Lo scritto di presentazione di una stagione mi è sempre sembrato un rito inutile. A volte serve ai direttori artistici per dire a se stessi quanto si è bravi, magari per darsi delle arie e vendere aria fritta; altre volte, a mascherare lacune che proprio in quanto sono evidenti vengono fatte passare per idee o intuizioni brillanti. Lo trovo penoso. Ogni stagione è il risultato di un compromesso, dello sforzo di raggiungere certi risultati – soprattutto per quanto riguarda gli interpreti, che oggi determinano il valore di una stagione – sapendo che puoi sempre ottenere di più. Se ci riesci, hai semplicemente fatto il tuo dovere; se non ci riesci, sei il primo a capirlo. E la cosa ti pesa. O pesa ad altri.
Esiste una stagione ideale, di programmi e di interpreti? Non credo. Esiste però una funzione. La nostra è quella di offrire esecuzioni di qualità con artisti che siano motivati a farlo, con noi. Che ci credano. Che lo vogliano. La mortificazione maggiore è ascoltare una esecuzione di routine, dalla quale non riceviamo niente. Questo vorremmo evitare. Ed è su questo che un direttore artistico deve lavorare. Più ancora che sulla scelta dei programmi e dei nomi.
La stagione, quella tutti la possono leggere e valutare. Per qualcuno ci sarà sempre troppo poco di questo e troppo di quest’altro. È normale. Non cerchiamo il consenso di tutti. Ma il riconoscimento che ogni concerto che presentiamo è il frutto di un lavoro pensato e mirato, quello sì. E su questo vorremmo che tutti provassero a seguirci, trovando da soli le ragioni. Che magari saranno diverse, e anche piú belle, delle nostre. Se non ci fossero, a nulla varrebbe indicarle facendosi belli dell’apparenza, o magnificando eventi. Nella cultura, ché tale è ormai considerata, dell’effimero e dell’indifferenziato, occorre levare, anche a costo di sembrare patetici, una voce di scelta. Forse, ormai, anche andare a un concerto è un modo di farlo.
Lo scritto di presentazione di una stagione dovrebbe avere un solo compito: salutare il pubblico che si appresta a seguirla e porgere il piú cortese benvenuto. Questo è un compito non solo doveroso ma anche grato. Non mi stancherò mai di ripetere che non esiste una grande orchestra, quale noi aspiriamo a essere, senza un grande pubblico: grande non solo di numero ma anche di motivazioni, di ideali, di sogni. Un pubblico che partecipi e che faccia sentire il suo calore, la sua solidarietà, la sua presenza. Che sappia di poter incidere su ciò che già gli appartiene. Per migliorarlo e, se necessario, cambiarlo.
Stagione Sinfonica 1997-98, Orchestra Sinfonica della Rai di Torino