Ludwig van Beethoven – Sonata n. 23 in fa minore op. 57 Appassionata

L

Una vetta dell’espressione passionale

 

Poche opere segnano come l’Appassionata quel mutamento di tendenza che si è prodotto nel corso degli anni nei confronti dell’interpretazione di Beethoven. Considerata a lungo, e per motivi non solo squisitamente musicali, il capolavoro più rappresentativo del periodo eroico, il culmine tragico di un trittico aperto dalle Sonate Patetica e Al chiaro di luna, l’Appassionata è venuta a poco a poco perdendo la sua aureola, conoscendo anche nelle sale da concerto, lei che poteva vantarsi d’esser stata la Sonata preferita da Beethoven almeno fino all’op. 106, una fortuna via via calante. La “”più beethoveniana delle Sonate di Beethoven”” apparve condizionata dal suo stesso cliché, nel cui titolo, tanto adeguato, quanto notoriamente apocrifo, si assommavano l’immagine stereotipata del genio solitario in lotta con il mondo, il patetismo e la monumentalità, la fioritura romanzesca e la retorica sentimentaleggiante. L’intreccio, sovente semplicistico se non volgare, tra vita e opera, di cui la biografia di Beethoven era stata fatta oggetto, celebrava qui il suo trionfo, spostando l’attenzione dall’opera in sé al suo corredo, di cui essa doveva essere espressione “”emblematica”” e a cui fu, di fatto, subordinata. L’idea del titano trovava proprio nell’Appassionata la sua incarnazione ideale, sollecitando in studiosi votati alla causa associazioni sempre più funamboliche: con Re Lear (Tovey) e con Macbeth (Schering), con l’Inferno di Dante (Leichtentritt), addirittura con le tragedie di Corneille (Rolland)!

In tempi a noi più vicini il progressivo spostamento dell’interesse da un lato sui frutti della produzione del tardo stile, la più affacciata sulla modernità, dall’altro sui semi di quella degli anni giovanili, se non delle opere apparentemente minori o di transizione, ha finito per condizionare il primato di lavori che un tempo costituivano il fulcro stesso della visione di Beethoven: sorte che l’Appassionata ha condiviso con un’altra opera coeva oggi meno esposta alla retorica di un tempo, la Quinta Sinfonia o “”del destino””. Ciò ha avviato una revisione anche del cosiddetto periodo di mezzo, quello nel quale la forzatura delle convenzioni dei generi provoca un conflitto, senza tuttavia portare a una rottura. Se accettiamo per buona la formula secondo la quale Beethoven, dopo essersi impadronito dello stile classico maturo, ha sviluppato dall’interno nuove possibilità formali e logiche allentando il disegno classico e consolidando uno stile interiore, esplorativo e trascendente, la tensione che si produce in questi lavori d’urto non è un punto di arrivo né un segnale permanente, ma appunto una fase della ricerca, al tempo stesso indice della fine di un’epoca e dell’inizio di una nuova.

Composta con lungo travaglio fra l’estate del 1804 e i primi mesi dell’anno successivo, ancora rivista nella stesura definitiva del maggio 1806, allorché Beethoven era ospite dei Brunsvik nella loro tenuta ungherese di Martonvàsar, la Sonata in fa minore venne pubblicata come op. 57 dal Bureau des Arts et d’Industrie di Vienna nel febbraio 1807 con la dedica al conte Franz von Brunsvik, fratello di Therese e Josephine, con cui il musicista era impegnato in incrociate schermaglie amorose (stando alla testimonianza di Therese, fu in quel periodo che Beethoven si fidanzò segretamente con Josephine). Il titolo Appassionata, che non compariva nella prima pubblicazione, apparve per la prima volta soltanto dopo la morte di Beethoven, in un’edizione per pianoforte a quattro mani del 1838 presso Cranz di Amburgo, e da allora venne sempre mantenuto. Non sappiamo se Beethoven avesse fatto in tempo ad avallarlo o meno, ma le circostanze inducono a dubitare che esso si potesse riferire a una passione amorosa contingente o a quella utopica per l””‘immortale amata””, e non fosse piuttosto, semmai, una traccia per evidenziare quel violento contrasto di principi – essenza stessa della passione metafisica – che ne contraddistingue il carattere. L’Appassionata è una vetta dell’espressione passionale della sua epoca, ma rappresenta al tempo stesso il superamento del sentimento in virtù della sua espansione e dello splendore della forma. Un osservatore attento come Ferruccio Busoni giunse addirittura a mettere in secondo piano l’importanza dell’elemento passionale e a riconoscervi invece i tratti fin troppo dimostrativi di un eloquio avvincente, proprio dell’oratore che voglia far colpo sulle masse con veemenza inaudita: “”il temperamento”” – egli scriveva – “”mette al pensiero e ai bollori del sentimento la maschera di una sfrenatezza corporea (cioè priva di pensiero e di sentimento)””.

Da un punto di vista formale la Sonata in fa minore prefigura già la crisi del principio dialettico ternario, articolandosi in due grandi blocchi ben distinti: un primo tempo dallo sviluppo grandioso e un finale altrettanto vasto, preceduto da un breve movimento lento con carattere di introduzione e ad esso direttamente collegato. In un certo senso il finale rappresenta lo scioglimento delle tensioni del primo movimento, passate attraverso la contemplazione impassibile, quasi irrigidita, del ponte centrale. Questo Andante con moto si basa su un semplice tema di sapore popolare racchiuso in periodi regolari di otto battute, il cui schema armonico deriva dal secondo tema del primo movimento; Beethoven lo sottopone a tre variazioni che non sono altro che studi timbrici sulla tastiera del pianoforte e sul modo di attacco del suono: prima nel registro grave (legato), poi in quello medio (sforzato), infine in quello acuto (legato e sforzato combinati). La dimensione “”timbro”” fa qui aggio su ogni altro elemento compositivo, aprendosi e chiudendosi a ventaglio: dopo il ritorno del tema iniziale, una breve cadenza arpeggiata azzera il discorso senza che vi sia stato sviluppo e prepara la strada allo scoppio del travolgente finale.

Beethoven lavorò a lungo sul tema iniziale della Sonata, trovandone la forma definitiva solo dopo molte prove. Solenne, quasi imperioso, questo tema sembra scaricare la propria aggressività in se stesso, ripetendosi per due volte un semitono sopra, quasi a cercare un’ascesa dalle tenebre alla luce, e sospendendosi poi su un trillo pieno di misteriosa attesa, gravato dal peso degli accordi di settima diminuita e di dominante. Il secondo tema in la bemolle maggiore, che deriva strettamente dal primo, ha lo stesso ritmo, gli stessi intervalli, eppure è profondamente diverso: ciò che là era frantumato e continuamente interrotto da ritardandi, si espande ora con calma compattezza su un accompagnamento uniforme di terzine, libero e disciolto, sereno e sicuro, senza angoscia. L’opposizione non è reale, ma viene trasferita su un piano ìdeale: due principi che si confrontano e si fronteggiano. Lo sviluppo non porterà dunque a una sintesi, ma a una sempre più piena, grandiosa affermazione della loro complementarità. Lo stesso tono appassionato si divide in un atto di dolore e di contrizione da un lato, di fiducia e di speranza dall’altro.

A differenza del primo movimento, che nacque faticosamente attraverso un complesso lavoro di elaborazione del materiale tematico e ritmico, documentato dai numerosi schizzi rimastici, il finale fu scritto rapidamente, quasi di getto, senza bisogno di abbozzi preparatori. Beethoven abbinò in questo finale la forma del rondó con il principio del moto perpetuo, ricavandone il tema dagli accordi di fanfara che l’introducono in fortissimo. Le note che lo costituiscono mimando un appello di trombe e tromboni (si bemolle, sol, mi, re bemolle: ancora il vuoto di una settima diminuita da colmare) vengono sviluppate in una rapida successione di semicrome, praticamente senza interruzione fino alla brutale violenza accordale del Presto finale. L’accumulazione che questo precipitare continuo di note a valore uniforme produce è ad alta intensità espressiva, ma crea nel contempo uno svuotamento progressivo del contenuto emotivo, ridotto a parvenza esteriore di un sentimento esasperato. E ciò conduce da ultimo alla coincidenza del tono appassionato con un progressivo spegnersi della passione in un fenomeno naturale inarrestabile e cieco, quasi un pezzo di virtuosistica bravura, emotivamente travolgente ma non più sconvolgente.

Radu Lupu
63° Maggio Musicale Fiorentino

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