Leós Janàček
Po zarostlém chodníčku (Sul sentiero di rovi)
per pianoforte, I serie
Le nostre sere (Moderato)
Una foglia nel vento (Andante)
Venite con noi (Andante)
La Madonna di Frydek (Grave)
Le ragazze cinguettavano come rondini (Con moto)
La parola viene meno (Andante)
Buona notte (Andante)
Angoscia indicibile (Andante)
In lacrime (Larghetto)
La piccola civetta non è volata via (Andante)
Sul sentiero di rovi di Janàček
Tra il 1901 e il 1908 Janàček compose una serie di piccoli pezzi per pianoforte (sette di questi erano in origine per harmonium) che furono pubblicati in due raccolte distinte ma sotto lo stesso titolo, Po zarostlém chodnícku, rispettivamente nel 1911 (numeri 1-10, prima serie, in programma questa sera) e nel 1942 (numeri 11-15, seconda serie: questi ultimi senza sottotitolo). La maggior parte dei brani che compongono questo ciclo sono semplici schizzi musicali a margine dell’opera Jenůfa, la cui stesura occupò Janàček fino al 1903 e che contro ogni sua speranza e aspettativa fu a lungo rifiutata dal Teatro Nazionale di Praga; altri sono ripensamenti e rivisitazioni di cose, luoghi e avvenimenti legati a ricordi lieti – i periodi trascorsi dal musicista con la famiglia a Hukvaldy, suo paese natale – e luttuosi – la scomparsa della figlia Olga, morta a vent’anni nel 1903.
Il carattere del ciclo è interamente racchiuso nell’immagine del titolo, che necessita tuttavia di una precisazione. L’originale Po zarostlém chodnícku, significa semplicemente “”Sul sentiero ricoperto””, quello su cui è ricresciuta l’erba: è la strada familiare tra i boschi non percorsa da molto tempo, che rappresenta, secondo la tradizione delle canzoni popolari morave, a cui Janàček si rifà, la lontananza da cose e persone che non si frequentano più da molto tempo. Dice una di queste canzoni: “”Ricoperto, ricoperto di piccolo e tenero trifoglio è il sentiero che mi riporta dalla mamma””. L’erba ricresce quando non è più calpestata; ed è evidente che qui si allude al sentiero che riporta a casa, una volta sgombro e percorribile, ora invece ricoperto di erba: un sentiero non necessariamente, dunque, spinoso, ricoperto di rovi, come vuole una traduzione italiana ormai accreditata dall’uso. E proprio questo clima di memorie lontane e di tempi perduti e ritrovati è quello che unisce fra loro i quindici pezzi della raccolta: accomunati, pur nella loro diversità, da un intimo sentimento di nostalgia e di rimpianto, trasognato e limpido più ancora che triste od oscuro. Come commenta Franco Pulcini, «la toccante poesia che essi emanano, la bellezza in cui si cullano i quindici brani sono dovuti alla capacità di accennare, di suggerire sfumature dell’emozione, trattenendo l’eccessiva espressione. Né la gioia, né il dolore sono troppo forti in questo album fotografico sui tempi passati». La tinta di pastello che connota questi luoghi della memoria richiama inconfondibilmente atmosfere e suggestioni romantiche; ma il tipo di scrittura, il fraseggio personalissimo, la metrica irregolare, i cambia-menti dell’armonia introducono in questi quadri figure e colori di favolosa freschezza e originalità, rendendo più pronunciato il senso di un ritrovamento: soprattutto nella seconda serie, concepita come paralipomena alla prima. Così la coscienza del presente trae linfa vitale dal ricordo del passato, compositivamente attivo grazie alla sua mediazione.
Su tutto sembra alitare il respiro partecipe della natura, la pace del bosco, il vento della sera e il canto degli uccelli, voci amiche che riconciliano con le indicibili angosce del mondo e ne attutiscono i colpi, anche quelli più mortali e dolorosamente acuti, annunciati da simboli non indifferenti: come, a conclusione della prima serie, quella civetta che non si allontana da una finestra accesa, segno che la morte è in agguato (anche qui il riferimento è duplice, a una leggenda popolare e alla morte della figlia Olga). Sul sentiero da tempo non battuto dal passo che riporta finalmente a casa è ricresciuta l’erba, forse sono spuntati i rovi, ma l’eterna vicenda della natura continua a rinnovarsi e a donare una ragione di vita.
Andràs Schiff
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Stagione di musica da camera 1998-99