Monaco: Celibidache

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Il concerto inaugurale del nuovo centro culturale Gasteig di Monaco è stato l’occasione non soltanto per ascoltare in condizioni eccezionali il grande Sergiu Celibidache e i suoi Münchner Philharmoniker, ma anche per conoscere dal vivo e nella pienezza delle sue funzioni la sede, diremmo noi, polivalente, che l’ha accolto. Se infatti la sala da concerti, battezzata «Philharmonie» con evidente richiamo alla ormai leggendaria sede dei Filarmonici di Berlino, è la perla dell’edificio, Gasteig si propone come un centro della cultura attrezzato per molti usi: da quelli didattici (vi è ospitato il Conservatorio di musica «Richard Strauss») e di studio (una grande biblioteca, sale per conferenze, aule per riunioni) a quelli più propriamente artistici, ossia mostre, cinema, teatro e naturalmente musica. Alla musica sono destinate tre diverse sale: una, sperimentale, da duecento posti, una, intitolata a Cari Orff, da seicento, più il grande auditorium che, con i suoi 2400 posti, diverrà non soltanto la sede stabile dei Filarmonici di Monaco ma anche il perno dell’intera attività sinfonica ospitata a Monaco. E una sede come questa era forse l’unica cosa che ancora mancasse alla vita musicale di una città di rango internazionale.

Orgogliosamente, Gasteig, che sorge sulle pendici prospicienti il fiume Isar dirimpetto al famoso museo della scienza, è stato presentato come il Beaubourg tedesco. Esso ricorda invece piú da vicino il Barbican di Londra, non soltanto per il tentativo di integrarlo per contrasto con il paesaggio circostante, quanto soprattutto per la natura delle sue funzioni: tutt’altro che indirizzate, come al Beaubourg, verso l’arte e la cultura contemporanea, e destinate invece a raccogliere e promuovere manifestazioni legate alla tradizione municipale e regionale di Monaco e della Baviera, quasi a volerne rinsaldare l’identità. E questa fusione di aperture internazionali e di riconosciuti caratteri locali costituisce l’ambizione più evidente del nuovo centro culturale in quanto tale.

La presenza di Sergiu Celibidache rappresenta, per quanto riguarda in modo specifico la musica, un punto di riferimento preciso. E il fatto che Gasteig sia in primo luogo la sede della sua orchestra, non potrà non diventare una pietra di paragone per un modo di intendere, oggi, la cultura musicale. Fin dal concerto inaugurale, infatti, Celibidache ha voluto sottolineare con forza i suoi criteri al riguardo: Gasteig sarà il tempo del grande repertorio sinfonico, massimamente tedesco, con poche ma significative aperture alla musica del Novecento; affidate tutte, sia chiaro, nelle mani di direttori ospiti. Per sé, Celibidache riserva i grandi classici, in una sorta di monumentale cavalcata, forse, data l’età e lo stato di salute del maestro, ogni volta e sempre di nuovo definitiva, sul dorso dei massimi autori. Che per lui, in fin dei conti, sono ben pochi.

Quanto questa scelta sottintenda una poetica intepretativa nettamente profilata e incisa da un rigore quasi maniacale, lo si è potuto capire dall’ascolto della Quinta Sinfonia di Bruckner, preceduta, con oscuro significato augurale, da una ghirlanda di mottetti funebri di Heinrich Schütz, riuniti sotto il titolo Musikalische Exequien. Questa musica Celibidache non la dirige, non la interpreta, la rivive segno per segno come se appartenesse a un mondo lontano, e perduto. Essa suona per noi straordinariamente grande e inquietante, ma come se non la possedessimo più e dovessimo compiere uno sforzo indicibile per riappropriarcene; mentre lui, sul podio, quasi ostenta la sfida con tragica, beffarda superiorità. Non è più questione di tempi, di scelte dinamiche, di rapporti sonori, di relazioni tematiche sovranamente identificate e chiarite: Celibidache celebra un rito, con la solennità di un sacerdote. E ci invita a partecipare a questa consacrazione con fede cieca e assoluta, come si conviene a un mistero liturgico. Di fatto, l’intensità della carica espressiva ed emotiva si fa via via sempre più insostenibile, e nell’Adagio della Sinfonia bruckneriana perviene, quasi per un rovesciamento degli opposti, a una eterna, immobile calma, una pacificata contemplazione assai prossima all’intuizione mistica. Eppure, nello stesso tempo, abbiamo ad ogni istante l’esatta percezione di ciò che sta accadendo, come se un invisibile filo razionale ci guidasse e ci sorreggesse nella scoperta di qualcosa che già era in noi, che già conoscevamo, e che pure non riuscivamo a ricordare e a definire.

Non è esagerato chiamare quest’ascolto un’esperienza memorabile. Resa ancora più eccitante dall’acustica inaudita della nuova sala della “”Philharmonie””, miracolosamente calibrata, pur nella sua avanzatissima tecnologia computerizzata, sul respiro naturale della musica. Pare che questa sala sia in grado di rispondere continuamente alle sollecitazioni acustiche compensando automaticamente le variazioni dinamiche rispetto a un livello ottimale: e si dice che sia stato lo stesso Celibidache, il cui orecchio finissimo è proverbiale, a lavorare accanto a tecnici e scienziati per ottenere questo risultato. Ciò non deve sorprendere. Prima di diventare musicista, Celibidache è stato matematico e studioso di filosofia. Convivono in lui l’anima dell’artista e quella dello scienziato, la logica e il sentimento, la fede e la miscredenza, la religione dei classici e lo spirito del libero pensatore; riuniti in uno a celebrare i sommi creatori delle epoche luminose e della decadenza, fino alle soglie dell’era moderna. Forse troppo attuale e oscura perché egli vi si possa riconoscere. E davvero questa sala spettacolosa e ultramoderna, così somigliante a una immensa cabina spaziale, appare un segno inquietante e insieme attraente della nostra lucida, trionfante follia tecnologica, dove Celibidache, astronauta solitario e temerario, compie i suoi viaggi nei cieli tormentati della musica, alla ricerca dei valori assoluti.

Musica Viva, n. 12-1, anno IX/X

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