La figura dell’Elena egizia contrapposta a quella di Troia del mito e dei poemi omerici risale agli albori della storia greca. Secondo Erodoto, Paride, partito da Sparta in compagnia della regina rapita a Menelao, fece tappa in Egitto; e qui il re Proteo, per punirlo del suo misfatto, sequestrò Elena e tutti i suoi tesori in attesa di riconsegnarla con essi al legittimo sposo. Da questo spunto nacque la favola delle due Elene: una, la vera, casta e fedele, rimase in Egitto; l’altra, la falsa, costruita a immagine di quella come un fantasma, raggiunse Troia abbandonandosi a una sfrenata vita amorosa, fonte di rovina. Espugnata Troia, Menelao riebbe la moglie senza tuttavia riuscire a estinguere la sua ansia di vendetta; approdato a sua volta in Egitto col fantasma di colei, vi incontrò la vera Elena, la riconobbe e trovò pace.
Da questa versione Hugo von Hofmannstahl trasse l’argomento per l’opera in due atti che Richard Strauss compose tra il 1924 e il ’27, dopo Intermezzo e prima di Arabella: opera considerata a torto minore nel sodalizio fra i due artisti e comunque di assai rara esecuzione; fuori che a Monaco, dove viene ripresa a inaugurazione del ciclo integrale del teatro di Strauss all’Opera di Stato, sotto la direzione ispirata di Wolfgang Sawallisch.
In Elena egizia tragedia e commedia si tendono la mano, intrecciando i temi dell’antichità tanto cari a Hofmannstahl e Strauss con una visione proiettata su vasti orizzonti linguistici. La collocazione della vicenda in Egitto – Elena fra Sparta e Troia – non è solo pretesto per una ambientazione esotica, favorevole alla musica, ma anche occasione per cogliere l’azione e i personaggi in un momento decisivo dello svolgimento drammatico, dove verità e menzogna sono così fuse da apparire inestricabili. Il dubbio, l’incertezza ne sono per così dire i valori costitutivi: l’apparenza e la realtà si scontrano in una terra di sogno e di mistero, dove aleggiano ombre di fantasmi e di defunti. Il mito come allegoria della storia.
Lo spessore tragico dell’argomento – Menelao roso dal dubbio sull’identità di Elena, l’apparizione di Paride, la morte di Daud per amore della donna più bella del mondo, la disperazione di Altair che vorrebbe rapirla, e non da ultimo la stessa incertezza di sé di Elena – è di continuo perforato, come da aculei, da inserzioni leggere, di tono comico, grottesco o caricaturale, nelle quali la penna dello scrittore brilla con impagabile, virtuosistica finezza. Elfi, coboldi, guerrieri, fanciulli, e perfino uno stormo di “”asessuati”” si intrufolano nelle maglie del dramma e lo commentano ironicamente: quale espressione del mondo fatato della maga Aithra, deus ex machina della vicenda, che si serve per i suoi buoni fini di un “”mollusco onnisciente””, parodia neppur troppo velata della Erda wagneriana (parodia affettuosa, s’intende). Questi due piani dell’azione si intersecano e si sostengono a vicenda, senza contraddirsi: essi riflettono e anzi amplificano, dandole voce e colore, l’ambiguità ch’è il fondo dell’opera stessa; ed è prima ancora nell’atteggiamento di immedesimazione e insieme di distacco assunto dagli autori nei confronti di questa ennesima rivisitazione del mondo antico, per parlare, attraverso di esso, di sé e della propria epoca, con metafore grandiose ed eloquenti nella loro apparente inattualità.
La commistione dei generi, appresa alla scuola di Mozart, aveva reso possibile a Hofmannstahl e Strauss la creazione di un capolavoro come Arianna a Nasso, dove questa stessa duplicità si sublimava al vertice di un equilibrio classicamente perfetto. Elena egizia rimane un gradino sotto, come risultato forse sperimentale di un compromesso fra letteratura e musica. I due autori s’incontrano a metà strada partendo da posizioni opposte: Hofmannstahl guarda all’opera con intenzioni leggermente ironiche, comunque disincantate, anche se poi finisce per appassionarsi al lato serio, in forma quasi tragica, Strauss sottolinea sin dall’inizio con sentimento l’aspetto eroico, umano e drammatico della vicenda, raffreddando di volta in volta la temperatura violenta della musica con sbalzi improvvisi, là dove il libretto lo richiede. Non sempre l’aggancio avviene con spontanea convinzione. Dal punto di vista musicale i momenti più convincenti rimangono quelli nei quali il respiro sinfonico è sostenuto dall’ampiezza delle melodie, dalla tenuta dello slancio lirico: insomma dal canto disteso, nobilmente espressivo, che tende a farsi infinito, ossia aperto a continui sviluppi, e fortemente incisivo.
Di questi momenti beneficiano non soltanto la protagonista ma anche i personaggi di contorno, con dovizia spettacolosa; la piena dell’invenzione melodica scorre travolgente ben prima di convergere nei Finali d’atto, luogo deputato in Strauss dell’esplosione sinfonica e dell’estasi del canto. Cosicché pagine mirabili come il risveglio di Elena alla fine del primo atto e il terzetto della riconciliazione finale non hanno sotto l’aspetto drammaturgico quell’effetto risolutivo cui il genio teatrale di Strauss accortamente mirava. Segno che, sotto sotto, l’ironia dell’intellettuale Hofmannstahl aveva avuto partita vinta.
Die Ägyptische Helena è un’opera che accende la fantasia, suscita interrogativi e problemi, accelera il corso dei pensieri e – perché no? – del cuore, quando la si ascolta. Rappresentarla è sicuramente molto difficile. A Monaco, la si è solo ascoltata, sotto la vibrante direzione di Sawallisch, con la bellissima partecipazione di Gwyneth Jones – la classe – Klaus König – la potenza – Carmen Reppel – la volontà – nei ruoli principali. Quel che si è visto faceva invece torto non soltanto alla fantasia accesa, ma al semplice buon senso dei presenti. Si voleva forse offrire la rivincita al musicista Strauss sul drammaturgo Hofmannstahl? Se così fosse, la sciatteria e la volgarità di un regista, uno scenografo e un costumista qualunque hanno rimesso le cose a posto. Con soddisfazione di chi, non è dato per ora di sapere. Ma a Monaco, dove si fa di tutto per impedire a Sawallisch di guidare saggiamente il suo teatro, questa è storia vecchia. Evidentemente le false Elene sono ancora fra noi.
Musica Viva, n. 1 – anno XII