Rimskij-Korsakov compose Shéhérazade nel 1888, ispirandosi ad alcuni episodi delle Mille e una notte. Nella premessa alla partitura l’autore così espose il canovaccio della vicenda: “”II sultano Shahriar, convinto della falsità e della infedeltà femminili, giura di uccidere tutte le proprie mogli dopo la prima notte di nozze. Ma Shéhérazade riesce a salvarsi intrattenendo il suo signore con affascinanti novelle, raccontate una dopo l’altra per mille e una notte. Il sultano, spinto dalla curiosità, rimanda di giorno in giorno l’esecuzione della moglie e finisce in ultimo per rinunziare definitivamente al suo proposito sanguinario””.
Delle favolose storie raccontate nelle Mille e una notte, l’antica raccolta araba divenuta famosa in Occidente ai primi del Settecento, Rimskij si serve liberamente, limitandosi ad assegnare un titolo a ciascuna delle quattro parti di cui è composta la suite sinfonica, in modo da mettere in moto la fantasia dell’ascoltatore. “”Tutto ciò che desidero””, aggiunge il compositore, “”è che l’ascoltatore apprezzi la mia opera come musica sinfonica e porti con sé l’impressione che essa è senza dubbio una meravigliosa favola orientale piena di numerose e differenti immagini fiabesche. Tutte le storie che vi si narrano sono evocate da un’unica persona, Shéhérazade, che intrattiene con esse il suo austero marito””. Musicalmente Shéhérazade e il sultano si identificano con due temi che sono presentati subito all’inizio (Largo e maestoso) e che ritornano più volte con funzione di veri e propri motivi conduttori: soprattutto quello di Shéhérazade, che ha fra l’altro il compito di legare un episodio all’altro. Se il sultano è raffigurato da pesanti e minacciosi accordi di trombone, tuba, corni, legni e archi, il canto di Shéhérazade gli si contrappone con una struggente melodia affidata al violino solo e contrappuntata dall’arpa, dapprima tremante e incerta, poi sempre più sicura di sé e ariosamente distesa. Ed è con la forza di questa melodia che Shéhérazade a poco a poco avrà la meglio sulla terribile severità del sultano.
“”Il mare e la nave di Sinbad”” è il titolo della prima parte (Allegro non troppo). L’ondeggiare delle onde, descritto dalla musica in senso più poetico che naturalistico, domina tutta questa scena; il suo movimento si fa sempre più violento contro la nave del povero Sinbad, fino a sfociare in una rabbiosa tempesta interrotta dall’improvviso ritorno del sereno, che riporta la calma nell’infinito azzurro del cielo. Proprio questa conclusione trasfigurata, tranquillamente ripresa dalla melodia del violino, ci dà la certezza che la giovane donna è riuscita almeno per un giorno a rinviare il suo destino di morte.
La seconda sera Shéhérazade racconta le burle amene del principe Kalender, divertendo il sultano con una serie di mirabolanti avventure ora patetiche, ora gioiose (Lento, Andantino). Qui Rimskij dà prova del suo virtuosismo inanellando una serie di episodi solistici affidati a strumenti diversi dell’orchestra. Spontanee canzoncine popolari, danze selvagge e fulminei squarci di sontuose feste barbariche si susseguono fra fanfare di ottoni e svolazzi di violini, raggiungendo il culmine di visioni incandescenti che estasiano il sultano, la cui curiosità è ora definitivamente conquistata. Shéhérazade è pronta ad osare un nuovo mezzo di seduzione, a rischiare tutto. La terza sera racconta la storia del giovane principe e della giovane principessa (Andantino quasi allegretto). Non sappiamo chi fossero questi principi della favola, ma certo si amavano e nei loro incontri si abbandonavano alla passione e alla tenerezza, celebrando la loro felicità con grazia. Le meravigliose melodie dei violini ci ridanno la voce suadente del principe, mentre la principessa risponde cantando una canzone accompagnata dal clarinetto: nelle variazioni che seguono, il dialogo si fa sempre più incalzante. A sentir parlare di amore in questi termini il sultano interrompe bruscamente il racconto; ma poi si placa, commosso dall’ardente immedesimazione di Shéhérazade. E le concede un nuovo rinvio. La quarta sera Shéhérazade descrive una festa popolare a Bagdad e, dopo un cambiamento di scena improvviso, un orribile naufragio (“”Il mare – La nave s’infrange contro uno scoglio””: Allegro molto, Lento, Vivo, Allegro non troppo maestoso). Prodigi di incantatori di serpenti, magici motivi di fachiri, esotici richiami, la folla curiosa e pettegola per le strade di Bagdad, all’inizio; poi, dopo che il sultano ha fatto nuovamente udire la sua voce sinistra e Shéhérazade si è rifugiata nella sempre più celestiale melodia del violino solo, ecco la descrizione della tempesta, ricca di colori e ritmi e di tutti gli effetti più strabilianti di cui l’orchestra di Rimskij-Korsakov era capace. All’inabissarsi della nave sventrata dallo scoglio s’insinua una stupefatta attesa: Shéhérazade ripete per l’ennesima volta la sua melodia, contrappuntata dai legni e poi dall’intera orchestra, quasi a voler chiedere conto del suo destino. E finalmente il sultano parla con accenti gentili e amorevoli, vinto dal coraggio e dall’immaginazione della donna. La dolcezza del suo motivo trionfante, si sovrappone alle armonie del sultano, ora non più severe e minacciose, in una raggiunta, completa unione.
Zubin Mehta / The
Teatro comunale di Ferrara, Stagione concertistica 1991/92