Quattro passi nel delirio
Pubblicata nel 1805 senza dedica come op. 65, ma composta anni addietro, fra il 1795 e il 1796, “”Ah, perfido!”” è la più celebre di quelle arie staccate in lingua e stile italiani che nel catalogo del giovane Beethoven testimoniano, accanto alla precoce vocazione strumentale, una completa assimilazione dei modelli drammatici dell’opera seria settecentesca. L’aria fu eseguita per la prima volta a Lipsia il 26 novembre 1796 dalla famosa cantante praghese Josepha Duschek, alla quale Mozart diciannove anni prima aveva dedicato la splendida scena ed aria “”Ah, lo previdi”” K. 272 e nella cui residenza di campagna vicino a Praga nell’estate del 1787 aveva completato il Don Giovanni. La Duschek, che nel 1796 aveva cinquantatré anni, apparteneva a quella categoria di cantanti colti che oggi si direbbe “”da concerto”” e , pur non avendo mai calcato il palcoscenico, eccelleva tanto nello stile patetico quanto in quello di bravura, doti per le quali Mozart la ammirava e che furono tenute ben presenti anche da Beethoven nella stesura del suo brano. Alle predilezioni della Duschek risale probabilmente anche la scelta del testo, un recitativo tratto dall’Achille in Sciro di Pietro Metastasio (atto III, scena III), seguito da un’aria apocrifa, dovuta alla cucina di qualche non identificato librettista. La situazione presenta una tipica scena melodrammatica metastasiana: l’eroina Deidamia, dopo avere inveito ed invocato l’ira del cielo contro Achille che sta per lasciarla, se ne pente e supplica gli dei perché ritorcano su di lei le maledizioni scagliate all’uomo amato. Nell’articolazione del brano in tre movimenti – un Recitativo accompagnato (Allegro con brio) con pregnanti interventi orchestrali in funzione espressiva, un Adagio in forma di aria con da capo e un rondò finale (Allegro assai) dal piglio drammatico – Beethoven si attenne ai modelli delle grandi arie mozartiane sviluppando però uno stile declamatorio d’intensa eloquenza patetica nella linea vocale, amplificato da un tessuto strumentale ricco e potente, affine a quello che si ritroverà nella grande scena e aria di Leonora nel Fidelio.
Daniele Gatti / Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Ente autonomo del Teatro Comunale di Bologna, Concerti Sinfonici 1999-2000