Richard Strauss – Also sprach Zarathustra op.30

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Richard Strauss – Also sprach Zarathustra op.30

 

Strauss compose le sue sette Tondichtungen (letteralmente “”poemi sonori””) in un arco creativo pressoché ininterrotto, durante il decennio 1888-1898. Se nei primi quattro, da Macbeth a Till Eulenspiegel passando attraverso Don Juan e Tod und Verklärung (Morte e trasfigurazione), si era mantenuto tutto sommato fedele alla forma programmatica lisztiana, da Also sprach Zarathustra iniziò l’ampliamento di quella forma in un organismo più complesso e stratificato, incomparabilmente più sviluppato che in precedenza, secondo una progressione che sarebbe culminata nelle “”variazioni fantastiche”” del Don Quixote e nell’affresco autobiografico di Ein Heldenleben (Una vita d’eroe): per tendere poi, nel nuovo secolo, ad altri scenari. Quanto al significato generale del programma, esso va inteso non in senso descrittivo ma di premessa poetica, come Strauss stesso spiegava in una lettera dell’agosto 1888 a Hans von Bülow: “”Or dunque, se si vuol creare un’opera artistica che abbia unità in quanto ad ambiente e costruzione complessiva, e se la medesima deve agire plasticamente sull’ascoltatore, è necessario che quel che l’autore volle dire appaia anche plasticamente alla visione del suo spirito. Ciò è possibile quando esiste lo stimolo di un’idea poetica, indipendentemente dal fatto che essa sia aggiunta oppure no all’opera come programma””.

Also sprach Zarathustra fu composto, come si legge alla fine della partitura, tra il 4 febbraio e il 24 agosto 1896 a Monaco e presentato per la prima volta al pubblico il 27 novembre 1896 a Francoforte sul Meno sotto la direzione dell’autore. Nel sottotitolo viene specificato “”frei nach Friedrich Nietzsche – für grosses Orchester””, ossia “”liberamente da Friedrich Nietzsche – per grande orchestra””: a ribadire, oltre alle dimensioni dell’organico (il più ampio fino ad allora utilizzato da Strauss, con 6 corni e 4 trombe, 3 tromboni e 2 bassi tuba, percussioni rinforzate, oltre a 2 arpe e alla novità assoluta dell’organo), che non dell’illustrazione di un’opera letteraria si trattava bensì di una libera trasposizione musicale ad essa ispirata. Tant’è che come programma poetico Strauss pubblicò, al principio della partitura, il primo paragrafo del prologo dello Zarathustra di Nietzsche, da “”Giunto a trent’anni, Zarathustra lasciò il suo paese…”” sino a “”…così cominciò il tramonto di Zarathustra””. I titoli dei diversi episodi, nove sezioni che si susseguono senza interruzione e che si riferiscono ciascuna a un determinato paragrafo o capitolo del libro, sono indicati a mo’ di didascalie via via che si presentano nel corso dell’opera e non seguono lo stesso ordine dell’originale. Il famoso “”libro per tutti e per nessuno””, cominciato nel 1883 ma pubblicato in edizione completa solo nel 1892, non sembra aver suscitato nel musicista poco più che trentenne una volontà di emulazione, né di divulgazione del pensiero del profeta che scende tra gli uomini per distribuire loro la propria sapienza, ma aver prodotto piuttosto una serie molteplice di assonanze poetiche e spirituali le cui immagini si traducono in musica con tutta la forza della libertà e della scoperta, ma anche della riflessione critica. Come se Strauss vedesse in Zarathustra non tanto il filosofo quanto l’uomo alla conquista del mondo, conquista che si rivelerà da ultimo illusoria: risolvendosi così la sua visione in una sorta di rappresentazione, pagana e religiosa insieme, di quell””‘umano, troppo umano”” che attraversa la costellazione nietzschiana e che Strauss osserva con partecipazione venata di scetticismo.

Il saluto aurorale di Zarathustra al sole nascente, enucleato nel programma, costituisce l’impulso al memorabile avvio dell’opera: su un suono grave, quasi primordiale, insieme indistinto e definito (tremolo dei contrabbassi e rullio della grancassa percossa con bacchette di timpani, pedale tenuto dal controfagotto e dall’organo), quattro trombe in do intonano tre volte il plastico motivo della natura (do–sol–do), mantenendo dapprima l’ambiguità sul modo, poi, dopo una brusca oscillazione tra maggiore e minore (mi–mi bemolle), affermando trionfalmente l’accordo maggiore pieno e potente. l’effetto, senza perdere nulla della sua barbarica gestualità (la brutale scansione dei timpani sul vuoto armonico), è una sorta di compendio del farsi della musica linguaggio, e della natura vita, spalancando tutta una serie di riferimenti incrociati: dalla rappresentazione del caos e della luce della Creazione di Haydn alla contrapposizione-identità dei modi maggiore-minore in Schubert, dal tema della spada simbolo della nascita del mondo umano nell’Oro del Reno wagneriano (e ancor prima della natura che, sorgendo dal nulla, comincia ad esistere) fino alla dissoluzione di quel mondo nei canti e danze della morte mahleriani (non solo: proprio Mahler attinse da Zarathustra il testo del quarto movimento della sua Terza Sinfonia, O Mensch!). Alla ulteriore fama di questo abbagliante incipit ha contribuito in tempi più recenti anche l’uso che ne ha fatto Stanley Kubrick nel film 2001: Odissea nello spazio, raro esempio di pertinente associazione di un’idea musicale a un’immagine concettuale e visiva.

Le 22 misure del preludio si spengono su se stesse nell’eco in pianissimo del suono primordiale ripreso da contrabbassi e grancassa, dopo che l’organo ha improvvisamente interrotto il suo festoso ripieno. Si origina da un serpeggiante tremolo di contrabbassi e violoncelli virato angosciosamente in minore il primo episodio, intitolato Von den Hinterweltlern (“”Degli abitanti del mondo che sta dietro””: secondo Nietzsche gli uomini che possono vedere dietro la realtà del mondo sensibile). Al prender forma di un motivo poi sviluppato in cantabile (tema della devozione, archi divisi) si lega la citazione del motivo gregoriano “”Credo in unum Deum””, intonato sommessamente dai corni: riferimento che funge da centro attrattivo di una liturgia evocata e presto rimossa. Segue, introdotto da un cambiamento di tempo (“”Più mosso””) , l’episodio intitolato Von der grossen Sehnsucht : il “”grande anelito””, che vale però anche brama e nostalgia, si esprime in un tema trionfale in si maggiore cantato con enfasi e accompagnato dal tema della natura armonicamente variato, mentre l’organo fa udire a mo’ di corale il tema sacro del Magnificat e i corni riprendono quello del Credo. Latmosfera si surriscalda con ritmi frenetici in Von den Freuden und Leidenschaften (“”Delle gioie e delle passioni””), esaltata combinazione in do minore dei temi già uditi e portati dai violini all’acme dell’ardore più appassionato. Sinistro suona in questo tripudio il richiamo del trombone, che annuncia altri paesaggi, sonori e dell’anima. Nelle tortuose linee melodiche che rispondono a questa solenne minaccia si prepara il passaggio verso la zona centrale dell’opera.

Essa è introdotta dal Grablied (“”Canto sepolcrale””), nel quale gli spunti fin qui esposti vengono elaborati per così dire sotto specie di ricordo, ‘abbandonati a un malinconico e introverso girare a vuoto. La trasfigurazione non si compie e sembra richiedere nuove applicazioni. La prima è suggerita da Von der Wissenschaft (“”Della scienza””), dove è chiamata a operare la più coscienziosa tra le forme musicali, la fuga. Questa fuga è costruita sul “”motivo della natura”” (do–sol–do), con progressione armonica e inversione a specchio su un tempo da principio “”molto lento””. Nella strumentazione di tinta indefinita ma nerastra (contrabbassi e violoncelli, poi fagotto e clarinetto basso), si può forse vedere una satira contro i filosofi di professione e gli stregoni dell’arte (“”Tu rendi questa caverna afosa e mefitica””, esclama proprio a questo punto Zarathustra). I legni nel registro acuto, le tremolanti semicrome dei violini e i rutilanti arpeggi dell’arpa illuminano questa zona d’ombra con progressive vampate in crescendo. Tanto più forte è dunque il contrasto della sezione successiva, Der Genesende (“”Il convalescente””), sviluppata in un contrappunto denso, arioso e svettante, nel quale il tema della fuga si afferma vittoriosamente a piena orchestra (“”Aria! Entri l’aria pura! Entri Zarathustra!””). Il tema della natura che irrompe trionfale spazza il dubbio e la malinconia come una salutare esplosione. Gli appelli ripetuti della tromba risuonano ora come il canto mattutino del gallo.

Con Das Tanzlied (“”Il canto della danza””) inizia la ricapitolazione: intesa non come riesposizione, ma anzi come nuova trasformazione del materiale tematico. Un violino solo introduce con slancio prima trattenuto poi sfrenato l’aria di danza, che si muta da valzer ammiccante in tumultuoso impulso vitale, reso con colori violenti, orgiastici, spaziati. Poi tutto a poco a poco nuovamente si acquieta, distendendosi liricamente in un clima velato, notturno. Quest’ultima sezione reca il titolo Das Nachtwandlerlied (“”Il canto del nottambulo””) ed è di tono estatico. Un pedale sul mi grave si mantiene per settanta battute, accompagnato dal ritmo di danza ai timpani, dal tremolo in pianissimo della grancassa e dai rintocchi della campana bassa. Riappaiono i temi della brama e della natura, quest’ultimo ormai quasi eco svanente di se stesso. E immersa in profondità ancestrali è anche la coda in si maggiore, esempio mirabile di anticlimax e di ambigua sospensione: diluita nel tempo sempre più lento, perduta nelle sonorità evanescenti ed estinta in una misteriosa dissonanza (sempre in do pizzicato nei bassi sull’accordo lato in secondo rivolto di si maggiore), essa indica simbolicamente la fine, non il fine. Con questa conclusione in dissolvenza Strauss si allontana dall’idea originaria di Nietzsche del ciclo vitale di Zarathustra, ribaltandone le prospettive: esso non va dal tramonto all’aurora, ma dall’aurora al tramonto.

Wolfgang Sawallisch / Associazione Orchestra Filarmonica della Scala
Teatro alla Scala

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