Ma critici si nasce

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Un enigma musicale nel romanzo di Giovanni Morelli

Così ora anche la critica musicale ha il suo bel romanzo alla maniera di Eco, romanzo a cui auguriamo volentieri, e non soltanto per orgoglio di corporazione, altrettanto successo. Come propone il sottotitolo, forse con una certa ironia si narra della «nascita della critica musicale». Ma Il morbo di Rameau di Giovanni Morelli non è un saggio musicologico, è infatti un romanzo, se si vuole critico. Un romanzo attorno a un soggetto trasversale, il capolavoro di Jean-Philippe Rameau Les Indes Galantes (1735), 1’Opéra-Ballet più applaudita, contestata e replicata a Parigi nel suo tempo. Perché «trasversale»? Perché Morelli immagina che a parlarcene attraverso discussioni interminabili siano due chiacchieroni perdigiorno, accaniti frequentatori di teatri, caffè e pasticcerie, ma anche a modo loro testimoni eccellenti: Jean-François Rameau, nipote del compositore, e Pierre-Louis Fuzelier, nipote di quel Fuzelier che dell’opera di Rameau era stato il librettista.

Costoro, la sera del 18 luglio 1743, si ritrovano in una saletta del Café de la Régence al Palais Royal per discutere dell’opera che appunto in quei giorni si replica a Parigi e di cui sono autori i rispettivi zii: poco meno di vent’anni prima che Diderot, con il suo dialogo, rendesse celebre il Nipote di Rameau. Naturalmente, anche questo riferimento è uno stratagemma di cui Morelli si serve, fra molti altri rimandi, per il suo gioco di specchi e di finzioni. Ma la trovata di fondo, e il punto di convergenza, sta nell’idea che il dialogo avvenga esaminando punto per punto, pagina dopo pagina, l’opera proprio mentre essa viene rappresentata a teatro: osservandola e indagandola, come discendenza impone, da punti di vista differenti.

Al termine delle cinque dispute (o «scandali», come le definisce l’autore), che rispecchiano ognuna i cinque atti – ossia il Prologo e le quattro «Entrées» – delle Indie Galanti, ci troviamo di fronte a due posizioni estreme, apparentemente inconciliabili: quella del Nipote di Rameau, che nella disorganicità dell’opera vede il trionfo assoluto della musica e il superamento delle convenzioni tanto del genere opera quanto del balletto, e quella di Fuzelier Cadet, che a quella incoerenza oppone il principio unificante e ordinatore dei valori del testo.

Col che, dopo tanto discutere e accapigliarsi (e tante piacevoli, impreviste digressioni quasi ispirate dai temi fantasiosi dell’opera), si sarebbe punto e a capo. Magari con piena soddisfazione degli interlocutori, per i quali il piacere della critica evidentemente non conosce confini. Ma non dell’autore. Il quale, nell’epilogo collocato quasi vent’anni dopo l’antefatto, conduce i nostri due perdigiorno, una notte, nella casa spettrale di uno strano scienziato olandese dal nome non meno misterioso. Ed è lui, dopo una dissertazione dotta e funambolica nei campi più diversi del sapere, a dare una interpretazione medico-alchemico-cabalistica dell’opera enigmatica, rivelandone così la sostanza: l’unità dell’opera di Rameau il Grande non è in sé in nessuno degli elementi singoli che la compongono ma proviene dall’azione di una «inaudita e inaspettata terza sub-facoltà»; «una terza volontà né obstruens, né dirumpens, quanto piuttosto, alta funzione risolutrice di problemi ed anche – se si vuole – struttura della evolutività, ex morbo, del principio stesso di anima: un’anima veramente capace di essere un modulo convertibile. (Convertibile in male, e in altro, in meglio)». Rivelazione a cui segue, come nella soluzione di un giallo, l’applicazione ermeneutica al caso delle Indie Galanti.

E il morbo di Rameau? Esso non è altro che il morbo della critica, la reazione vittoriosa e creativamente innovatrice alla malattia della modernità; da cui nascono, «grazie a una esperienza di fatale reazione alla necessità del morbo», effetti e cause di nuove realtà: in altre parole, veicoli liberati di nuove «unità di modernizzazione». Ma chiaramente anche questa è solo una delle possibili interpretazioni del rebus, come Morelli lascia intendere nell’esilarante finale; quando i due eroi della storia, un po’

turbati ma non convinti, si avviano come sempre verso il Caffè rimuginando i loro pensieri: in attesa, si intuisce, di riprendere gli esercizi dialettici.

 

Giovanni Morelli, «Il morbo di Rameau», Il Mulino, pp. 257, 1ire 20.000

da “”Il Giornale””

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