Giunto alla terza edizione con crescente favore di pubblico e di critica, il Festival Internazionale di Musica Sacra “”Anima Mundi”” conferma la sua ambizione di porsi come una delle rassegne più importanti e qualificate nel suo genere, forte di presenze quest’anno ancora più ambiziose e prestigiose sotto il profilo sia dei programmi sia degli interpreti. Si è già avuto modo di affermare nelle precedenti edizioni che il concetto di musica sacra così come intendiamo proporlo deve essere inteso nella sua accezione più vasta, ma al tempo stesso rigorosa. Non soltanto come musica di chiesa, o liturgica, destinata cioè alla funzione del culto secondo l’ordine dei riti e delle cerimonie sancito dalla tradizione e dall’autorità della Chiesa (cristiana, cattolica e non), ma anche come insieme di opere appartenenti alla civiltà musicale e rispondenti a fini spirituali, religiosi o devozionali in senso lato. È il significato per esempio che il termine tedesco “”geistlich”” esprime con la massima pregnanza: “”sacro”” ovvero ecclesiastico, religioso e spirituale in uno. In tal senso è stato concepito il programma, differenziato in modo da contemperare stili, epoche, forme e autori in un connubio ideale di conoscenza e di riflessione sul “”sacro”” in quanto “”religione”” e in quanto “”spiritualità””. Donde il nome che accompagna il nostro Festival, “”Anima Mundi””: l’anima del mondo che promana con l’intelligenza della fede da quell’Assoluto che chiamiamo Dio, a cui l’uomo si ricongiunge nel mistero della trascendenza e di cui la musica può costituire una corsia preferenziale di illuminazione.
Opere di diversi autori e periodi scelte in base a criteri non univoci, salvo quello che siano affidate a interpreti di altissimo e riconosciuto valore. È il caso del concerto inaugurale, che abbina un lavoro di importanza e bellezza capitali, pari alla rarità con la quale viene eseguito stante la sua difficoltà (in Italia, salvo il vero, in prima esecuzione assoluta), ossia l’oratorio Das Buch mit sieben Siegeln (Il libro dei sette sigilli, dall’Apocalisse di Giovanni) di Franz Schmidt, a compagini di grande tradizione e cultura come l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo e il Coro del Wiener Singverein: capitanati da un direttore esperto e sensibile del calibro di Leopold Hager. Il concetto spesso abusato nelle biografie dei musicisti secondo il quale questa o quell’opera rappresenterebbero l’apice della loro produzione è del tutto appropriato e legittimo nel caso di questo oratorio. Das Buch mit sieben Siegeln è non soltanto l’ultima grande composizione portata a termine da Schmidt, ma anche la sua più importante e significativa. Essa nacque pochi anni dopo la Quarta Sinfonia, tra il 1935 e il 1937, e venne eseguita per celebrare il centoventicinquesimo anniversario della Società degli Amici della Musica di Vienna il 15 luglio 1938 sotto la direzione di Oswald Kabasta. In questa partitura di fenomenali dimensioni, che si riallaccia alla ricca tradizione degli oratori da Bach a Mendelssohn e che culmina in un portentoso “”Hallelujah!”” degno di stare accanto a quello celeberrimo del Messia di Händel, Schmidt ha racchiuso ed elaborato tutte le sue enormi facoltà compositive: il sinfonista, il dominatore della musica vocale più accesa e drammatica, il virtuoso d’organo e il contrappuntista si trovano riuniti in uno al massimo livello di concentrazione. Il Libro è però anche un’opera del ventesimo secolo, che parla dei problemi del proprio tempo e del Zeitgeist per illuminarli in una visione di forte affiato religioso, al tempo stesso apocalittico e trasfigurante.
Ancor più raffinata l’offerta del secondo concerto, con capolavori di Schubert eseguiti dal Concentus Musicus Wien e dall’Arnold Schnberg Chor (con solisti di lusso), eccezionalmente guidati da un autentico mito della musica d’oggi come Nikolaus Harnoncourt; le cui presenze in Italia si misurano con il contagocce, e dunque nel nostro caso rappresenta una vera novità, se non un’esclusiva, che non mancherà di attirare l’attenzione del pubblico più appassionato e competente. Spicca in questo programma l’oratorio scenico Lazarus, oder: Die Feier der Auferstehung (Lazzaro, ovvero: La festa della Resurrezione) D 689, composto da Schubert nel febbraio 1820. Il testo di August Hermann Niemeyer si basa sul racconto (Vangelo di Giovanni, cap. II, vers. 1-45) della morte e della resurrezione di Lazzaro ed è concepito nella forma di un dramma sacro in tre atti. Della musica di Schubert ci è rimasta solo la parte fino alla sepoltura (primo atto e parte del secondo): è certo che alcuni fogli del manoscritto andarono perduti e che la musica del secondo atto continuasse, ma ignoriamo se Schubert avesse composto o meno il terzo atto con la Resurrezione di Lazzaro. L’elemento nuovo di questo torso sublime è costiutito dal fatto che §Schubert andò oltre la tradizione del genere sacro oratoriale e collegò le scene non soltanto con recitativi secchi nello stile italiano ma anche con “accompagnati” estremamente elaborati, tali da rendere quasi impercettibili il passaggio tra recitativco e aria e mirare di fatto alla continuità ininterrotta dell’azione. Tutta la partitura è dominata da un tono solenne, compreso di sè ma mai accademico, teso a far risaltare l’unità del dramma in modo intenso e concentrato, intrinsecamente e umanamente vero: i personaggi sono profilati con sicurezza di contrasti, la tessitura è quasi prefetta nella differenziazione dei mezzi espressivi, la fusione di parola e gesto drammatico amplificata dall’orchestra in modo da accordare l’intonazione di spirituale e sacro con reciproco profitto.
Mancava nelle nostre ricognizioni sul sacro uno sguardo rivolto a uno degli autori più contraddittori e conturbanti dell’ottocento, l’abate Franz Liszt.
Questa lacuna è colmata con il concerto che di Liszt incarna le due anime, quella poetico religiosa del grande virtuoso di pianoforte rappresentato da una scelta delle più belle tra le sue pagine intitolate Harmonies poétiques et religieuses (1845-52) e quella dell’asceta, del mistico tutto indirizzato a scrutare l’immagine più intima e delicata dell’enigma del sacro, in particolare della Passione di Cristo nella tarda (1873-79) Via Crucis. La disponibilità della Camerata Silesia, complesso della cui affidabilità e duttilità si sono già avute esemplari conferme, ha consentiti di far seguire all’omaggio lisztiano un panorama per così dire a raggera su una produzione che incarna nel modo più vario e completo la nozione di sacro tra Cinque e Novecento: dal classico, luminoso Palestrina al Giuseppe Verdi dei tardi Pezzi Sacri, cupi e dolenti, dai moderni, aspri e delicati Messiaen e Ligeti al celebre Miserere di Allegri, ammiratissimo da Mozart, per finire in gloria col sommo Sebastian Bach del Magnificat, è come se si squadernasse un libro di storia della musica sacra, “a cappella”(ossia per sole voci) e non, e ogni pagina avesse la sua bella cornice in rilievo.
Il nostro tracciato prosegue con un concerto monografico dedicato a Henry Purcell, musicista di cui, incredibile a dirsi, da noi si stenta ancora a comprendere tutta la molteplice grandezza. Purcell crebbe in un ambiente in cui la musica religiosa era fiorente, e questa esperienza si riflette nelle sue composizioni, alcune delle quali sono nello stile “”a cappella””, con accompagnamento d’organo. Altre introducono ariosi per una o più voci soliste, simili a quelli che troviamo nelle odi. La sezione affidata alle voci soliste era chiamata verse e gli anthems (questo il nome che avevano le composizioni corali su testo sacro in lingua inglese presso la chiesa anglicana) che ne facevano uso erano detti verse-anthems. Nel verse-anthem della Restaurazione l’accompagnamento era normalmente affidato al continuo. Quando Carlo II era presente nella Cappella reale, era però di norma cantare gli anthems con orchestra d’archi, e l’orchestra serviva principalmente a presentare sinfonie introduttive e ritornelli, oltre che ad accompagnare il coro. Purcell scrisse parecchi lavori di questo genere all’epoca della sua più splendida fioritura, il più elaborato dei quali è My heart is inditing per l’incoronazione di Giacomo II. Ed è proprio questo brano a suggellare il programma scelto da Andrew Lawrence-King con il suo gruppo per la preziosa monografia di questo autore affascinante. Seguirà poi una messa a confronto dello strumentalismo europeo ispirato al sacro nel nome di Antonio Vivaldi e di Johann Sebastian Bach con sontuosi brani vocali e strumentali di magnificenza barocca di Georg Friedrich Händel, affidati a specialisti tra i più rinomati oggi nella vita musicale internazionale. La presenza consueta della Cappella Musicale dell’Opera Primaziale Pisana, sorta di complesso residente nel vivo del nostro Festival, si sostanzia quest’anno con una delle opere più ardue e impegnative, di stile fiorito e insieme struggente, di Joseph Haydn, lo Stabat Mater del 1767, che di questo autore centrale nella storia della musica sacra tra Sette e Ottocento prosegue la ricognizione già avviata negli anni scorsi. Ma è del concerto finale che siamo particolarmente orgogliosi e fieri. Non solo per la fama dell’opera eseguita (la Messa di Requiem di Giuseppe Verdi, scritta in memoria di Alessandro Manzoni ed eseguita per la prima volta nella chiesa di San Marco a Milano il 22 maggio 1874) ma anche per la possibilità di ospitare in un capolavoro di così alto impegno l’Orchestra e il Coro del Maggio Musicale Fiorentino diretti da Zubin Mehta, per l’occasione nell’unico concerto con quest’opera in Italia. La presenza di quattro solisti di eccellenza conferisce a questo evento un sapore del tutto speciale, al quale la Cattedrale di Pisa offre il suo incomparabile scenario e la sua acustica speciale, e di fatto sancisce il rango del Festival pisano anche nel repertorio di più eccelsa tradizione, prestandosi di fatto con orgoglio a confronti impegnativi.
Pisa possiede – e lo ha dimostrato ampiamente con questo Festival – la cultura, la sensibilità e soprattutto l’aura di luoghi di straordinario valore artistico e storico particolarmente adatti a dare importanza a un’iniziativa che nel momento stesso in cui sembra andare in controtendenza con i tempi afferma solennemente la propria volontà e identità. Il ringraziamento per questo va non soltanto a tutti gli artisti che hanno accettato con entusiasmo di essere coinvolti nell’avventura pisana ma anche al sostegno programmatico e all’impegno finanziario degli enti coproduttori, in primis l’Opera della Primaziale Pisana e la Fondazione della Cassa di Risparmio di Pisa, accanto alla Provincia e al Comune di Pisa. Nel malinconico e un po’ squallido trionfo dell’effimero e del fatuo che contraddistingue i nostri tempi, essi hanno dimostrato di credere fermamente in un’idea di cultura e di civiltà, privilegiandola per lasciare un segno della loro presenza e attività creativa. Si tratta di un esempio da sottolineare.
AnimaMundi, Terzo Festival Internazionale di Musica Sacra a Pisa
Duomo di Pisa, 2003
Leopold Hager / Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, Coro Wiener Singverein; Nikolaus Harnoncourt / Orchestra del Concentus Musicus Wien, Coro Arnold Schönberg; Anna Szostak / Camerata Silesia; Andrew Lawrence-King / L’Homme Armé; London Baroque; Riccardo Donati / Cappella Musicale dell’Opera della Primaziale Pisana; Zubin Mehta / Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino