La casa di «Ulisse» non è a Salisburgo

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Ulisse di Luigi Dallapiccola al Festival di Salisburgo, nell’ambito della rassegna dedicata quest’anno alla musica italiana da Monteverdi a Nono. Poteva essere l’occasione propizia per realizzare una delle tante promesse che la gestione Mortier va sbandierando da quando si è insediata: l’apertura al teatro musicale del Novecento in esecuzioni di riferimento, capaci di qualificare tendenze e situazioni del secolo che è il nostro.

Si è avuta invece la dimostrazione di quanto siano velleitarie queste promesse quando manchi la capacità, la coerenza di coordinarle in fatti realmente compiuti.

Una volta deciso di accogliere nel cartellone del Festival quest’opera, per la sua importanza e non solo perché cadeva quest’anno il venticinquesimo anniversario dalla sua prima apparizione a Berlino, non ha molto senso, soprattutto nella visione prediletta da Mortier, per il quale l’Opera è teatro prima ancora che musica, limitarne la presenza a una esecuzione in forma di concerto, per di piú in uno spazio acusticamente inadatto come la Felsenreitschule.

Dove semmai sarebbero bastate le briciole delle risorse impiegate per i faraonici allestimenti monteverdiani e poche, chiare intenzioni rigistiche per creare una disposizione scenica , che sfruttando le possibilità favorevolissime dell’ambiente stesso cercasse di motivare non solo una scelta artistica ma anche il carattere composito, formalmente calibrato, del libretto e della partitura.

Privato della parte scenica, che ne è comunque un valore preminente, l’Ulisse dallapiccoliano perde molte delle sue prerogative, proprio sul piano del suo significato nel teatro novecentesco. Si poteva allora sperare almeno in una esecuzione musicale di qualità. Ma qui le cose sono andate anche peggio. È difficile immaginare una resa piú scialba e deprimente di questa.

Plumbea e indifferenziata la direzione di Hans Zendar, opaca e distratta la prestazione di un’orchestra solitamente affidabile come quella della Radio austriaca, irriconoscibile il coro di Erwin Ortner. Addirittura sconcertante, fatti salvi l’Ulisse di John Bröcheler, la Circe/Melanto di Doris Soffel, la Nausicaa di Malin Hartelius e il Pisandro di Wolfgang Holzmair, il resto della compagnia di canto: musica dodecafonica non significa intervalli presi a caso, intonazione precaria, stile abborracciato e approssimativo. E poi: perché infierire sulla partitura con tagli scriteriati e obbrobriosi? Perché scegliere, con cantanti stranieri dalla dizione inprobabile, la versione in italiano quando ne esiste una, approvata dall’autore, in tedesco?

Morale della favola. Niente obbligava il Festival di Salisburgo a dare l’Ulisse. Era bello l’averci pensato. Ma così si è reso un pessimo servizio a Dallapiccola, falsando l’immagine della sua opera piú compiuta e ispirata, in un luogo prestigioso e davanti a un pubblico forse desideroso di conoscere e di capire. Non sorprende che sia rimasto visibilmente deluso. Il «flusso del tempo», per riprendere il titolo della vetrina italiana di Mortier, renderà piena giustizia al capolavoro di Dallapiccola: non grazie, ma nonostante quest’apparizione a Salisburgo.

da “”Il Giornale””

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