Per Ardis Krainik, General Director del Lyric Opera di Chicago e Presidente dell’ “”OperaAmerica “”, la “”meta dell’eccellenza artistica e della responsabilità finanziaria potrà essere raggiunta se cammineremo ‘mano nella mano’ come Romeo e Giulietta, con la gioia dell’amicizia e il bene di muoverci tutti verso una maggiore ispirazione e creatività””. Romeo e Giulietta: arte e finanza: successo artistico e sani profitti; ecco la ricetta per la buona salute del teatro lirico. Non una tragedia, ma una commedia a lieto fine. In America, almeno, sembra che sia così. Di questo, di numeri e di intenzioni, di propositi e di altro, si è discusso per una giornata intera, i1 30 maggio, a Firenze, in un convegno sugli aspetti economici e imprenditoriali della vita musicale in Italia e negli USA promosso dall’Associazione Filippo Mazzei: Le note in cifre era il titolo della manifestazione, a cui hanno partecipato fra gli altri i rappresentanti dell’Agis (Paolo Manca), degli Enti lirici (Carlo Fontana), dei teatri di tradizione (Antonio Mazzarolli), del Cidim (Francesco Agnello), delle società di concerti (Stefano Passigli), delle Rai (Paolo Donati), degli agenti (Patrizia Garrasi) e dei critici musicali (Leonardo Pinzauti); oltre a Massimo Bogianckino e a Bruno Bartoletti, in rappresentanza del Comunale fiorentino, e alla Krainik, appunto.
Che ne è venuto fuori? Niente di particolarmente nuovo, in verità. E allora perché ne parliamo? Semplicemente per fare il punto di una situazione che unanimemente, non solo da oggi e qui, viene descritta con toni allarmati, se non allarmistici. Questo vale per noi, s’intende. Perché, stando alle cifre e agli esempi portati dalla simpaticissima signora Krainik, in America il matrimonio fra Romeo e Giulietta si farà, anzi si è già fatto, con soddisfazione di tutti. Ma alla bella festa noi potremo al massimo essere invitati, non partecipare: a meno di non fare la parte di Otello, o forse di lago. In altri termini, il modello americano – lo hanno detto un po’ tutti, Bogianckino con estrema sincerità e chiarezza – è inconfrontabile col nostro; e forse, se lo potessimo copiare, non ci starebbe neppure troppo bene addosso. Noi continuiamo a credere che il teatro d’opera sia prima di tutto cultura, non business. Naturalmente poi esageriamo. Comunque, l’idea che il piatto della bilancia tra finanziamento pubblico e privato debba continuare a pendere dalla parte del primo, magari con meno scarto di adesso, è stata riaffermata, in nome della cultura e della tradizione.
Anche perché il vero problema non sembra essere la nostra presunta incapacità di produrre cultura e di curare la nostra tradizione, ma l’esigenza di una piú razionale organizzazione dell’attività musicale nel suo complesso (e su ciò hanno insistito con ottime ragioni i rappresentanti delle istituzioni “”minori””, specialmente penalizzate da questa situazione generale). Fontana, nella sua relazione di base, ha dato a sua volta le cifre, affermando che noi continuiamo a produrre musica a buoni livelli per quanto riguarda sia la qualità (“”quasi sempre””) sia la quantità (“”l’attività è cresciuta dell’11 % nel triennio ’87-89 e continua a crescere””). Dove sono allora gli allarmi? Essenzialmente nei costi spropositati degli Enti lirici: soprattutto nella voce di spesa che riguarda il personale.
A fronte di una diminuzione delle spese per allestimenti scenici, organizzazione e cachets degli artisti, il costo del personale, nonostante il blocco delle assunzioni, è quello che piú incide nella gestione economica degli Enti (ecco la differenza non soltanto con l’America, ma anche con le piccole società di concerti, e perfino con i teatri di tradizione). Su questo punto, Fontana si è limitato ad auspicare un “”contenimento del costo del personale””, aggiungendo però che “”il blocco degli organici in essere dal 1973 va superato””: dato che, come anche la Corte dei Conti ha ribadito, per una sana gestione degli Enti vi è l’esigenza di “”presenze di personale adeguate alle reali e spesso mutevoli necessità di ogni Ente”” . E proprio qui, secondo Fontana, una riforma sempre piú indifferibile non solo degli Enti lirici deve intervenire al piú presto, in modo globale: “”o la vita musicale italiana viene tutta radicalmente ripensata o è destinata a morire lentamente, per consunzione””. Accanto a richieste piú generali, e sacrosante, come tempestività e rigore nella presentazione dei bilanci di previsione e nella erogazione dei fondi, nuovi rapporti con la televisione pubblica e privata e con la scuola, Fontana ha dato anche una indicazione precisa: “”sarà indispensabile che il Governo emani norme uniformi di amministrazione e contabilità che in ogni caso siano piú rispondenti alle esigenze particolari degli Enti”” . Il che potrebbe anche voler dire: A) distinguere le priorità e le finalità dei singoli teatri, suddividendoli in fasce: nazionale, regionale e municipale; B) cominciare a eliminare le eccedenze di personale, qualificando e utilizzando piú razionalmente quello “”ritenuto adeguato alle reali e spesso mutevoli necessità di ogni Ente””. Forse partendo proprio dalle orchestre e dai cori.
Ma questo, naturalmente, non si può dire. Mai nessuno che voglia fare questa maledetta parte di Frate Lorenzo, nell’adattamento all’italiana della storia di Romeo e Giulietta. Meglio, piuttosto, predicare la catastrofe: la chiusura indiscriminata dei teatri. Così non avremo piú né Romeo né Giulietta.
Musica Viva n.7 – anno XV