Perché avviare un festival di musica sacra proprio a Pisa? La risposta è semplice. Pisa possiede, se non la tradizione (ché quella in Italia la può vantare solo la “”Sagra Musicale Umbra””, dei mitici tempi che furono di Francesco Siciliani), la cultura, la sensibilità e soprattutto un luogo come la Cattedrale – ma vorremmo dire, in proiezione futura, molti luoghi – di straordinario valore artistico e storico, particolarmente adatto, o adatti, all’esecuzione di alcuni dei massimi capolavori della nostra civiltà musicale. A cui ora si sono aggiunti anche una volontà programmatica e un impegno finanziario, frutto della cooperazione, sull’impulso decisivo dato dall'””Opera della Primaziale Pisana””, di enti pubblici (Provincia e Comune) e privati (Fondazione della Cassa di Risparmio).
Nostra civiltà musicale, ho detto. Giacché il concetto di musica sacra deve essere inteso nella sua accezione più vasta. Non soltanto come musica di chiesa, o liturgica, destinata cioè alla funzione del culto secondo l’ordine dei riti e delle cerimonie sancito dalla tradizione o dall’autorità della chiesa (cristiana, cattolica e non), ma anche come insieme di opere che, pur rispondendo a fini spirituali, religiosi o devozionali, non siano state originariamente concepite come momenti integranti di un servizio liturgico. È il significato che per esempio il termine tedesco “”geistlich”” esprime con la massima pregnanza: “”sacro”” come ecclesiastico, religioso e spirituale al tempo stesso. In tal senso è stato concepito il programma, differenziato in modo da contemperare stili, epoche, forme e autori in un connubio ideale di conoscenza e di riflessione sul “”sacro”” in quanto “”religione”” e in quanto “”spiritualità””; donde il nome che accompagna il festival, “”Anima Mundi””, teso a farne risaltare l’aspetto non confessionale, ma metafisico e trascendente. L’ “”anima del mondo”” emana con l’intelligenza da quell’Assoluto che chiamiamo Dio: e all’Assoluto l’uomo si ricongiunge nell’estasi mistica, di cui la musica può essere una corsia preferenziale. Dal tormento proprio di ogni essere pensante, l’idea dell’Assoluto – del prima e del poi, della vita e della morte, del sacro e dell’eterno – non può essere bandita, come la storia della musica stessa ci insegna.
La profonda trasformazione che la musica sacra ha subito nel corso dei secoli rende non solo legittima, ma anche necessaria questa interpretazione. La distinzione di principio tra opere liturgiche e “”spirituali”” trova solo un parziale riscontro sul piano concreto: come la chiesa (quella cattolica con maggiore resistenza, almeno dal Concilio di Trento al Vaticano II) ha da sempre utilizzato anche musiche solo genericamente “”religiose””, così molte pagine sacre, tra cui capisaldi della liturgia come le Messe, sono nate per una destinazione concertistica, o quanto meno con una intima vocazione concertistica, poi confermata anche dallo stabilizzarsi di un’abitudine esecutiva nel repertorio extraecclesiale. In questi casi, ciò che conta è l’atteggiamento umano e spirituale, capace di forzare anche le convenzioni di uno stile e di una tradizione uscendo dagli ambiti prefissati dall’uso: coinvolgendo in una problematica musicale di più vasto raggio, spesso radicata nel presente o rivolta al futuro, le forme stesse della musica sacra. È il caso, naturalmente, di Mozart, in perenne contrasto con il suo padrone salisburghese, l’arcivescovo Colloredo, che non sopportava le sue devianze di natura sinfonica e teatrale, e tuttavia incapace, dopo la rottura di quel vincolo, di portare a termine altre opere sacre: negheremo per questo la presenza del trascendente in questi come nei su lavori di altro genere? E potremmo rinunciare a considerare la Missa Solemnis di Beethoven, con il suo motto umano, troppo umano “”dai cuori – possa tornare ai cuori””, il vertice di quel che intendiamo per musica sacra, per il solo fatto che la sua prima conoscenza avvenne in un teatro e si sia affermata soprattutto nelle sale da concerto?
Queste considerazioni comportano come è chiaro una quantità illimitata di sviluppi. Scopo di questo festival è porre la questione nei termini indicati, senza pretendere di esaurirla, nella convinzione che in essa si possa trovar senza scomodare inutili lamentele sullo spirito dei nostri tempi presenti, una necessità imprescindibile di spiritualità e di bellezza: spesso, come esse sono, ostiche e dure, sommesse e solenni. E da questo punto di vista il recupero di luoghi sacri – a cominciare dalla Cattedrale di Pisa – per accostarsi a queste esperienze, lasciando a ognuno libertà di intenderle secondo la propria coscienza, è di importanza fondamentale, al di là delle destinazioni specifiche delle opere presentate.
Un programma vive non soltanto di intenti, ma anche di scelte. Nel presupposto, più di una speranza, un impegno, che il festival possa proseguire nei prossimi anni, si è intanto deciso di impostare, fissare ed elaborare alcune delle tematiche legate alla storia della musica sacra, alle sue forme e ai suoi stili. Al centro, nodo cruciale anche quel passaggio che si è detto fra tradizione e innovazione, sta l’epoca classica, rappresentata da Haydn e Mozart: è con loro che la musica sacra diviene uno specchio dell’anima che guarda anche al mondo. C’è poi un prima e un dopo, che certo non esaurisce, ma semmai solo indica, le vie del sacro: Monteverdi con la sua grandiosa sintesi barocca di forme antiche e moderne nel Vespro della Beata Vergine, la civiltà strumentale di Händel e Vivaldi da un lato; gli esiti opposti del fosco, scultoreo Cherubini e del tenero, intimo Schubert dall’altro. Non si è voluto tralasciare di gettare uno sguardo in avanti, per capire il destino non tanto delle forme quanto del senso del sacro sotto questo profilo Stravinsky, Bernstein e Pärt testimoniano attraverso tre generazioni distinte la sofferta ricerca religiosa del Novecento. Si tratta in tutti i casi di opere di grande bellezza musicale, ma ancor più di forte tensione umana e spirituale. Quasi tutte si confrontano con le forme tipiche del musica sacra cattolica: la messa, per i vivi e per i defunti, il mottetto, l’inno, la sequenza dello Stabat Mater, l’ufficio dei vespri, cui appartiene anche il Magnificat, i salmi e altre ancora. Una costante deliberatamente voluta in questo primo anno, una base appunto, un impatto deciso anche con la lingua della liturgia, il latino: voce del rito e dell’evocazione che, trattata musicalmente, fitta di armonie e di contrappunti spezzati, rimanda ad allusioni molteplici, infantili e sedimentate nell’esperienza, nel tempo e nello spazio. Da recuperare, come l’espressione dell’ “”anima mundi””, accanto ad altri linguaggi ritenuti più attuali.
L’aggettivo “”internazionale”” di cui si fregia il festival non è un omaggio alla moda corrente. Nel proporre opere capitali della storia della musica e dello spirito, o semplicemente dell’uomo e dell’artista che intona le parole del rito interrogandosi per noi tutti sul loro significato, si è voluto presentare anche differenti prassi esecutive, vicine e lontane nella formazione, tradizionali e non nell’atteggiamento, affidandole a complessi e interpreti internazionali di esse rappresentativi. Giacché un’altra caratteristica della musica è queclla di poter suonare e parlare, fraseggiare e cantare, intimare e persuadere, sempre in modo diverso: senza perdere la sua sostanza di verità. Una sostanza che nella musica sacra è incarnata da una collettività di individui, dalle voci soliste, dal coro e dagli strumenti accomunati in un’ideale fratellanza dei mezzi di espressione e di comunicazione, non ancora divenuti di massa: costituiscano convinta preghiera di fede o dichiarazione vibrante di scettica speranza, essi chiamano in causa la responsabilità del singolo, ma non abbandonato a se stesso. Nell’idea del sacro, si trascende il dramma della solitudine e dell’inadeguatezza dei pensieri.
Fu un interprete animato da questi sentimenti contrastanti, lucido e appassionato insieme, un uomo e un artista alla ricerca di una meta, il maestro Giuseppe Sinopoli, a suggerire per primo l’idea di una festival di musica sacra a Pisa, città particolarmente ricca di luoghi spirituali di grande richiamo. Questa prima edizione di “”Anima Mundi”” s’intende, dopo la sua tragica scomparsa, a lui affettuosamente dedicata.
AnimaMundi, Primo Festival Internazionale di Musica Sacra a Pisa
Duomo di Pisa, 2001
Riccardo Donati / Opera della Primaziale Pisana; Leopold Hager / Orchestra del Mozarteum e Coro Bach di Salisburgo; Michele Carulli / Orchestra da camera e Camerata Slesia; Anderw Laurence-King / L’Homme Armé; Vladimir Spivakov / Russian National Orchestra e Coro Filarmonico di Mosca; Riccardo Muti / Orchestra Filarmonica della Scala