Nella capitale belga la riuscita opera lirica di John Adams “The death of Klinghoffer”
Bruxelles – Il compositore John Adams e la scrittrice Alice Goodman avevano già dato quattro anni fa con Nixon in China un esempio di opera basata sull’attualità. La tragedia dell’Achille Lauro ha fornito ora lo spunto per una nuova opera nello stesso senso: The Death of Klinghoffer, andata in scena in prima mondiale al Théàtre de la Monnaie con buon successo. L’argomento è la cronaca fedele del sequestro conclusosi con l’uccisione di Leon Klinghoffer, un inerme cittadino americano in crociera: una storia di ordiria follia dei nostri tempi, se solo più incomprensibile e disperata di tante altre.
La struttura dell’opera si fonda su principi classici: non soltanto nell’articolazione in due atti rispettivamente di due e tre scene incorniciati da un prologo e da epilogo, ma anche nelle forme chiuse dei singoli episodi, collegati da preludi e interludi orchestrali. Nel prologo due cori speculari, palestinesi e degli ebrei in esilio, levano il canto della rivolta e della preghiera; questi momenti inquadrano una scenetta di vita familiare americana, nella qualeun’Alma, un Jonathan e un Harry qualunque sognano di evadere dal grigiore quotidiano con un viaggio di piacere alle Piramidi. L’intersezione dei piani è fin dall’io fortemente ribadita: alle vicende di individui si oppone un destino di sofferenza che ha radici profonde nella storia universale dei popoli.
Il primo atto si apre con l’intervista televisiva al capitano della nave: la ricostruzione «oggettiva» dei fatti . La presenza della telecamera si materializza su uno schermo gigante calato nel mezzo della scena fissa.
Questa rappresenta lo spaccato di una nave con ponti e cabine, quasi il ventre di un mostro metallico che inghiottirà i personaggi e l’azione dei terroristi; mentre la scena vuota del teatro sarà il luogo della liberazione, e prima ancora del commento: dove prende posto il coro, come nella tragedia greca, e ogni personaggio isolato dagli altri dà voce ai ricordi e alla sua solitudine. Tutti i momenti decisivi sono doppiati, proiettati sullo schermo e distorti: chiara denuncia dell’ottica falsificante dei documenti-verità.
Il teatro infatti ricrea ogni volta quella visione, dà altri significati all’irrompere della violenza e della crudeltà, all’atto terroristico nel quale aguzzini e vittime sembrano presi da un’identica paura, da una stessa incapacità di dominarsi e di capire.
Il secondo atto è una meditazione di quanto è avvenuto, con i mezzi della poesia, della musica e della danza. A dramma ormai consumato, nella sospensione che segue, l’opera diventa musical per accogliere nuovi linguaggi legati ora alla tradizione americana, colta e popolare; non solo jazz e songs, ma anche modi di reagire estremi, condizionati dalla situazione reale o immaginata: come nella ballata di «Rambo», l’ufficiale che si crede l’eroe della liberazione, o nell’ingenuo stupore del giovane terrorista palestinese Mamoud, che si innamora della musica e della civiltà attraverso la radio di bordo. L’uccisione di Klinghoffer diviene così metafora di un sacrificio rituale, con esplicite contrapposizioni: il suo corpo martoriato e gettato in mare risorge per intonare il canto dell’espiazione e del perdono; al contrario, alla moglie che l’ha perduto, non resta che un compianto desolato. Poi i vari sdoppiamenti si ricompongono.
Mentre tutti si inginocchiano voltando le spalle al pubblico, una voce fuori campo invoca Dio perché sollevi gli uomini, al di là delle fedi, dall’oscurità in cui sono precipitati.
Il messaggio dell’opera è dunque di natura prettamente religiosa: dall’oppressione si genera il male, che non fa distinzione fra persecutori e vittime.
Il modo di comporre «minimalista» di Adams si basa sulla tecnica delle iterazioni. Unità minime ritmiche e melodiche ripetute su un
profilo armonico elementare, privo di spazialità contrappuntistica, producono con le loro sfasature stratificate un accumulo di tensioni senza sviluppo. È una musica che procede a blocchi, rinunciando programmaticamente alla continuità drammatica, ma che nello stesso tempo sembra voler riconquistare i simboli di un linguaggio antico, originariamente finalizzato alla comunicazione, per renderlo contemporaneo e significante.
I cori procedono per unisoni e semplici omofonie, richiamando alla memoria forme di polifonie primitive; ma il canto, declamato su un fraseggio rapido e incisivo, si apre anche ad ariosi che l’orchestra avvolge con un’insistita densità timbrica, monocorde e statica. Adams recupera i mezzi dell’opera nella loro essenzialità ed evidenza espressiva proprio per fissare in un linguaggio allusivo stati d’animo e pensieri di un paesaggio umano e spirituale immodificabile.
È difficile scindere il lavoro di lui e della Goodman da quello del regista Peter Sellars e del coreografo Mark Morris.
Tutti gli artifici e le invenzioni del teatro di regia moderno sono qui parte integrante della creazione. Uno spettacolo come questo, perfettamente curato in ogni dettaglio della realizzazione musicale dal direttore Kent Nagano e da tutti gli interpreti, dimostra che l’opera lirica non ha forse grande avvenire in fatto di qualità ma è capace almeno di far riflettere ancora sulle sue ragioni d’essere.
«The Death of Klinghoffer» di John Adams al Théàtre Royale de la Monnale dl Bruxelles (repliche il 24, 26, 29, 31 marzo e 2 aprile)
da “”Il Giornale””