Le antiche note

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«La musica nel Rinascimento», un classico di Reese

La musica nel Rinascimento di Gustave Reese, insieme con La musica nel Medioevo dello stesso autore e La musica barocca di Manfred Bukofzer, forma una trilogia classica degli studi sulla musica antica. Mentre la Rusconi ha appena ristampato il primo in ordine cronologico di epoche (tacendo però che la prima edizione era uscita da Sansoni già nel 1960), l’editore fiorentino Le Lettere si è ora sobbarcato la fatica, improba non solo per la mole, di tradurre l’opera centrale di Reese. Il lussuoso volume è introdotto da Elvidio Surian e ben curato nella traduzione da Alberto Curotto e Alberto Batisti, al quale si deve anche una essenziale e aggiornata discografia.

Naturalmente anche La musica nel Rinascimento, uscito in America per la prima volta nel 1954 e parzialmente rivisto nel 1959, presenta molti lati oggi superati dal progresso degli studi. Ma a renderlo un classico non è tanto la quantità dell’informazione e dei materiali raccolti, comunque notevole per la sua epoca, quanto il taglio metodologico e la chiarezza della trattazione, anche con i limiti che vedremo. Reese è stato un pioniere della musicologia americana. Ci si può domandare come abbia fatto uno studioso che per tutta la vita lavorò e insegnò a New York (per quasi cinquant’anni, dal 1927 al 1974) a familiarizzarsi con un’epoca così lontana dal suo mondo e dalla sua cultura, a ricostruirne non solo le vicende ma anche il clima, il tessuto politico e sociale, le tendenze di pensiero e di gusto, le complesse relazioni fra arte, scienza e costume, fino a comporre il quadro del ruolo dei musicisti e delle loro opere. La risposta è nel suo pragmatismo. Reese partiva dai fatti e dai documenti, li raccoglieva, li esaminava e poi li interpretava. E in base a quelli tracciava delle coordinate che miravano a racchiudere in una immagine limpida e semplice i materiali di cui disponeva.

Per Reese il Rinascimento ha le sue radici nel Trecento italiano e francese, con il movimento dell’Ars Nova. Si pongono qui le basi di un rinnovamento che troverà la sua piena applicazione nel dominio sempre più incontrastato della polifonia, in campo tanto sacro quanto profano. Con Dufay ha inizio il processo di stabilizzazione di un linguaggio polifonico nel quale scienza e musica, teoria e pratica s’intrecciano per saldare e rafforzare esperienze diverse, in rapporto al nuovo ruolo anche sociale della musica rispetto al passato. Dalla Fancia settentrionale il movimento si estende ai Paesi Bassi e scende a fecondare i territori italiani, dove una nuova sensibilità per la pittura sonora trova modo di assimilare le tecniche contrappuntisitiche privilegiandone il lato espressivo in una più stretta adesione al testo poetico. La fioritura del madrigale porta a compimento nel Cinquecento questo cammino, mentre anche la musica strumentale a poco a poco si emancipa da influenze vocali e costruisce le basi per un suo linguaggio sempre più autonomo e compiuto.

Nella disposizione della materia, Reese segue un percorso cronologico ma distingue due aree geografiche alle quali attribuisce peso diverso nel determinarsi della musica e della cultura rinascimentale. La prima, dominante, è quella che comprende la Francia, i Paesi Bassi e l’Italia, i centri di creazione e di diffusione della nuova cultura polifonica. La seconda riguarda invece la penisola iberica, la Germania, l’Europa orientale e l’Inghilterra: dove da un lato avvengono scambi con l’altra e più evoluta parte dell’Europa e dall’altro si mantengono tendenze e caratteri locali, non necessariamente secondari o in ritardo sul resto d’Europa. Questa distinzione, per quanto motivata da una scelta metodologica precisa, tende a frammentare la trattazione e costringe a rimandi che non sempre risultano illuminanti (per esempio i rapporti tra riforma e controriforma). Un utile supporto è costituito dagli indici analitici, che rendono possibile la lettura per consultazione. Ma anche l’idea che nel. Rinascimento si assista a una progressiva evoluzione della musica, che tocca l’apice nel Cinquecento, finisce per dare una visione schematica e unidirezionale a un’epoca che è invece caratterizzata dalla compresenza di più elementi non necessariamente valutabili dal punto di vista di un continuo, naturale progresso dall’infanzia alla maturità.

È, questo, il limite del libro, al quale manca un respiro unitario capace di porre in relazione fenomeni diversi e concomitanti, sovente interagenti. All’interno di ciascuno di essi Reese procede scavando gli aspetti biografici, stilistici e formali dei singoli autori e stabilendone il rilievo estetico e l’importanza storica. E qui sta, nella dovizia di proposte, invece, la sua qualità, sotto certi aspetti «datata» ma ancora fonte di orientamenti e di suggerimenti.

 

Gustave Reese, «La musica nel Rinascimento», trad. di Alberto Curotto e Alberto Batista, Le Lettere, pp. 1106, lire 150.000

da “”Il Giornale””

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