A Lugano con il programma che presenta a Salisburgo
Lugano — Qui, al Teatro Kursaal, in un concerto straordinario per la Radiotelevisione della Svizzera italiana, Maurizio Pollini ha dato gli ultimi ritocchi al programma, bellissimo, che oggi presenterà a Salisburgo in uno degli appuntamenti più attesi del Festival: la grande Sonata in sol maggiore di Schubert nella prima parte, Nuages gris, La lugubre gondola, Richard Wagner-Venezia e la Sonata in si minore di Liszt nella seconda.
Perché questo accostamento? E perché di Schubert e di Listz, proprio vette e picchi isolati come la tarda, evasiva Sonata in sol maggiore (1826), i tre enigmatici pezzi (1881-83) e la monumentale Sonata (1853), in quest’ordine? I programmi di Pollini non sono mai casuali; questa volta l’idea, o meglio sfida, consisteva nel ricostruire un percorso avvolgente, quasi circolare, di momenti critici della musica pianistica dell’Ottocento. Ne risultava per così dire un viaggio al termine del pianoforte: ossia ai limiti delle forme classiche e romantiche, e oltre, verso la conquista di terre inesplorate, là dove il tessuto compositivo e strumentale si tende fino all’inverosimile e rimane tuttavia saldamente ancorato a ragioni vitali di comunicazione, individuali e storiche insieme.
Sfida esecutiva, e soprattutto interpretativa. Già quella di Schubert non è più in senso stretto una Sonata. Se rispetta la tradizionale suddivisione in quattro movimenti, che invece la Sonata di Liszt accorpa audacemente in un blocco unico e ininterrotto, il suo procedimento è irriducibile a qualsivoglia schema; ma la sua continuità, pur minata da sospensioni e digressioni eccentriche, è tutt’altro che utopica. Pollini sottolinea con tenerezza il carattere di «fantasia» che vi è sotteso, ma snoda la trama degli avvicendamenti tematici, delle modulazioni e delle riprese, con una logica stringente. Per esempio il ritmo puntato, che di questa Sonata è elemento strutturale e simbolico insieme, significa attesa, indugio e slancio verso nuovi punti d’appoggio; Pollini esaspera questa attesa, ma dà anche fermezza ai punti d’appoggio, sostanza allo sciogliersi delle tensioni. E intensifica via via queste oscillazioni, quasi si trattasse di vibrazioni dell’anima, fino ad ottenerne la rivelazione di uno stile.
In questa Sonata mancano, più che altrove, gli stacchi rapidi, incalzanti: tutto si mantiene in un tempo moderato, difficilissimo da sostenere. Pollini introduce sfumature sottilissime che animano il fraseggio di infinite gradazioni intermedie: e svela che un tempo eternamente esitante, trattenuto, può contenere l’energia concettuale, il peso tragico delle passioni. Anche il suono era esattamente individuato: qualcosa che non giunge mai alla perorazione, e che invece preme per raccogliersi nell’intimità, e svanire nell’indicibile. La Sonata termina con un sospiro, un vago palpito che si richiude nel nulla, suono puro, misteriosamente terso nel silenzio.
La forza schiacciante della Sonata di Liszt avrebbe distrutto questo impalpabile, sognante equilibrio. Ma con la mediazione degli ultimi pezzi — aforismi, miniature, semplici schizzi di mondi sonori e spirituali più fantomatici che reali — si compiva il miracolo del collegamento. Nuages gris è una visione smaterializzata di suoni, per immagini che il pianoforte crea e dissolve istantaneamente; Pollini lo ha suonato con abbandono, senza perdere nulla del suo proverbiale nitore strumenatale: com’è diventato sensibile, ora, ai valori più profondi della musica, e non soltanto alle loro motivazioni. Anche nella Lugubre gondola e in Richard Wagner-Venezia, che Liszt compose sotto l’impressione della scomparsa del grande amico e maestro, ogni riferimento esterno passava in secondo piano di fronte all’evidenza assoluta di pagine nelle quali il pianoforte sembra voler celebrare la sua dissoluzione, per tornare strumento incontaminato di emozioni e di ricordi.
Poi, finalmente, la grandiosa Sonata. Tutte le energie fino a quel momento represse e accumulate si liberavano ora nell’esplosione della materia. Si avverava in questa esecuzione il detto di Busoni: il virtuosismo è condizione non sufficiente ma necessaria per arrivare al cuore della musica, di tutta la musica. In tempi di perdite dolorose di sommi pianisti, Pollini è la dimostrazione che la grande tradizione si rinnova: già il solo fatto che esistano ancora interpreti come lui rende la musica ricca, inattaccabili i suoi tesori.
Maurizio Pollini in concerto al Festival di Salisburgo (oggi)
da “”Il Giornale””