La stagione sinfonica che ho il piacere di presentare denuncia già nell’evidenza dei contributi critici del volume di accompagnamento quali siano i pilastri fondamentali su cui si regge: Wagner e il suo Anello del Nibelungo da un lato, la cui realizzazione integrale in forma di concerto proseguirà nelle prossime stagioni; Manfred e il tema dell’Eroe romantico dall’altro, attraverso il raffronto delle due colossali partiture di Čajkovskij e Schumann con altre espressioni consimili del repertorio ottocentesco, come il Benvenuto Cellini di Berlioz, il raro Onegin di Prokof’ev, lo Zarathustra di Strauss (ma anche, per certi contrasti, due purissimi anti-eroi per eccellenza come Schubert e Bruckner). Il tutto contornato da variazioni ed appendici nel Settecento (da Händel a Mozart) e nel Novecento delle grandi musiche sinfoniche da balletto.
Questa costellazione di nomi e di opere disegna un quadro che, rispetto alle stagioni precedenti, ha il pregio e il difetto di uscire dai binari della consueta compilazione dei programmi sinfonici, e dunque presenta margini maggiori di rischio e di avventura: più musica del Novecento, non soltanto di quello ormai “”storico”” (e semmai, di questo, come anche dell’Ottocento, lati meno riconosciuti: Sibelius, Roussel, Martin, Pfitzner accanto a Stravinskij e Berg, Ravel e Šostakovič), con due prime assolute di compositori italiani accanto a un omaggio a Maderna; meno (rispetto a ieri: non in assoluto) autori classici e romantici di riferimento, ben rappresentati soltanto dalle ultime tre Sinfonie di Čajkovskij e da tutta una serie di importanti Concerti solistici affidati a grandi interpreti.
Non si dirà che questa scelta, una volta preso atto con soddisfazione della sicura crescita dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI nell’ambito specifico di sua competenza (il grande repertorio sinfonico tradizionale), abbia l’ambizione di riaprire il discorso sulla funzione culturale di un’istituzione come la nostra in rapporto al suo pubblico vicino e lontano; semplicemente, si è ritenuto che l’ampliamento degli orizzonti e delle conoscenze, se confortato da esecuzioni accurate e consapevoli, potesse (dovesse?) entrare a far parte della vita fisiologica di un complesso, arricchirne le esperienze e accrescerne le motivazioni anche nei confronti delle aspettative del pubblico: che magari con queste digressioni potrà apprezzare con più forti elementi a disposizione le strade maestre che torneremo prossimamente a frequentare, per esempio con i cicli di Beethoven e Brahms (il cui anniversario per ora sfioriamo con Schönberg) affidati al nostro direttore onorario, il Maestro Eliahu Inbal.
Per intanto, digressioni non sono di certo le due partiture wagneriane (e neppure, per la verità, molte altre in programma) che il Maestro Inbal affronta per la prima volta con noi in questa stagione, con cast volutamente estranei al sempre più ristretto parco-cantanti dei cosiddetti specialisti consacrati a Bayreuth e altrove. Produrre una Tetralogia della RAI dopo le due mitiche realizzazioni di Wilhelm Furtwängler e Wolfgang Sawallisch in anni ormai lontani è una sfida magnifica, che trova la sua giustificazione, se ce ne fosse bisogno, nel ruolo centrale che Wagner ricopre nella storia della musica in assoluto: simbolo, che ci piacerebbe in generale seguire, di un territorio senza confini prestabiliti, dove tutto viene continuamente rimesso in discussione e riaffermato con sempre maggiore consapevolezza.
Stagione Sinfonica 1996-97, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI