Monaco di Baviera: Le allegre comari di Windsor

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Avviandosi alla conclusione l’anno del centenario di Wagner, l’Opera di Stato di Monaco rientra nella normalità: parola cara a Wolfgang Sawallisch, il quale ha tuttavia il merito di intenderla ed esercitarla a livelli elevati di qualità. Non senza contrasti, però. Pochi mesi addietro avevamo avuto l’occasione di assistere alla conferenza stampa di presentazione della stagione 1983-84, cogliendo fra l’altro una piccola soddisfazione «nazionalistica» nel riscontrare, negli addetti ai lavori della capitale bavarese, una buona dose di provincialismo e di amore per la polemica spicciola, più da fans che da professionisti. Almeno sul piano della critica musicale, il nostro paese non ha niente da invidiare alla cultura tedesca: accade così di sentir chiedere con tutta serietà che cosa si intenda per repertorio classico, e soprattutto quando tornerà a cantare Pavarotti o Domingo. Sawallisch risponde con pazienza, enunciando i suoi programmi futuri: che prevedono, accanto alla riproposta di opere in qualche misura importanti e da molti anni assenti da Monaco (per esempio l’anno prossimo Carmen, Il lago dei cigni e Adriana Lecouvreur, quest’ultima con la Price), una perlustrazione del repertorio tedesco meno battuto, con particolare riferimento all’opera romantica prima di Wagner (e dunque Nicolai, Cornelius, Marschner e Weber, quest’ultimo con Il franco cacciatore affidato a Kleiber). Inoltre, Arabella di Strauss e Palestrina di Pfitzner; per il Novecento, Jeanne d’Arc au bûcher di Honegger, protagonista Andrea Jonasson. E merita fin d’ora di confermare il ritorno di Muti nella primavera dell’85, con Macbeth.

L’inizio della stagione a Monaco coincideva con un nuovo allestimento delle Allegre comari di Windsor di Otto Nicolai, opera popolarissima nell’Ottocento anche da noi, prima di venir messa in ombra dalla folgorante apparizione del Falstaff. Composta e rappresentata a Berlino nel 1849, pochi mesi avanti la morte del suo autore, questa commedia in

musica, che alterna dialoghi parlati a numeri chiusi secondo la tradizione del Singspiel e dell’Opéra-comique, è considerata non a torto il capolavoro di Nicolai e illustra in modo assai efficace la situazione dell’opera romantica tedesca alla metà del secolo: una situazione senza via d’uscita, come ben intravvide Wagner, capace tuttavia di offrire, grazie al fertile equilibrio di convenzioni consolidate e di libera immaginazione, ampio spazio all’invenzione puramente musica-le e al piacere di suggestionare con i suoni. Un campo aperto, in altre parole, per quanto rigidamente segmentato, nel quale un musicista di vena brillante e di robusto artigianato come Nicolai mostra di essere a proprio agio, senza porsi troppi problemi.

Stanti queste premesse, un confronto col Falstaff appare ovviamente improponibile, nonostante la quasi perfetta coincidenza dell’argomento (desunto, come noto, da Shakespeare). Quella di Nicolai è un’opera corale, nella quale il personaggio di Falstaff non assurge mai al rango di protagonista, di perno dell’azione; essa si dipana unicamente attraverso l’intreccio ordito dalle donne, con toni scherzosi e burleschi pronunciati, seppur tenuti sulla corda di un umorismo leggero e garbato, sapientemente rispecchiato nella levigata superficialità della musica. Significativamente l’opera ha inizio con la lettura della duplice missiva inviata da Falstaff alle due giovani donne (nella versione tedesca Frau Fluth e Frau Reich); manca la presentazione di Falstaff, che in Verdi ne caratterizza fin dal principio la psicologia. Anche la coppia dei giovani innamorati (Fenton e Anna) non si discosta da un convenzionale per quanto nobile lirismo, mentre gli uomini sono disegnati con tratti caricaturali marcati. Nella scena finale del parco di Windsor la comicità e la verve brillante fino ad allora predominanti lasciano il posto a tinte notturne e fiabesche finemente evocate dalla musica (ritornano qui ciclicamente i principali temi esposti nell’Ouverture), mettendo in risalto quell’elemento fantastico che, chiaramente modellato su Weber e Mendelssohn, costituisce lo spunto di maggior fascino poetico dell’opera.

L’edizione di Monaco puntava sull’eccellenza della compagnia di canto, tanto omogenea quanto ricca di individualità quali Kurt Moli (Falstaff), Wolfgang Brendel (Herr Fluth, l’equivalente di Ford, per intenderci), Peter Seiffert (Fenton) e John Janssen (Dr. Cajus); fra le donne, deliziosa per presenza scenica e stupefacente nei passi di agilità e di coloratura Lucia Popp (Frau Fluth), cui la partitura assegna un ruolo di particolare impegno e rilievo; impari al confronto, ma non meno efficaci, la Frau Reich di Cornelia Wulkopf e l’Anna di Julie Kaufmann. Dirigeva, con la consueta dedizione e maestria di concertatore, Wolfgang Sawallisch.

Deludente invece la parte scenica, affidata alla regia di Peter Beauvais. Costui immagina che l’opera sia rappresentata su un carro di Tespi da attori dilettanti in un paese di provincia, come si trattasse di una commedia improvvisata. Idea alquanto bizzarra, dato che l’opera di Nicolai ha precisi riferimenti culturali (situabili semmai nel contesto dell’epoca Biedermeier) ed è condotta con assoluta consapevolezza stilistica. Beauvais ha il merito di saper far agire i cantanti come consumati attori, con brio e precisione, ma sconta amaramente la maldestra rimasticatura di stilemi strehleriani (le smaccate citazioni dell’Arlecchino goldoniano sono oltretutto fuori posto), primo fra tutti quello del coinvolgimentostraniamento dei protagonisti e del pubblico. L’inutile problematizzazione dell’aspetto visivo nuoce non poco alla scorrevole brillantezza della musica. Da un teatro di vertice come quello di Monaco sarebbe lecito aspettarsi qualcosa di più, anche nella odierna, difficile situazione della regia d’opera.

Musica Viva, n. 12  – anno VII

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