove Don Chisciotte è il protagonista assoluto sia delle avventure reali che di quelle immaginarie – non consentiva di includere una parte di contrasto e una di sviluppo. Perfino l’ispiratrice del controtema, la bella Dulcinea, esisteva soltanto come fantasma nella fantasia di colui che ispirava il tema principale, Don Chisciotte appunto. «Ogni nuova avventura» – prosegue Erhardt – «allontanava ogni volta di più l’eroe dalla sua essenza reale e corporea; in conseguenza di ciò il tema principale doveva essere sottoposto sempre a nuove varianti, in modo che risultasse evidente quella trasformazione. Si convinse perciò che la variazione era l’unica forma correlativa musicale adeguata al piano dell’opera, sicché questa fu concepita in forma di ‘Variazioni fantastiche sopra un tema di carattere cavalleresco, per grande orchestra’». E così suona infatti il sottotitolo del lavoro, il cui organico, veramente mastodontico, prevede fiati a tre più il controfagotto, sei corni, una tuba tenore e una bassa, e una vasta schiera di percussioni e batteria, inclusi un tamburello e una macchina del vento; oltre naturalmente agli archi, fra i quali emergono la viola e il violoncello con funzioni solistiche. Strauss sperimentò anche per la prima volta inediti effetti tecnico-strumentali, come l’uso della sordina nelle tube, con compiti che non si esauriscono nel desiderio di far risaltare uno stupefacente magistero di orchestratore ma si indirizzano verso fini espressivi adeguati al clima fantastico e tragicomico del soggetto.

Don Chisciotte è infatti per Strauss un personaggio dal duplice volto: comico e tragico nello stesso tempo. Eroe soccombente nella lotta impari col mondo ostile perché incapace di fondere realtà e fantasia; ma nello stesso tempo inquieto e generoso ricercatore di verità e di identità che, se esistono soltanto nella sua immaginazione, ne nobilitano gli slanci e ce li fan-no apparire sotto una maschera tragica che cattura la nostra simpatia. L’autobiografismo palese in molti altri Poemi sinfonici straussiani si stempera qui in un distacco più amabile e sorridente, ma si sostanzia anche di partecipato calore e di tenera immedesimazione nei sogni e nei desideri ingenui del triste cavaliere. Strauss si sforza di inventare per ognuna di queste situazioni un’immagine sonora pregnante, rinunziando però a insistere sul colore locale spagnolo e sulla pittura musicale semplicemente illustrativa: giustamente è stato detto che il suo Don Chisciotte è trasportato dalle rive dell’Ebro e quelle dell’Isar, che bagna Monaco, ed è ammantato di una patina arcaizzante che ben si adatta a rendere la lontananza di figure appartenenti all’antica epoca cavalleresca. All’Erhardt sembra invece che Strauss abbia voluto cogliere «al di sopra dei secoli il sentimento universale di Cervantes e tradurlo in quello del tempo suo»; rimane comunque il fatto che la stilizzazione composita del musicista, pur nella continua interferenza di elementi caricaturali, realistici, sentimentali lirico-descrittivi, tende a trasferire gli avvenimenti e le diverse situazioni in una sfera irreale, quasi fiabesca, che conferisce un tono fantasmatico anche ai passi più rappresentativi e accesamente drammatici.

Si è già detto che l’opera fu concepita nella forma della Variazione. Essa consta di un’Introduzione cui seguono l’esposizione del Tema, dieci estese Variazioni e il Finale. Il carattere dell’Introduzione sta tutto nell’indicazione «cavalleresco e galante» apposta sulla partitura. La strana decisione dell’infatuato Don Chisciotte di divenire cavaliere errante è preparata è illustrata dall’orchestra con accenti sempre più decisi e perentori. Le sortite dei solisti (soprattutto del primo violino) contrappuntano con larga dovizia di toni sentimentali e umoristici, ma anche con lirismo sincero, l’inaudita novità e i proponimenti di Don Chisciotte. Il clima sonoro è già qui tipicamente straussiano: turgido, plastico, rotondo, teso, caratteristicamente mobile e inquieto. Il tema di Don Chisciotte – accompagnato dalla didascalia «Don Chisciotte, il cavaliere dalla triste figura» – appare la logica conseguenza di questa introduzione: nobile e signorile, energico e spigliato, ma anche raccolto e implorante – quasi a voler racchiudere le contraddizioni dell’eroe -, esso è esposto dal violoncello solista e contrappuntato dal primo violino; il tema di Sancho Panza, che segue subito dopo, è introdotto da clarinetto basso e tuba tenore, e completato dalla viola solista: da questo momento e per tutto il corso delle Variazioni il violoncello solista assumerà la parte di Don Chisciotte e la viola solista quella di Sancho Panza, lo scudiero scaltro e loquace tanto quanto pigro e ottuso.

Ed ecco gli episodi del romanzo di Cervantes a cui si ispirano le singole Variazioni:

I Variazione («Comodo»). Invocando la bella Dulcinea del Toboso, alla cui melodiosa raffigurazione prestano voce i violini, la strana coppia parte all’avventura e si imbatte subito in una curiosa battaglia: quella coi mulini a vento. I violoncelli, battuti col legno dell’arco in rapide figurazioni ritmiche, descrivono le raffiche di vento; il vibrato dei flauti e il trillo degli archi rappresentano il mulinare delle pale del mulino. Il momento in cui Don Chisciotte viene sbalzato via con violenza dalle pale e sbattuto al suolo è sottolineato dall’inizio del tema principale lanciato dai corni attraverso tre ottave, dal glissando delle arpe e dal colpo di timpani prodotto con bacchette di legno. Don Chisciotte conosce così la prima inopinata sconfitta.

II Variazione («Guerresco»). Don Chisciotte si rifà sgominando quel che a lui sembra il valoroso esercito del grande imperatore Alifanfarone: in realtà si tratta assai più modestamente di un gregge di montoni e di pecore al pascolo. L’onomatopea del belato degli animali è resa genialmente con una combinazione di tremolo dei violini, ottoni con sordina e trilli delle viole. Il grido di guerra di Don Chisciotte si alza minaccioso, e ne segue in un grottesco crescendo l’animata descrizione della battaglia, fino all’esito trionfale per il bellicoso cavaliere.

III Variazione («Tempo moderato»). Confortato dal suo successo, Don Chisciotte si abbandona ad amabile conversazione con il suo scudiero. Alle domande e ai motti di Sancho, Don Chisciotte risponde con serietà e solennità fornendo spiegazioni, insegnamenti e propositi circa il radioso avvenire che li attende. Così Strauss spiegava l’episodio a Erhardt: «Qui un idealista assolto conversa con un uomo comune, volgare ragionatore, sul senso della vita umana. La curiosità di Sancho, con insistente loquacità, avanza tante obiezioni e tali ingenuità da costringere Don Chisciotte a togliergli la parola. Allora il sognatore svolge il tema dei propri ideali cavallereschi sul bello e sull’elevato; la fantasia del visionario risuona nell’orchestra intera con l’accordo di fa diesis, come un’affermazione di fede. L’incorreggibile Sancho, col suo insistente parlottare, lo toglie in modo così brusco da quel mondo di sogni, che finisce col ricevere uno schiaffo per la sua incomprensione». Si intrecciano qui i diversi temi dei personaggi, ciascuno modificato secondo il carattere che gli è proprio.

IV Variazione («Poco più allegro»). Don Chisciotte è smanioso di agire (il suo tema ora ce lo dice senza indugi) e si slancia su un corteo di pellegrini che recano in processione un’immagine della Madonna. Mal gliene incoglie: i robusti contadini sanno come difendersi. Don Chisciotte rotola pesantemente a terra (glissando discendente del basso tuba e del controfagotto), mentre Sancho sghignazza allegramente (glissando ascendente della viola solista).

V Variazione («Molto lento»). La voce sola del violoncello («declamando liberamente, sentimentale nel fraseggio», scrive Strauss) dà corpo e colore alle effusioni liriche dell’innamorato cavaliere. È notte, una calda notte d’estate, e Don Chisciotte veglia: come non pensare all’amata lontana! La sua immagine risuona («delicatamente, espressivo») nella tenue, sospirosa ascesa della melodia del corno solo. Le armonie alterate indicano un desiderio senza riposo. Tutt’intorno i suoni e i profumi della notte, nei tremoli degli strumentini e nelle rapide scale dell’arpa e dei violini («quasi cadenza»). E il canto del violoncello riprende ancor più appassionato.

VI Variazione («Rapido»). Per contrasto, un fulminante, tragico incontro d’amore. Benché Sancho cerchi di convincerlo del contrario, la giovane contadina nella quale Don Chisciotte si è imbattuto non è affatto la donna del suo cuore. Costei non pare gradire indugi nel corteggiamento e si rivolta furiosa contro quegli strani amatori. Quarantasette misure soltanto, magistrali però. È l’unico episodio della partitura nel quale il color locale spagnolo si faccia udire chiaramente: e con fine ironia. Infatti è proprio il ritmo di bolero del tamburello a rendere manifesta la bassa origine popolare e contadina della ragazza, che con il suo canto triviale e licenzioso, falso e sghembo, non può certo essere la nobile e augusta Dulcinea.

VII Variazione («Un poco più tranquillo»). È l’episodio più celebrato (dal punto di vista dell’orchestrazione) e più fantasioso dell’intero lavoro. Don Chisciotte e Sancho Panza credono ora di volare. Il mugghiare del vento che accompagna questa immaginaria cavalcata aerea su un cavallo di legno è reso, ma non semplicemente descritto, dalle scale e dai vibrati dei flauti, dagli arpeggi ascendenti dei clarinetti, dai glissando in fortissimo dell’arpa e dagli slanci – arpeggi e scale combinati insieme – degli archi: il tutto sullo sfondo dei rulli di timpano e della macchina del vento, con effetto a onde di crescendo e diminuendo.

VIII Variazione («Comodo»). Dopo l’aria, l’acqua: i due navigano su una barca incantata. La pittura musicale reclama i suoi diritti: il ritmo cullante degli archi divisi evoca una «Barcarola», col suo ritmo caratteristico in 6/8. Ma l’avventura non ha buon fine, e ne udiamo fase dopo fase la descrizione. Eccola con le parole di Strauss mediate da Erhardt: «La piccola imbarcazione scivola sulle onde, sbatte contro una fortezza incantata e cola a picco. Si ascolta come padrone e servitore vadano in acqua, la quale sembra assorbire i due temi rispettivi; come si salvino raggiungendo la riva; come grondino acqua dal corpo e come starnutino fragorosamente» (l’ «eccì» dello starnuto sempre più forte è rappresentato dal pizzicato degli archi).

IX Variazione («Rapido e tempestoso»). Alla fine dell’episodio precedente, un corale esposto da flauti, clarinetti e corni («religioso», dice la didascalia) aveva introdotto una sorta di canto di pellegrini, un po’ misterioso per la verità. Ecco ora in primo piano i nuovi bersagli di Don Chisciotte: due monaci che se ne vanno pacificamente a cavallo di mule. Il cavaliere ingaggia con loro una lotta furibonda; invano questi rispondono con un solenne, grottesco «corale a due» dei fagotti, quasi a voler convertire l’animoso contendente. Per tutta risposta Don Chisciotte mena quattro spaventosi colpi di spada (violente strappate degli archi) e li fa fuggire a precipizio.

X Variazione («Molto più largo»). Siamo all’epilogo. Sfidato a singolar tenzone da un misterioso «Cavaliere della Bianca Luna» (i, lettori di Cervantes sanno che si tratta di un antico amico di Don Chisciotte, deciso con questo stratagemma a guarirlo dai suoi fantasmi), il «triste cavaliere» soccombe ed è costretto a ritirarsi nelle sue terre. All’allegria di Sancho, felice di questa decisione, si contrappone la mestizia dell’idealista sconfitto. Una nostalgica melodia pastorale del corno inglese evoca immagini di campagna, di pace, di ritorno alle origini. E per la prima volta il tema principale di Don Chisciotte risuona nel violoncello ricondotto alla sua originaria identità, ma come placato, disteso, veramente un po’ triste. La fanfara cavalleresca udita all’inizio chiude il sipario e annuncia che la grande avventura è finita.

Nel finale, una delle pagine più alte di Strauss, tutto sembra essere contemplato da lontano, con rassegnazione e insieme con profonda, accorata nostalgia. L’eroe, nel suo silenzioso ambiente campestre, ricordando altre notti d’estate, ripensa alle avventure trascorse e chiude a poco a poco gli occhi. Il violoncello si spegne in un ultimo, indugiante sospiro. E Don Chisciotte muore; ma anche dopo l’ultimo accordo in pianissimo dell’orchestra rimane l’eco del suo struggente commiato.

Emil Tchakarov / Mazumi Tanamura, Andrea Nannoni
Ente autonomo del Teatro Comunale di Firenze, Concerti 1983/84

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