In parte disperse le raffinatezze che il maestro ha ottenuto dalla Filarmonica della Scala nella Sinfonia di Linz e nel Requiem
Ravenna – Se doveva essere una sfida, questa inaugurazione di Ravenna Festival, ebbene, Riccardo Muti l’ha vinta, ma soltanto in parte. È riuscito a riempire la Rocca Brancaleone, solitamente avvezza ai melodrammi popolari, di un pubblico eterogeneo ma partecipe e alla fine soddisfatto, con un programma sinfonico interamente dedicato a Mozart; nel quale figuravano, in stridente contrasto espressivo non meno che tonale, la Sinfonia K. 425 in do maggiore detta di Linz e il Requiem K. 626 in re minore: pagina, quest’ultima, non propriamente adatta, dato il suo carattere, a inaugurare un festival, per di più fuori della concentrazione di un luogo chiuso.
I disturbi di una esecuzione all’aperto sono stati ridotti al minimo grazie a un servizio d’ordine evidentemente ben organizzato (solo i latrati isolati di un cane e i refoli di vento a tratti impetuosi non potevano essere previsti e neutralizzati). Ciò non toglie che un programma di questo genere in condizioni di ascolto oggettivamente precarie lasci adito a qualche dubbio e rammarico, e ponga il recensore di fronte all’obbligo di lavorare un po’ d’immaginazione, labili essendo i riferimenti precisi su cui basare le proprie impressioni.
Naturalmente aiuta il fatto che il Mozart brillante di Muti, tappa fondamentale della sua carriera d’interprete, sia punto già noto e individuato. Ma qui, più che ascoltarlo e apprezzarlo, si deve soprattutto intuirlo, e ricostruirlo. Anche perché Muti, nel suo orgoglio e nella sua intransigenza, non fa nulla per adattarlo alle insolite circostanze: l’organico rimane quello originale, senza raddoppi e rinforzi, la scelta dei tempi e dei piani sonori è quella di sempre, ossia molto flessibile, misurata e calibrata su sonorità delicate, con gradazioni dinamiche estremamente particolareggiate e raffinate. Ma i suoni, che qui si disperdono senza coagularsi e far corpo (soprattutto negli archi), rendono quasi vana la trama che il direttore tesse con evidente amore e sapienza. Si viene così a perdere uno dei tratti che rendono il Mozart di Muti così caratteristico e pregnante, curato e caldo, ora solenne e austero, ora malinconico e sospeso.
Della Sinfonia in do maggiore K. 425, composta a Linz nel 1783 su richiesta del vecchio amico e protettore conte Thun, Muti ha una visione niente affatto festosa e celebrativa, ma semmai drammatica e in molti punti problematica, che la rende sorella degli ultimi capolavori di Mozart. Fin dall’imponente introduzione lenta, che fornisce quasi la chiave di lettura dell’intera Sinfonia, Muti tende a intensificare il contenuto patetico, dando alla presenza di trombe e timpani un valore fortemente drammatico, ma non liberatorio o trionfale. Muti è uno dei pochi che abbia il coraggio e la sensibilità di eseguire tutti i ritornelli, dando così alla forma le sue esatte proporzioni e dimensioni: è una scelta assolutamente rivelatrice, si vorrebbe quasi dire definitiva. Con lui questa Sinfonia esce da qualsiasi convenzione settecentesca per divenire un grande momento sulla strada della perfezione dello stile sinfonico classico.
L’estremo, incompiuto documento del Requiem è un’opera sulla quale Muti ha lavorato molto, cercando di risolvere sul piano interpretativo i molti enigmi che vi sono contenuti. Si direbbe che in esso egli non cerchi un’impossibile unità stilistica, ma voglia piuttosto cogliere un atteggiamento spirituale, un modo di sentire e di rivestire di musica il testo della Messa da morto che dall’esterno, come è noto, era stato commissionato a Mozart in circostanze misteriore. un clima, un intreccio di suggestioni più che una forma, ciò che Muti vuole sottolineare: lugubre ma non disperato, solenne ma non accademico. Affatto marcata, quasi si trattasse in alcuni punti di episodi teatrali, è la dizione del testo, di chiarezza ed espressività esemplari; come se lì fosse da ricercare l’anima della presenza mozartiana.
A questa ininterrotta tensione dello stile vocale, resa in modo splendido dal coro della Radio svedese e da un quartetto di solisti duttilissimo e omogeneo (Pace, Manca di Nissa, Kundlak, Súrjan), l’Orchestra Filarmonica della Scala risponde con varietà di colori e interventi solistici che s’immaginano sicuri e bellissimi: anche se i passi fugati si disperdono anziché addensarsi, alcune entrate risultano asprigne e i corni di bassetto arrivano da lontananze irraggiungibili. Ma tant’è. Certe sfide, neppure Muti con la sua autorità è in grado di vincerle da solo. E c’era da credere che se ne rendesse benissimo conto.
«Ravenna Festival» (dal 1° al 31 luglio)
da “”Il Giornale””