Pëtr Il’ič Čajkovskij – Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36

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Lo spazio di tempo che abbraccia la genesi della Quarta Sinfonia (dicembre 1876 – gennaio 1878: prima esecuzione a Mosca il 10 febbraio 1878, direttore Nikolaj Rubingtejn) coincise per Čajkovskij con un periodo di acuta crisi esistenziale. Temendo che la propria omosessualità divenisse causa di emarginazione sociale, Čajkovskij decise di accogliere le insistenti richieste di matrimonio di un’ex-allieva, Antonina Ivanovna Miljukova, e la sposò nel luglio del ’77. L’esito dell’unione fu catastrofico: dopo tre settimane Čajkovskij, come oppresso da un incubo, abbandonò la moglie a Mosca per rifugiarsi nella tenuta di Kamenka, la residenza dell’amata sorella Saga. Impegni autunnali presso il Conservatorio di Mosca lo costrinsero a tornare in città, col risultato di provocare in lui un tracollo psichico che sfociò in un tentativo di suicidio nelle acque della Moscova. Ottenuto il congedo di un anno dal Conservatorio, Čajkovskij intraprese un viaggio nell’Europa occidentale, mentre in patria il fratello si occupava delle pratiche per la separazione.

Unico raggio di luce in quei mesi di tenebra fu l’avvio del carteggio con una fervente ammiratrice, la baronessa Nadezda von Meck, ricca vedova che per ben quattordici anni – senza mai conoscerlo di persona – corrisponderà in forma epistolare con il compositore. Costei gli elargì un non indifferente appannaggio per il periodo del viaggio, poco dopo trasformato in una pensione annua affinché potesse dedicarsi esclusivamente alla composizione; fornendogli anche in quel frangente un sostegno spirituale che consentì a ajkovskij, nella sua fuga di città in città, di riprendere il lavoro a due composizioni iniziate prima del matrimonio: l’opera Evgenij Onegin e la Sinfonia n. 4 in fa minore. Le lettere alla von Meck, alla quale quella che vi viene definita «la nostra sinfonia» fu dedicata con vivissima ancorché non esplicita riconoscenza, sono ricche di riferimenti alla partitura della Quarta. Una in particolare merita attenzione: scritta il 17 febbraio 1878 (cioè una settimana dopo la prima esecuzione, a cui la signora von Meck era stata presente), questa lettera contiene su richiesta dell’amica stessa una interpretazione programmatica della Sinfonia, che dovette far molto colpo sulla generosa mecenate e che costituisce un documento quantomeno utile (non decisivo) per la sua comprensione.

«Nella nostra sinfonia il programma c’è, cioè c’è la possibilità di esprimere a parole ciò che essa tenta di comunicare, e a Voi, solamente a Voi, posso e voglio mostrare il significato sia dell’insieme, sia dei singoli movimenti. Naturalmente posso farlo solo nelle linee generali. L’introduzione è il germe di tutta la sinfonia, indubbiamente l’idea principale: [segue nella lettera l’esempio musicale delle prime sei battute dell’Andante sostenuto, il motto della fanfara degli ottoni]. Questo è il Fato, forza nefasta che impedisce al nostro slancio verso la felicità di raggiungere il suo scopo, che veglia gelosamente affinché il benessere e la tranquillità non siano totali e privi di impedimenti, che, come una spada di Damocle, pende sulla testa e avvelena l’anima in modo infallibile e perenne. E invincibile, non lo domini mai. Non resta che rassegnarsi e soffrire inutilmente [primo tema del Moderato con anima, violini primi e violoncelli in ottava]. Il sentimento di disperazione e sconforto si fa più forte e più cocente. Non sarebbe meglio voltare le spalle alla realtà e immergersi nei sogni? [secondo tema, Moderato assai, quasi Andante: clarinetto solo con arabeschi dei flauti, poi ripreso dal fagotto]. Oh, gioia! Almeno il sogno si è rivelato dolce e tenero! Una forma umana luminosa e benefica, balenando, sospinge chissà dove [melodia dei violoncelli, successivamente dei flauti, esposta come controsoggetto al secondo tema, poi sviluppata come terzo tema]. Che bello! Come suona remoto e importuno adesso il primo tema dell’Allegro [evidentemente Cajkovskij intende il tema-motto dell’introduzione, allorché si ripresenta per collegare la fine dell’Esposizione all’inizio dello Sviluppo]. Ma i sogni a poco a poco avvolgono interamente l’anima. Tutto ciò che è cupo e mesto viene dimenticato [sezione dello Sviluppo, che combina i due temi principali del primo tempo]. Eccola, eccola la felicità! No! Erano sogni e il destino ci riscuote [riapparizione della fanfara al culmine dello Sviluppo e poi, dopo la Ripresa, all’inizio della Coda che conduce alla stretta finale]. Così tutta la vita è un’alternanza ininterrotta di pesante realtà, sogni fugaci e fantasie di felicità… Non c’è approdo. Vaga per questo mare, finché esso non ti avvolge e ti inghiotte nelle sue profondità. Ecco, all’incirca, il programma del primo movimento. Il secondo esprime un’altra fase della sofferenza: il sentimento di malinconia che si presenta la sera, quando siedi solo, stanco del lavoro, prendi un libro, ma ti cade dalle mani. I ricordi si affastellano. E triste che tante cose siano già state e siano passate; è piacevole ricordare la giovinezza. Ti duole che il tempo sia trascorso e non desideri ricominciare una nuova vita. La vita ti ha stancato. E piacevole riposarsi e guardarsi intorno. Quanti ricordi! Ci sono stati momenti di gioia, quando il sangue pulsava giovane e la vita appagava. Ci sono stati momenti difficili, perdite insostituibili. Ma tutto questo svanisce lontano. Ed è triste, ed è dolce sprofondarsi nel passato. Il terzo movimento non esprime sentimenti definiti.

Sono arabeschi capricciosi, visioni sfuggenti che attraversano l’immaginazione, come quando hai bevuto un po’ di vino e senti l’effetto della prima fase dell’ubriachezza. Lo spirito non è allegro, ma neanche triste. Non pensi a niente: dai spazio all’immaginazione, che si mette a disegnare strani

ghirigori… Tra questi, improvvisamente, ti ricordi un’immagine di contadini che gozzovigliano e una canzonetta di strada… Poi, in lontananza, una parata militare che passa. Sono quelle immagini incoerenti che ti vengono in mente quando prendi sonno. Non hanno alcun rapporto con la realtà: sono strane, assurde e sconnesse… Il quarto movimento. Se non trovi in te stesso motivi di gioia, guarda le altre persone. Cammina tra la gente. Guarda come questa riesce a rallegrarsi, abbandonandosi completamente alle sensazioni di gioia. Quadro di una celebrazione popolare in

un giorno di festa. Non appena sei arrivato a dimenticarti di te stesso e ti sei entusiasmato per lo spettacolo altrui, ecco che il destino instancabile torna di nuovo a ricordarti che esiste. Ma gli altri non hanno niente a che fare con te. Non si sono nemmeno voltati, non hanno gettato neanche uno

sguardo su di te e non si sono accorti che sei solo e triste.

Oh, come sono allegri! Come sono fortunati a possedere soltanto sentimenti semplici e diretti! Rimprovera te stesso e non dire che tutto al mondo è triste. Esistono gioie semplici, ma potenti. Rallegrati dell’allegria altrui. Malgrado tutto, si può vivere. Ecco, mia cara amica, tutto ciò che posso spiegarVi della sinfonia».

Pur prendendo le debite distanze da queste affermazioni, non foss’altro per il carattere così privato e personale della confessione, non si può non rilevare nella tessitura della Quarta Sinfonia la presenza di un contenuto tragico e appassionato, di chiara origine autobiografica. Appare evidente che il motto iniziale della fanfara, che ritorna a intervalli regolari nel primo movimento e poi ancora nell’epilogo dell’ultimo, sia il sigillo dell’intero lavoro: un vero e proprio segnale di morte. Attorno a questo si dispongono, con caratteri contrastanti, le tre figure tematiche dell’Esposizione del primo movimento, che danno vita tonalmente a tre distinte sezioni. Ciò comporta un percorso tonale del tutto inconsueto, insieme innovativo e simmetrico. Ogni tema viene esposto una terza minore sopra al precedente, vale a dire fa per il primo, la bemolle per il secondo, do bemolle per il terzo. Ma enarmonicamente do bemolle equivale a si, e quindi la catena delle terze prosegue passando da si a re nello Sviluppo, per tornare in perfetta circolarità da re a fa nella Ripresa. Il fatto che l’Esposizione sia riassunta in forma abbreviata nella Ripresa comporta una nuova funzione alla Coda; e Čiajkovskij ne rovescia completamente la funzione facendone un episodio che, anziché suggellare un’arcata formale già completamente definita, ne rappresenta invece un nodo nuovo e cruciale. L’irrompere del tema del fato al termine della Ripresa è il brusco avviso che il movimento non sta giungendo a una conclusione rapida.

Dopo un primo movimento di tale audacia formale e di così forte intensità emotiva, i movimenti centrali alleggeriscono la tensione e costituiscono un momento di respiro. Entrambi hanno struttura ternaria. L’Andantino in modo di canzona è un intermezzo lirico: aperto da una cantilena dell’oboe ripresa dai violoncelli, ha una parte centrale basata su brevi iterazioni di incisi elementari di due battute continuamente riarmonizzati e si conclude con la ricapitolazione (questa volta ai violini, poi al fagotto) della sezione principale. Lo Scherzo è un saggio di colore orchestrale, del cui «nuovo effetto strumentale»

Čajkovskij andava particolarmente fiero, e non a torto. La prima parte è suonata dai soli archi, sempre “”pizzicato””; nel Trio entrano prima i legni da soli, poi gli ottoni sempre da soli; dopo la ripresa del “”pizzicato ostinato”” una Coda fonde i due principi tematici e strumentali, in modo che i tre gruppi si rispondono l’un l’altro con brevi frasi coronate dalle evoluzioni dell’ottavino.

La raffigurazione di un’allegra festa popolare del Finale (Allegro con fuoco) propone di nuovo una pagina formalmente impegnata, dove la distribuzione dei temi, che si ispira alla più semplice delle forme di rondò, è in evidente contrasto con la complessità della strategia tonale.

Čajkovskij impiega qui come secondo tema un canto popolare russo, sottoponendolo a una serie di variazioni che si intersecano con la vivace compattezza spettacolare del tema d’esordio. E prima dell’ultima apparizione di questo che si ripresenta, con tutta la sua forza fatale («ecco che il destino instancabile torna di nuovo a ricordarti che esiste»), il motto della fanfara, che conduce all’epilogo in fa maggiore. Esso afferma ora un altro mondo, come un’eco della morte che ridiventi vita.

Kurt Sanderling / Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Gestione autonoma dei concerti – Stagione sinfonica 1996-97

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