Luigi Dallapiccola
An Mathilde
cantata per soprano e orchestra
An Mathilde, cantata per voce femminile e orchestra su poemi di Heinrich Heine, è una delle opere più misteriose e inquietanti che Dallapiccola ci abbia lasciato; forse, di tutte quante, la più esoterica. La composizione, commissionata dal Südwestfunk di Baden-Baden, fu condotta a termine nell’estate del 1955, ed eseguita per la prima volta il 16 ottobre 1955 alle Giornate Musicali di Donaueschingen, interpreti due grandi paladini della musica moderna, il soprano Magda Laszlo e il direttore Hans Rosbaud. Ne è dedicataria la moglie del compositore, Laura.
Massimo Mila, autore di una mirabile analisi dell’opera in presa diretta, osservando che l’attività creativa di Dallapiccola oscilla con periodicità quasi costante attraverso fasi opposte di furore e di raccoglimento, assegna An Mathilde senza esitazione alla seconda, come «una delle più belle composizioni che a Dallapiccola siano state dettate da una vena di intimità lirica, placati momentaneamente i risentimenti, gli sdegni e il corruccio morale che fiammeggiano attraverso altre partiture, per esempio quella immediatamente precedente dei Canti di liberazione [1951-55]. Ferma restando la tecnica compositiva, è principalmente la qualità del suono che muta nel passaggio dall’uno all’altro emisfero dell’arte di Dallapiccola: quel suono che può essere così duro, aspro, pugnace, e che in questa cantata consegue effetti indescrivibili di intima discrezione, di vellutata morbidezza, di delicatezza da pastello».
Nodo centrale di questa splendida riuscita è il contatto che, a breve distanza da quello ben altrimenti inevitabile con Goethe (di cui Dallapiccola aveva musicato nel 1953 sette quartine tratte dal Westöstlicher Divan, i Goethe-Lieder per mezzosoprano e tre clarinetti), si instaura con un altro altissimo esponente della letteratura tedesca: Heinrich Heine (1797-1856), colui che aveva prestato la sua voce così sottilmente permeata di lirismo melodico (ma anche dolorosa, e scettica), per tacer d’altro, agli ultimi canti di Schubert (il commiato di Schwanengesang) e, ancor più profondamente, alle romanze e ballate in stile popolare di Schumann, ai suoi grandi cicli Liederkreis e Dichterliebe. Ora, che il patrimonio liederistico del più puro romanticismo tedesco fosse possesso naturalmente radicato nella sensibilità e nella cultura di Dallapiccola, nessun dubbio: ma non per far rivivere i contenuti di quel mondo Dallapiccola si lasciò sollecitare a rivestire di note i versi di Heine.
Lo dimostra, anzitutto, la stessa scelta di quei versi che, appartenendo agli ultimi anni della esistenza di Heine, costituiscono, nel gran ciclo del Romanzero, (1851, con un seguito nei Letzte Gedichte, 1853-56), la sua suprema raccolta: quasi una specie di estrema appendice, legata alla curiosa figura di Eugénie Mirat, la giovane commessa parigina che Heine aveva sposato nel 1841 e ribattezzata, come musa ispiratrice e consolatrice di una sofferenza fisica e morale che si struggeva per la perduta bellezza dello spirito, appunto, Mathilde. I riferimenti spirituali e persino religiosi, latenti anche se in modo ambiguo nella serietà etica dei poemi di Heine, nella interpretazione di Dallapiccola si palesano irresistibilmente, lasciando aleggiare, al di là della disperazione, la luce di una solenne apertura oltre-mondana, che alla fine rende «totalmente esplicito quel dubbioso presagio di pietà e di fede ch’era latente, quasi prigioniero, nell’ironica tristezza del poeta di fronte all’ineluttabilità dell’estremo distacco dal mondo» (ancora Mila).
Colpisce, accanto al solito rigore nella architettura complessiva, la duttilità e la libertà insolite cui la tecnica compositiva di Dallapiccola si flette, nella obbedienza più assoluta alle esigenze dell’espressione vocale, alle ragioni della parola cantata: e, contemporaneamente, la rifulgente ricchezza timbrica, ottenuta con un organico orchestrale ora usato in funzione delle caratteristiche delle singole famiglie (con la percussione a far da sfondo di colore), ora fuso in un tutto cristallino. Ma il veicolo essenziale dell’espressione musicale rimane sempre il canto, quale mezzo sonoro dove si concretizza la visione di un dramma interiore, scandito in tre sequenze: compatto e doloroso nel primo episodio, estroverso e nostalgicamente vivace nel secondo (formalmente, uno «scherzo» a mo’ di contrasto); nell’ultimo, prima angoscioso e poi, in progressiva linea ascendente, aperto a nuova gravità e fervore, per chiudersi nella suprema invocazione agli angeli della bellezza, fra suggestioni di tono quasi mistico.
James Judd / Margaret Cusack, Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
47° Maggio Musicale Fiorentino