Pubblicata in italiano la biografia
Il lettore italiano che volesse farsi un’idea completa di quel che furono la vita e la carriera di Franz Liszt (1811-86) non aveva molto su cui appoggiarsi, prima della traduzione di un testo base quale la biografia di Paula Rehberg.
Il suo Liszt, uscito nel 1961 e pubblicato ora dalla Mondadori nella collana «Musica e Storia», riempie il vuoto in modo diretto e naturale, raccontando attraverso una esposizione chiara e ricca di documenti intelligentemente accostati uno dei fenomeni più affascinanti e complessi della storia della musica: tanto imponente da essere elevato a mito prima ancora di venir ratificato dalla storia.
Giusto l’intento di riconsiderare quel mito in termini storici, fornendo i presupposti per comprenderne la stessa complessità, costituisce il pregio maggiore di questa indagine, appassionata, eppure tesa a raccontare fatti più che ad esprimere idee; consentendo, così, al lettore di farsele in proprio.
Ed è appunto in ciò che sta l’utilità del lavoro della Rehberg.
Raccontare la vita di Liszt equivale a ripercorrere le vicende della musica dell’Ottocento dalla morte di Beethoven sino all’affermazione dell’arte riformatrice di Wagner, e oltre.
Nessun avvenimento, nessun personaggio, nessuna tendenza emersa nell’arco dei cinquant’anni centrali di quel secolo rimasero estranei all’influenza di Liszt, alla sua capacità di ergersi a protagonista e giudice di grandiosi mutamenti artistici, per rifletterli su di sé con straordinaria forza.
La molteplicità delle figure che convivevano in lui (virtuoso del pianoforte e della direzione d’orchestra non meno che innovatore nella composizione, e poi ancora trascrittore, didatta, organizzatore, critico, scrittore, maestro del pensiero ed energico uomo d’azione) incise profondamente in tutti i campi dell’attività musicale, cooperando a dare fisionomia unitaria alla varietà inaudita delle personalità che agirono in essi prima, durante e dopo la tempesta romantica.
Pilota accorto e generoso, Liszt attraversò i turbamenti suoi e della sua epoca senza mai smarrire l’orientamento, guardando a una meta lontana che non ammetteva esclusione di orizzonti; anche se altri, e non lui stesso, l’avrebbero poi raggiunta, pel suo tramite.
Giacchè egli, ogni qualvolta sembrava vicino a toccarla, prontamente la eluse al fine di rilanciare la propria immagine in un’altra dimensione: incapace di trovare appagamento nell’eccellenza di una sola espressione, di un’unica specializzazione, foss’anche quella del pianista che aveva creato il rango dell’interprete moderno, onnicomprensivo.
Questo trasformismo, che getta luce sulle tendenze dell’epoca e vi rimane bene impresso sullo sfondo, ha la sua radice nel carattere inquieto dell’uomo, e di lì si proietta nella sfera artistica, allargandone il raggio.
Lo stereotipo romantico nell’inestricabile intreccio tra vita e arte non è, nel caso di Liszt, mera parvenza; rende però estremamente delicato al biografo individuare le relazioni.
Tutto in Liszt appare in forma contraddittoria, su un equilibrio precario.
Ogni forza sembra avere l’equivalente nel suo contrario, ogni affermazione di certezze è smentita dagli atti, mentre nuovi atti richiedono nuove certezze.
Eppure sarebbe difficile separare questi aspetti in dicotomie assolute, come sacro e profano, infernale e celestiale, ascetico e sensuale.
Quel che conta è invece, nel dissidio, il contrasto, la tensione che lega questi opposti; e il modo ora di tragedia ora di commedia, talvolta esibito, talaltra represso, in cui tali elementi si agitano nel caleidoscopio dell’anima di Liszt.
Comunque li si voglia giudicare, essi rappresentano sulla vasta scena del mondo esteriore qualcosa di analogo alla lotta titanica che Beethoven combattè nel chiuso della sua profondità interiore.
Sicché la loro sostanza, celata dal drappeggio sontuoso di gesti, parole, atteggiamenti, stati d’animo e pensieri che l’avvolgono, capace anche di nascondere la lacerazione della trama, racchiude l’anelito alla quiete, la misura di essenziali, definitive verità.
Ed è proprio da questa ansiosa sfida dell’uomo con se stesso e con il mondo circostante che è possibile gettare un ponte verso l’opera dell’ artista, nelle sue piu diverse, trasformistiche manifestazione; là dove la nuda evidenza di una melodia, di un ritmo pregnante, di un giro armonico compiuto in se stesso è travolta dalla piena delle trasfigurazioni più inaudite: elaborazioni, sviluppi, ornamentazioni, arabeschi di suoni e stratificazioni architettoniche che mettono la tecnica più espansa e mirabolante al servizio di una idea, per realizzarla in tutte le sue apparenti potenzialità.
‘Troppo spesso questo virtuosismo di apparenze è stato considerato alla stregua di un gioco fine a se stesso, espressione di uno strapotere tanto illimitato quanto incontrollato. Non e così.
Basterebbe lo stile dell’ultimo Liszt, intenso nella sua asciuttezza ed eloquente nella sua visionarietà, per capire a qual risultato aspirasse la somma delle esperienze della sua arte, e fors’anche della sua intera esistenza.
La biografia della Rehberg, ottimamente servita dalla traduzione di Alessandro Klein (e opportunamente integrata di titoli che riassumono il contenuto di ogni capitolo), è completata da una settantina di pagine dedicate all’opera, di Gerhard Nestrer.
Esse toccano concisamente, per sintesi, gli aspetti fondamentali dello stile compositivo di Liszt, avvalendosi anche di esempi musicali.
E benché non siano niente più che una traccia, rendono più prezioso un libro che alla conoscenza di Liszt in Italia porta un contributo rilevante.
Paula Rehberg, Liszt. Con un contributo di Gerhard Nestler. Traduzione di Alessandro Klein. Mondadori, pp. 534 lire 50.000.
da “”Il Giornale””