Pianofortissimo

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Cominciamo dal titolo di questo ennesimo pellegrinaggio di Piero Rattalino nei santuari del pianoforte. A prima vista Pianisti e fortisti si riferisce a un problema, quello degli strumenti «originali», divenuto d’attualità verso la metà del nostro secolo. Ma poiché la filosofia del fortismo, come Rattalino dimostra, e un pensiero debole e la disputa tra clavicembalo, fortepiano e pianoforte ricorda la querelle des bouffons (il pianoforte non rinuncerà mai a Mozart e a Beethoven, dopo essersi legittimamente riconquistato anche Bach e Scarlatti) c’è da credere che dietro vi sia dell’altro. Forse un modo nuovo e originale di organizzare il viaggio tra gli interpreti della tastiera: istituendo una sorta di schieramento su fronti opposti di due tipi fondamentali di pianisti che via via si identificano, nel passare delle epoche e nel variare delle scelte culturali, in «classici» e «romantici», professionisti «stanziali» e concertisti «migratori», istintivi e intellettuali, realisti e visionari, virtuosi e poeti, innovatori e seguaci della tradizione.

Rattalino sembra assistere alle battaglie e agli scontri fra questi diversi modi di intendere il pianoforte con spirito distaccato, ricercandone le ragioni e le motivazioni, spiegandone i risultati: talvolta, infiammandosi pure. Alla fine non emergono né vincitori né vinti, e i protagonisti della virtuosa contesa – i pianisti e i fortisti – si trovano accomunati, ognuno a suo modo significativo, in una bella fotografia di gruppo. A cui si potrebbe dare il titolo della presentazione: Träumerei. Con la relativa spiegazione: «La mia sensazione di partecipante alla vita musicale di oggi è che la storia non è, non sarà rettilinea: sentimentalmente, pur essendo affascinato dal mondo che conosco, sogno un altro mondo».

Per la massima parte il volume raccoglie saggi, recensioni, di dischi e di concerti, scritti già apparsi in vari periodici con i quali Rattalino collabora da anni. La novità sta appunto nella sistemazione, in un ordine logico che segue criteri cronologici, coprendo l’intero periodo della storia del pianoforte dalla metà dell’Ottocento a oggi (anzi, a ritroso: dal monello Bunin al gran cacciatore Francis Planté). Si procede per capitoli chiusi (trentasette, che trattano ognuno di un diverso interprete o di una tendenza), mescolando l’esposizione dei fatti al giudizio storico, critico ed estetico, in rapporto al cammino percorso da ogni generazione. E poiché la natura degli scritti era in origine occasionale, sovente cambia il punto di vista: che può essere ora quello del ritratto umano dell’interprete, ora quello delle sue qualità e delle sue idiosincrasie nell’arte dell’interpretazione pianistica.

L’enorme mole di informazioni (preziosissima la ricostruzione di repertori e programmi concertistici) serve appunto a definire ciò che il singolo personaggio rappresenta in sé nel continuo mutare delle mode e degli atteggiamenti. Ma poiché lo scopo di Rattalino non è quello di fare una storia obiettiva dell’interpretazione ma di raccontare, motivare e azzardare ipotesi e spiegazioni, ci si imbatte sovente in giudizi parziali e discutibili, più da romanziere che da musicologo (Rattalino ne sarà certamente contento). L’angolazione di certi ritratti, come quelli di Busoni e Michelangeli, Gould e Pogorelich, è evidentemente di parte; come se l’obiettivo tendesse non ad abbracciare l’intera prospettiva ma a privilegiare alcune inquadrature o sequenze, magari analizzandone certi particolari al microscopio (per esempio l’uso del pedale, la scelta del repertorio, il modo di sedere al pianoforte, la gestualità e il carattere).

Tutt’altro tono hanno invece i due ampi saggi che incorniciano il volume e ne spiegano le motivazioni intrinseche. Il primo è una storia ragionata del recital pianistico attraverso le sue varie fasi; dalla nascita, che risale a Liszt e al romanticismo, fino alla sua funzione nella odierna cultura musicale di massa. Il recital è il momento stesso in cui si prende coscienza del fatto esecutivo come proposta di determinati valori e intenti espressivi, oltre che tecnici; e il variare dei suoi contenuti e delle sue prerogative (l’affermazione del virtuoso, i programmi monumentali, i cicli storici e le integrali monografiche, l’aspetto rituale e quello conoscitivo, i rapporti con la produzione discografica) è in stretta relazione con l’evoluzione della cultura e del gusto.

Se questa «premessa metodologica» ha un impianto fondamentalmente storico, la contropremessa metodologica che lo chiude ne ha uno eminentemente socio-culturale e perfino estetico. Proponendo un ragguaglio sullo stato dell’interpretazione a tal punto disincantato da compiere un giro completo su se stesso e tornare a premesse sentimentali, Rattalino si chiede se interpretazione sia oggi restituzione filologicamente fedele del testo secondo modelli precisi o non piuttosto creatività che, facendo premio sulla fedeltà, individui nell’interprete la capacità di ravvivare emotivamente i testi che affronta: per farceli sentire nuovi e attuali in tutta la loro sostanza fantastica e musicale. La conclusione di Rattalino, che cioè la ragione debba ancor sempre cedere all’invenzione, sottintende una sfida ulteriore, amica dell’avventura e aperta sull’ignoto.

Piero Rattalino, «Pianisti e fortisti», Ricordi/Giunti, pp. 585, lire 28.000

da “”Il Giornale””

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