Il ciclo di concerti di Lieder (nove, il lunedì sera) che il Comunale presenta nel suo Piccolo Teatro dalla fine di gennaio all’inizio di aprile è una novità per Firenze e una rarità nei programmi dei teatri italiani. Che questo genere, fra i più alti che la storia della musica abbia prodotto, non sia molto popolare da noi, lo vedemmo confermato, e ne arrossimmo, quando Hermann Prey, accompagnato nientemeno che da Wolfgang Sawallisch, ci regalò serate indimenticabili, di cui però pochi serberanno il ricordo. Niente si crea dal nulla. E laddove non esiste una tradizione d’ascolto anche minimamente diffusa, è difficile separare le cause obiettive da quelle contingenti.
Benché il Lied – che alla lettera significa «canzone» — affondi le sue radici riei secoli precedenti, la sua piena e individuale fioritura coincide con l’Ottocento e si sviluppa nel seno del Romanticismo tedesco. di cui diviene l’espressione più pura e caratteristica. Non è un caso, per esempio, che la stessa drammaturgia musicale di Wagner si individui per la prima volta attorno a un Lied, quella ballata di Senta che sta al centro dell’Olandese volante.
Se qui le implicazioni si diramano in lontananza, è come forma poetico-musicale di piccole dimensioni, per voce e pianoforte, che il Lied raggiunge la sua piena autonomia, qualificandosi essenzialmente per i suoi contenuti lirici, intrisi di toni di intensa soggettività, di confessione intima, di accentuata forza espressiva. In questo senso è decisivo per la sua emancipazione il contatto con la grande poesia tedesca di tipo sia colto che popolare: essa, oltre ad offrire una esatta individuazione espressiva e una chiara definizione formale, eleva il Lied da semplice occasione descrittiva ed evocativa, fatta per l’immediatezza dell’esecuzione domestica tra pochi intimi, a grandioso mezzo di comunicazione universale dei sentimenti più profondi dell’anima umana. Questo passaggio, già prefigurato da Mozart e da Beethoven, avviene con Schubert, il creatore del Lied romantico, colui che segna la svolta verso la definitiva compiutezza del genere; dopo di lui, per oltre un secolo tutti i massimi compositori tedeschi coltiveranno il Lied arricchendolo di nuovi accenti e di nuovi strumenti espressivi, fino a che esso si estenderà anche ad altre aree geografiche e culturali, ad altri climi e tradizioni.
L’intraducibilità del termine stesso Lied reca con sè, dogma assoluto come per nessun altro genere musicale, l’intraducibilità della lingua, l’impossibilità cioè di cantare il testo in lingua diversa dall’originale, alterando la strettissima connessione fra parola e musica.
E in ciò può risiedere un primo ostacolo obiettivo alla diffusione del Lied fuori dei suoi propri confini. Nè, teoricamente, sarebbe sufficiente l’ausilio della traduzione, giacché essa copre per così dire il campo semantico e non interamente quello linguistico, lessicale, più intimamente poetico del rapporto fra testo e rivestimento musicale. Il paradosso di Schoenberg secondo cui tanto più un Lied è riuscito quanto piu prescinde dal testo vale come tale e rivela semmai un atteggiamento, drammaticamente novecentesco, di dubbio, di sfiducia nella totalità dell’espressione organica. Ora, proprio di tale certezza il Lied è simbolo, perfino in autori – quali per esempio Brahms e Mahler — particolarmente impegnati attorno al problema dell’unità formale. Lo stesso Schubert degli ultimi cicli, alle prese col mistero insoluto della gioia e del dolore, della speranza e della disperazione, della vita e della morte, intona i suoi Lieder con la consapevolezza che alla disarmonia del mondo sia possibile opporre la compiutezza dell’espressione, il calore della partecipazione, in una frase la verità del canto.
Per mezzo della musica, sia che essa inerisca al testo illustrandolo o descrivendolo con le sue cadenze, sia che invece se ne distacchi in un’interpretazione di pura, commovente eloquenza, il Lied trascende la poesia, le sue suggestioni liriche o sentimentali, aprendosi alla comprensione più immediata e universale. Esso è davvero ciò che i romantici credettero di conquistare alla musica, l’assoluta purezza del linguaggio del cuore. A patto però di saperlo ascoltare in modo adeguato. Ed ecco il secondo ostacolo obiettivo.
Di contro alla melodia a tutto tondo, distesa, fiorita — poniamo — di un’aria d’opera italiana, l’esecuzione liederistica richiede si vorrebbe dire quasi come sua qualità costitutiva — dizione precisa, articolazione chiara, estrema duttilità della voce, capacità di passare da una sfumatura all’altra con sottigliezza e naturalezza. E infatti questo particolare stile di canto si è tramandato attraverso tutta una scuola di interpreti dotati di questi requisiti specifici. Lo stesso si richiede dagli ascoltatori: la capacità cioè di seguire la musica nel suo viaggio dentro la poesia e di spremere il contenuto nella differenziata gradazione di accenti, inflessioni, sfumature.
Arte della sottigliezza e del particolare, dell’analisi e dell’introspezione, dell’immaginario e del reale, il Lied non si lascia cogliere se non da un ascolto partecipe e concentrato. E se ciò vale in generale per tutta la musica, la natura del Lied lo esige in modo assoluto, impegnativo.
Dalla semplice forma strofica a quella musicata per disteso, nella quale il processo melodico si sviluppa parallelamente alla poesia ed è tenuto insieme da un accompagnamento uniformemente caratterizzante, il Lied mantiene inalterato il suo tono di fondo e la sua unità stilistica, incidendo profondamente sull’evoluzione di una nuova sensibilità musicale. Così il pianoforte, portavoce del simbolismo del Lied, è investito di compiti ancora più alti che illustrare o descrivere stati d’animo. Come compagna, di pari dignità, del canto, la voce del pianoforte diviene interprete del significato più profondo, delle relazioni più nascoste, inventandosi una scrittura di individuale completezza. Ed è da questo connubio che nasce un mondo dai vasti orizzonti, che ci appartiene e ci svela una parte di noi stessi.
da “”La Nazione””