Questa che segue non è un’intervista ufficiale, ma il resoconto di un incontro avvenuto quasi per caso durante una prova del Simon Boccanegra a Firenze lo scorso giugno. Abbado rivela un lato forse neppure troppo nascosto ma sorprendente del suo carattere, cui non è estraneo un evento drammatico come la brutta malattia che l’ha colpito, una di quelle di cui non si parla volentieri e che richiederebbero la massima discrezione. E invece è lui per primo ad affrontare il tema con franchezza quasi imbarazzante: “”Mi hanno tolto quasi tutto lo stomaco. Debbo mangiare poco e spesso, seguire una dieta ferrea. E prendere tanti integratori, sottopormi a cure continue. Insomma, non è uno scherzo. Ma come ha detto lo scrittore García Màrquez, che ha avuto un’operazione analoga alla mia, non tutto il male viene per nuocere: è un ottimo pretesto per dire di no a tante cose fastidiose, per esempio a tutte quelle che girano attorno alla musica. E riscoprire così il piacere di avere più tempo per se stessi, per i miei figli, per i miei nipotini che crescono, per gli amici””. Rifletto istintivamente che essere vittima di una malattia così terribile nel pieno di una carriera sfolgorante (Abbado ha compiuto proprio in giugno 69 anni, ma chi glieli darebbe?) debba essere un’esperienza devastante; la smentita sta invece proprio lì di fronte: un uomo inevitabilmente segnato nel fisico, ma intatto nello spirito. Anzi, pieno di gentilezza, di attenzioni, che sprigiona serenità, buonumore e perfino ottimismo, ed è animato da un’immensa energia. Da dove proviene tutta questa energia?, “”E’ la musica a darmi energia””, dice. “”Mi sento bene quando faccio musica. E’ la mia forza, lo è stata sempre””. E cosa accadrà adesso che, dopo un’estate frenetica (la ripresa di Parsifal a Edimburgo e Lucerna, una tournée per mezza Europa con la Gustav Mahler Jugendorchester trionfalmente conclusa a Bolzano), lo attende un lungo periodo, un anno, di riposo? “”Sì, è vero, starò fermo un anno. Questo periodo ora è indispensabile per curarmi, ma servirà anche per studiare, per leggere, per pensare a nuovi progetti, per prepararmi poi a tornare a fare musica. Del resto era una decisione già presa da tempo””. Non c’è il pericolo, mi viene ingenuamente da chiedere, che la lontananza dal podio possa provocare la depressione? “”No, assolutamente. Ho tante cose nuove da fare, tanti interessi aperti da seguire e sentivo il desiderio di trovare più tempo per coltivarli. Ora posso concentrarmi sulle cose che mi interessano veramente. Non ci vedo niente di tragico, anzi””.
L’immagine che abbiamo dei direttori d’orchestra come di divi assatanati da applausi e successi personali è palesemente falsa nel caso di Abbado. A lui sono sempre interessati i progetti, e il pensiero di realizzarli è stato il suo primo stimolo. Dopo aver creato orchestre giovanili di grandi (1’European Community Youth Orchestra e la Gustav Mahler) e di piccole dimensioni (la
Chamber Orchestra of Europe e la Mahler Chamber), inventato festival di musica contemporanea in luoghi di antica tradizione (Wien Modern) e cicli tematici interdisciplinari, mastodontici a Berlino e più circoscritti a Ferrara Musica, ora si appresta a varare a Lucerna un nuovo gruppo di lavoro con prospettive ancora diverse. “”Se mi sono dedicato tanto a favorire la nascita di orchestre giovanili””, spiega “”è perché credo che i giovani debbano essere concretamente aiutati a crescere, a intendere nel modo giusto una professione che rimane prima di tutto una gioia e un dono spirituale. C’è poi anche un aspetto sociale da non sottovalutare: la comunità europea prima che avvenisse l’unione, l’apertura ai paesi dell’est dopo la caduta del muro di Berlino, questi avvenimenti sono andati di pari passo con la nascita di queste orchestre, da cui si sono poi prodotti spontaneamente dei complessi più ridotti che hanno approfondito questo modo di intendere e di praticare la musica, prendendo a modello l’esempio alto della musica da camera””.
“”Ho cercato di favorire in Italia la nascita di centri di riferimento””, continua, “”dove c’era la disponibilità e l’impegno a farlo, come a Ferrara, Torino e Bolzano. Per imparare a suonare insieme, ad ascoltarsi, ho creato un’accademia legata alla Mahler Orchestra con borse di studio per i giovani musicisti e insegnanti prestigiosi. Pensare al futuro è doveroso, dovrebbe far parte dei compiti di un musicista. E così si sono create delle relazioni che hanno posto basi solide per uno sviluppo della musica in un paese purtroppo ancora arretrato e pigro. Ho cercato di fare, più che di polemizzare: senza mai perdere di vista una prospettiva internazionale””.
“”Lucerna è un altro discorso””, prosegue. “”Lì cominceremo nel 2003 con tutti i migliori musicisti dei Berliner che non possono più suonare in orchestra perché insegnano, e si aggiungeranno solisti che condividono le stesse idee, Natalia Gutman, Sabine Meyer con il suo ensemble, il quartetto Hagen, gli archi e i primi fiati della Mahler Orchestra. Faremo subito grandi pezzi, come la Seconda di Mahler e il secondo atto del Tristano in forma di semiconcerto, ma non trascureremo la musica da camera e cicli stilisticamente formativi, come i Brandeburghesi di Bach. Sono molto felice di questo progetto, che nasce sotto ottimi auspici””.
Si tratta dunque al tempo stesso di guardare in avanti e di raccogliere, far sedimentare le esperienze, senza dimenticare la mozione degli affetti. Niente viene dal caso, come dimostra proprio il ritorno a Firenze dopo molti anni che Abbado non dirigeva più un’orchestra italiana. “”Con Firenze si sono creati a poco a poco rapporti sempre più stretti””, precisa. “”Prima ho portato al Maggio la produzione dell’Elektra di Strauss con i Berliner nell’allestimento del mio festival di Pasqua di Salisburgo, poi abbiamo coprodotto insieme il Tristano diretto da me a Salisburgo e da Zubin [Mehta]a Firenze: questo Simone con Peter Stein è stato il logico sviluppo di un percorso compiuto insieme al direttore artistico Cesare Mazzonis””.
Quanto conta in tutto ciò il rapporto di amicizia?
“”L’amicizia è sempre anche il risultato di una sintonia di vedute e di idee che si concretizzano in progetti””.
E’ impossibile non provare a chiedere ad Abbado qualcosa sulla fine del suo sodalizio con i Berliner. L’eco dell’ultima tournée d’addio in Italia è ancora forte. Era inevitabile questa separazione?
“”Niente è inevitabile, ma tutto ha una sua logica. Sono arrivato a Berlino nei giorni in cui cadeva il Muro ed era appena finita l’era di Karajan. In un certo senso abbiamo dovuto ricominciare da capo in una situazione di mutamenti epocali. Credo che li abbiamo assecondati senza che i Berliner perdessero la loro identità musicale e culturale. Abbiamo rinnovato nella continuità l’orchestra al cinquanta, sessanta per cento, ampliato il repertorio nella direzione sia della musica barocca sia della musica contemporanea, invitato direttori, come Harnoncourt e Boulez, che potessero differenziare in queste direzioni i nuovi impulsi e approfondire la consapevolezza del suono dell’orchestra, formato degli ensemble, aperto al pubblico le prove, aumentato il numero dei concerti, istituito dei cicli legati a temi universali, a miti antichi e moderni, coinvolgendo tutto il mondo culturale di Berlino, compiuto tournées in ogni parte del mondo: e sempre con la volontà di migliorare il nostro modo di fare musica e la qualità. Un ciclo si è chiuso. Lascio i Berliner in buone mani e, credo, in ottime condizioni. Non mancheranno certo in futuro le occasioni di incontrarci di nuovo per fare musica insieme””.
The Voice Classic Opera n. 42, Novembre 2002