Luigi Dallapiccola – Divertimento in quattro esercizi

L

Luigi Dallapiccola

Divertimento in quattro esercizi

per soprano, flauto (con ottavino), oboe, clarinetto, viola e violoncello

 

Introduzione

Arietta

Bourrée

Siciliana

 

Composto nel 1934 su ordinazione della società «Le Carillon» di Ginevra, il Divertimento in quattro esercizi è una delle opere più significative della produzione giovanile di Dallapiccola, quella in cui si compie, secondo l’opinione dell’autore stesso, il primo passo verso l’indipendenza e l’autonomia dai modelli che lo avevano fino ad allora influenzato. Non soltanto col senno di poi, quest’influenza va del resto ridimensionata e vista semmai sotto la luce di un tendenziale distacco dai filoni che dominavano la musica italiana del tempo, verso i quali Dallapiccola, sia per la formazione che per cultura, nutriva un’istintiva diffidenza. La stessa dedica ad Alfredo Casella appare un omaggio di gratitudine per l’autorevole incoraggiamento da lui prestato fin dagli inizi della carriera di Dallapiccola più che la testimonianza di una sintonia di atteggiamenti compositivi, men che mai realizzabile – o almeno non del tutto soddisfacentemente – sul terreno degli ideali della «giovane scuola» italiana o su quelli del neoclassicismo. Non per nulla la simpatia di Dallapiccola compositore andava piuttosto a Malipiero, musicista aristocratico e isolato con una forte carica di anticonformismo e altrettanto forti radici umanistiche, sotto alcuni aspetti affine a Dallapiccola.

La tentazione di considerare il Divertimento in quattro esercizi sulla base delle esperienze successive – come una prova o addirittura un’anticipazione di esse secondo una teleologia che a Dallapiccola non sarebbe del tutto dispiaciuta – è legittima e nello stesso tempo pericolosa: legittima perché alcune delle costanti e delle inclinazioni dello stile dallapiccoliano maturo sono qui già presenti, sia pure in embrione; pericolosa perché rischierebbe, ove fosse forzata, di mettere sotto falsa luce alcuni requisiti essenziali del lavoro, come l’acerba freschezza della configurazione vocale, la semplicità della costruzione formale, l’incisività degli spunti ritmici, l’elementare purezza dei colori strumentali. Quel che invece colpisce chi conosca l’evoluzione dell’arte di Dallapiccola è la misura della sua progressione graduale, la necessità interna di uno sviluppo che procede a piccoli ma fermi passi – senza saltare passaggi obbligati anche nella tensione verso l’ampliamento dei mezzi espressivi -, la capacità suprema di creare con mezzi limitati – una voce e pochi strumenti – un nucleo poetico, di definirlo esattamente e di renderlo eloquente anche sotto il profilo tecnico-espressivo. Sin dalla giovinezza – amava dire Dallapiccola – gli era indistintamente chiaro (ossimoro nient’affatto casuale) in quale direzione si sarebbe spinta la sua ricerca, quale sarebbe stato il punto d’arrivo: trovarlo e realizzarlo era questione di pazienza, di applicazione costante, di maturazione, infine di fedeltà a se stessi. E citava un motto di Busoni: «L’artista non cerca, trova. Il tempo si incarica poi di eliminare automaticamente gli errori e il superfluo. Automaticamente esso accoglie il buono e tutto ciò che ha possibilità di sviluppo e lo conserva».

Sotto questa luce ha senso inquadrare un’opera come il Divertimento in quattro esercizi, già nel titolo lavoro di addestramento e di raggiungimento di una tappa. Dicevamo delle inclinazioni e delle costanti. Esse non vanno ricercate soltanto nella predilezione per testi poetici tanto preziosi quanto fuori moda (quattro brevi poesie anonime del tredicesimo secolo), nella scelta di un piccolo organico di solisti (una voce di soprano, flauto e ottavino, oboe, clarinetto, viola e violoncello), nella chiarezza dell’impianto formale (tre danze di diverso carattere precedute da un’Introduzione), nel contrasto fra oasi liriche sospese sullo scorrere del tempo e passaggi di veemente drammaticità, sempre più incalzanti via via che ci si avvicina alla fine (l’accordo tenuto in fortissimo che chiude la composizione è quasi il simbolo di una tensione che guarda avanti, oltre se stessa); le ritroviamo anche nell’ansia – un’ansia sotterranea, pacata ma non placata – di sperimentare nuove combinazioni, di allargare l’ambito del materiale linguistico della tradizione, di mediare la evidenza melodica con il temperamento polifonico, di rendere più flessibile la linea vocale, di emancipare il parametro timbrico a valore in sé ed elemento caratterizzante della composizione poetico-musicale. Altri tratti appaiono più circoscritti all’epoca in cui il Divertimento in quattro esercizi venne composto: l’irregolarità, più che ritmica, metrica, ottenuta con un procedere per frasi ostinatamente ripetute e con accenti che non coincidono con i tempi forti della battuta, spostando così di continuo il fraseggio (questo procedimento scioglie la rigidità ritmica e la stessa monotonia metrica ma non ha nulla a che fare con la complessa rete di relazioni ritmiche che verrà sviluppata in seguito da Dallapiccola); e ancora l’elementare disegno dei canoni e delle imitazioni, assai lontano dal costruttivismo differenziato di poi (qui certo spiegabile con il tono intimo e delicato del lavoro), l’intensità espressiva della voce con i suoi ampi intervalli e i suoi ripetuti vocalizzi, l’uso sospensivo della scala per toni interi, il ricorso alla esafonia e a sovrapposizioni di suoni in accordi che esulano dal sistema armonico tradizionale (ed ecco la cauta sperimentazione dell’edificio sonoro per quarte sovrapposte e di una tematica seriale che prescinde dalla nuda opposizione diatonismo-cromatismo).

Non sembra dubbio che la scelta curiosa dei testi poetici, e il modo in cui essi vengono musicati, oltre che dalla conclamata vastità e profondità della cultura di Dallapiccola, nascesse da una esigenza primariamente compositiva: evitare l’intonazione di parole o giri di frase consueti, per così dire stereotipati e storicamente definiti in uno stile lirico o drammatico preciso, noto e quindi prevedibile o «atteso». Il giovane Dallapiccola salta a piè pari l’Ottocento, il Settecento e il Seicento barocco – quest’ultimo recuperato invece e riadattato modernamente sul piano delle forme musicali -, e si rivolge da un lato al mondo classico dei lirici greci, dall’altro al Medioevo popolare e fantastico, eroico e burlesco: testi che consentono, col loro essere nel tempo e fuori del tempo, una indagine non schematica del rapporto parola-musica. Personalmente riteniamo che la formula critica avanzata in presa diretta da studiosi quali Gatti, Gavazzeni, Mantelli, Ballo – la musica di Dallapiccola sarebbe fiorita da esigenze spirituali più che da esigenze tecniche – vada esattamente ribaltata, almeno nella produzione giovanile che precede i Canti di prigionia (1938-41): sono le esigenze tecniche riguardo la definizione di un proprio linguaggio (in senso lato, espressivo, formale, e via dicendo) a creare le premesse reali a che il mondo poetico-spirituale di Dallapiccola si esternasse pienamente e individualmente. Per quanto azzardata, l’ipotesi che Dallapiccola ricorresse a testi medievali poco frequentati proprio per studiare fuori dei grandi periodi della storia della letteratura i meccanismi compositivi che gli stavano a cuore – essi ritorneranno verso la fine della sua carriera, ma con ben altri significati – non sembra del tutto illegittima: è forse una sorta di Medioevo della sua storia di compositore che si rispecchia in questa giovanile predilezione? Comunque fosse, Dallapiccola maestro era solito mettere in guardia i suoi allievi dal pericolo di affrontare troppo presto i grandi e i grandissimi poeti, almeno non prima di aver chiarito il proprio linguaggio e aver definito un ambito stilistico-musicale. Anche per lui lo Heine sublime di An Mathilde (1955) e il Goethe supremo dei Goethe-Lieder (1953) furono un punto d’arrivo, non di partenza.

Nel Divertimento in quattro esercizi, lavoro che non è possibile ascoltare senza affetto, le intenzioni aderiscono perfettamente ai risultati: ora si trattava di verificarli in altre dimensioni e prospettive. Nella loro varietà articolata sul dipanarsi dei testi, ognuno dei quali incarna una diversa forma musicale – l’Introduzione che prepara il caldo intimismo dell’Arietta, la vivacità ritmica della Bourrée, la tensione drammatica che a poco a poco precipita sull’ondeggiare del ritmo caratteristico della Siciliana, culmine del lavoro -, i quattro brani partecipano di un clima sonoro comune, in alcuni tratti già inconfondibilmente dallapiccoliano: stellare, adamantino tanto quanto intensamente espressivo, fervido. Ed è forse per questo – aver trovato per la prima volta un clima e un equilibrio suoi – che Dallapiccola considerava il Divertimento in quattro esercizi un’opera di chiarimento e di svolta.

Riccardo Muti / Boston Symphony Chamber Players
47° Maggio Musicale Fiorentino

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