L’anello dei wagneriani

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«E’ incredibile, come dimostra ancora qualche esempio recente, quanto i letterati e gli artisti in genere siano indotti a far gli spiritosi in atteggiamenti antiwagneriani, candidamente ignari del loro provincialismo culturale». E’ difficile non concordare con un giudizio come questo, scritto da Luigi Ronga, critico crociano e neppur troppo di parte, nel 1955, tirando le somme di mezzo secolo di critica wagneriana in Italia: ancora più difficile dopo aver ripercorso, grazie al bel lavoro di una studiosa seria e preparata, i rapporti tra Wagner e la letteratura italiana: dove per letteratura si intende non solo la critica e la saggistica musicale che si sono occupate di Wagner, ma anche, anzi soprattutto, la congerie di pagine d’argomento di ispirazione wagneriano uscita, nell’arco di quasi un secolo, dalla penna degli scrittori.

Naturalmente quel giudizio potrebbe anche esser ribaltato, altrettanto massiccia essendo, nelle alterne vicende di una storia discontinua, la presenza di atteggiamenti iperbolicamente wagneriani, tesi a identificare nel musicista del Tristano un modello d’arte e di poesia capace, per via d’associazioni di idee o di protratto esercizio stilistico, di rinfocolare le ambizioni e vivificare i contenuti della letteratura italiana moderna. Sicché, da ultimo, questa ricognizione di oltre un secolo di confronti tra Wagner e gli scrittori italiani, offre anzitutto un’ulteriore conferma, sovente sgradevolissima, di quanto poco nella nostra tradizione culturale il fenomeno musicale (e quello wagneriano in particolare) sia stato visto per quel che è e significa; e quanto invece abbia consigliato e favorito avventure sui percorsi più impervi e più tortuosi, privilegiando le assonanze e le implicazioni di natura e contenuto specialmente extramusicali.

Che la lingua e la tematica di Wagner si prestassero come niente a quest’uso è fuori di dubbio, e non è solo un fatto italiano. Ma nell’Italia dell’800 e del ‘900 le cose sconfinarono ben oltre le frontiere dell’imitazione, dell’entusiasmo o della mistificazione: giacché da noi Wagner fu soprattutto una bandiera polemica, una mina vagante sulle aspirazioni di una letteratura che ambiva a mettersi al passo di quella europea – sedotta da una sinfonia di voci che chiamavano verso l’ignoto – e nello stesso tempo a conquistare un’autonoma dimensione nazionale, o nazionalistica.

Wagner fu strumentalizzato. A cominciare, naturalmente, da Gabriele d’Annunzio, col cui caso questo Tristano, mio Tristano di Adriana Guarnieri si apre. L’approvazione di Wagner da parte di d’Annunzio, incisiva anche sul piano della forma letteraria modellata sul grande respiro sinfonico e sull’intreccio modulante di motivi conduttori, rappresenta ancora oggi – se vista nella prospettiva della musica e di Wagner – uno dei vertici della nostra letteratura. L’autrice, anziché considerarlo nella sua individualità, tende a interpretarlo in funzione di altro, come quando scrive: «Il fuoco nasce e arriva a compimento come opera bensì wagneriana, ma alternativa: di un wagnerismo che non è più identificazione e tecnica (come quello del Trionfo della morte), ma è, all’inverso, competizione. D’Annunzio vuole scrivere «come» Wagner, ma in quanto genio «latino»: vuole creare una versione italiana, romanzesca, di dramma wagneriano»; sino a concludere: «Tutto il suo progetto estetico si sostanzia così in antagonismo: la sua arte musicale “”latina”” è alternativa alla cultura musicale tedesca». Da ultimo, secondo l’autrice, il disegno dannunziano rifluisce «nell’ampio filone dell’antiwagnerismo letterario italiano ottocentesco», rappresentato, 40 anni prima, da De Sanctis.

La tesi di un d’Annunzio modello o viceversa bersaglio critico di un programma letterario e di una tecnica di scrittura che si perpetueranno lungo tutto il corso della tradizione letteraria novecentesca – per dirla con i suoi termini un «wagnerdannunzianesimo» e un «antiwagnerdannunzianesimo», più che alternativi, complementari – è ora puntello ora asse portante del libro della Guarnieri. La classificazione cronologica a blocchi – i contemporanei di d’Annunzio, le avanguardie primonovecentesche, la letteratura nazional-popolare fra le due guerre (con le dovute eccezioni, acutamente colte), il secondo dopoguerra, gli anni della seconda rivoluzione industriale – consente alla Guarnieri di tratteggiare un grafico indicativo della fortuna soprattutto della sfortuna di Wagner in Italia. Ricorrenti sono allora le opposizioni, le dicotomie, alternativamente di segno positivo o negativo: arte nordica e arte mediterranea, arte decadente e arte d’avanguardia, melodia italiana e polifonia tedesca, concretezza italiana e fumosità tedesca; e poi, ovviamente, Verdi contra Wagner; ma non solo: anche il primo Wagner della stagione romantica contro quello della maturità tristaniana e parsifaliana. Il tutto visto sempre e limitatamente nel suo aspetto letterario: ciò che rende questo libro, più che una ricerca di critica musicale, un importante saggio di letteratura italiana comparata.

In questo campo di battaglia fremente di assalti all’ultimo sangue e di scaramucce, ora con le armi più sofisticate del cuore e dell’ingegno ora con la nuda forza bruta di attacchi corpo a corpo, sembra aggirarsi, quasi antico dio dell’Olimpo chiamato a decidere della vittoria, invocato o maledetto, un fantasma, incoronato dalla stessa potenza della sua musica: 1’«immaginario wagneritaliano», come lo noma la Guarnieri, dei sogni e degli incubi di una cultura letteraria travolta dagli spasimi e dalle supreme distensioni della musica e del musicista. Anche quando tocca i punti più bassi di un provincialismo gretto e ignorante, la letteratura italiana riceve luce e vita da questo incontro.

Wagner è un catalizzatore che produce reazione. Italo Svevo, forse soltanto perché trovava naturale fischiettare Wagner, ne ha descritto il processo come pochi altri: «Sfumature che nascondono la realtà, qualche tocco sfuggito che tradisce il contorno di un oggetto o di un fatto e idee generali in luogo di osservazioni pratiche. E’ una visione! Wagner è condotto da un Dio, l’arte, a traverso ad un mondo di esseri inferiori e nemici».

 

Adriana Guarnieri Corazzol, «Tristano, mio Tristano», Il Mulino, pp. 388, lire 40.000.

da “”Il Giornale””

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